La domanda di rilascio dell’immobile concesso in godimento al portiere
di Ginevra Ammassari Scarica in PDFTrib. Roma, 18 aprile 2018 – Est. Casari
Lavoro e previdenza (controversie in tema di) – Licenziamento – Portiere – Domanda di rilascio dell’alloggio adibito ad abitazione – Competenza in materia di lavoro – Sussistenza (Cod. proc. civ., art. 409).
[1] La controversia volta al rilascio dell’immobile concesso per l’espletamento delle mansioni di portiere spetta alla cognizione del giudice del lavoro, giacché investe il prioritario accertamento della cessazione del relativo rapporto lavorativo.
CASO
[1] Con ricorso ex art. 414 c.p.c., un condominio agisce in giudizio innanzi al Tribunale di Roma affinché venga dichiarata la risoluzione del rapporto di lavoro subordinato intercorso con il portiere dello stabile, nonché l’intervenuta cessazione del diritto a godere dell’immobile concesso al dipendente per l’espletamento delle proprie mansioni; con conseguente condanna del portiere all’immediato rilascio dell’immobile.
SOLUZIONE
[1] Dichiarata la contumacia del portiere convenuto, il Tribunale di Roma, preliminarmente, rileva la sussistenza della competenza del giudice del lavoro a trattare la controversia de qua; nel merito, accoglie il ricorso proposto dal condominio e dichiara la legittimità del licenziamento intimato al dipendente in ragione dell’assenza ingiustificata dello stesso dal proprio posto di lavoro, confermando altresì la sussistenza del giustificato motivo oggettivo posto a fondamento del recesso, costituito da un provvedimento cautelare di allontanamento emesso dal Tribunale penale di Roma a carico del portiere e a tutela della persona offesa e dei suoi familiari, tutti inquilini dello stabile presso il quale l’imputato prestava servizio.
Pertanto, il giudice del lavoro dichiara la risoluzione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti e condanna il resistente all’immediato rilascio dell’immobile concessogli in godimento a titolo di corrispettivo parziale.
QUESTIONI
[1] Con la pronuncia in epigrafe, il Tribunale di Roma, nel ritenere la corretta introduzione del giudizio de quo secondo le forme del rito lavoro, afferma che il godimento dell’alloggio concesso al portiere dello stabile costituisce parte integrante del corrispettivo per l’espletamento delle relative mansioni, sicché deve qualificarsi alla stregua di una controprestazione strumentalmente e funzionalmente collegata al rapporto di portierato che, seppur accessoria, segue le sorti del contratto di lavoro cui accede, da accertarsi nelle forme di cui agli artt. 409 e ss. c.p.c.
La soluzione accolta con la sentenza in epigrafe è conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la quale è costante nell’escludere che l’utilizzazione dell’immobile concesso al portiere per ragioni di servizio integri gli estremi di un autonomo rapporto di locazione; tale impostazione, sotto il profilo processuale, comporta l’attribuzione alla cognizione del giudice del lavoro delle controversie promosse dal condominio in qualità di parte datoriale e volte al rilascio dell’immobile concesso in godimento al portiere, giacché investono il prioritario accertamento della cessazione del relativo rapporto di lavoro (cfr., tra le più recenti, Cass. 30 ottobre 2012, n. 18649, in www.dirittoegiustizia.it, 30 ottobre 2012).
Sulla base di tale premessa, la giurisprudenza di legittimità, nel solco di quanto statuito, in epoca risalente, da Corte cost. 17 dicembre 1975, n. 238 (Giust. civ., 1976, III, 56), ha escluso che la domanda volta alla liberazione dell’alloggio utilizzato dal portiere dello stabile potesse azionarsi nelle forme di cui all’art. 659 c.p.c. che, nel disciplinare il procedimento di convalida di sfratto volto alla liberazione dell’immobile il cui godimento costituisca, appunto, «il corrispettivo, anche parziale, di una prestazione d’opera», limita l’applicabilità dello stesso alle sole ipotesi in cui sia intervenuta la «cessazione del rapporto per qualsiasi causa».
Invero, se la dottrina maggioritaria è concorde nel ritenere che la prestazione d’opera rilevante ai fini dell’applicabilità dell’art. 659 c.p.c. ricomprenda anche quelle rese in esecuzione di rapporti di lavoro subordinato (cfr. B. Capponi, Profili del processo civile, III, Napoli, 1998, 307; G.F. Ricci, Per una rilettura dell’art. 659 c.p.c., in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1981, 1218; E. Garbagnati, I procedimenti d’ingiunzione e per convalida di sfratto, Milano, 1979, 294; V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1964, 126), la norma de qua ha posto molteplici questioni interpretative, relative: i) all’esatta individuazione della nozione di cessazione del rapporto ivi menzionata; ii) alla necessaria pacificità della stessa ai fini dell’applicazione del procedimento di convalida e, quindi, al concorso tra questo e le forme di cui all’art. 409 c.p.c.
Procedendo con ordine, quanto all’interrogativo posto sub i), la maggior parte degli interpreti, in ossequio alla dizione letterale della norma, ritiene che la locuzione «cessazione del rapporto per qualsiasi causa» debba interpretarsi estensivamente, così da ricomprendere finanche il recesso di una delle parti e, dunque, tanto l’ipotesi di dimissioni del prestatore d’opera, che il licenziamento intimato dal datore di lavoro (v. R. Frasca, Il procedimento di convalida di sfratto, Torino, 2001, 101; V. Andrioli, cit., 126).
La soluzione del quesito sub ii), invece, risulta maggiormente controversa, giacché la pacificità della cessazione del rapporto si presta a molteplici interpretazioni, atte a ricomprendere: vuoi l’assenza di contestazioni dell’intimato nel procedimento ex art. 659 c.pc.c in ordine alla causa di cessazione del rapporto; vuoi la mancata impugnazione del licenziamento innanzi al giudice del lavoro; nonché, nell’accezione più rigorosa, il necessario accertamento della risoluzione del rapporto con sentenza passata in giudicato.
Sul punto, parte della dottrina, sotto la vigenza del precedente art. 667 c.p.c. – il quale, al 3° comma, prevedeva espressamente la riassunzione del giudizio della causa di merito innanzi al giudice del lavoro – aveva escluso che la mancata contestazione della cessazione del rapporto di lavoro costituisse l’indefettibile presupposto per l’esperibilità del procedimento ex art. 659 c.p.c., giacché residuava allora (e, si aggiunge, residua tutt’ora) la facoltà di opposizione del lavoratore intimato che, previo mutamento del rito, determina l’instaurazione della controversia di lavoro e la prosecuzione di quest’ultima nelle forme di cui all’art. 409 c.p.c. (così G.F. Ricci, cit., 1221).
Parzialmente conforme la posizione di R. Frasca, cit. 105, il quale, anche a seguito della riforma che ha investito l’art. 667 c.p.c., ritiene esperibile il procedimento di cui all’art. 659 c.p.c. finanche nell’ipotesi in cui l’accertamento relativo alla legittimità del licenziamento sia (ancora) sub iudice; tuttavia, l’A. chiarisce che la contestuale pendenza del giudizio di impugnativa del licenziamento potrebbe determinare una situazione di continenza, da risolversi in favore del giudice del lavoro territorialmente competente ai sensi dell’art. 413 c.p.c., il quale, seppur di rado, potrebbe differire da quello ex art. 661 c.p.c.
Infine, tale soluzione risulta condivisa anche dagli interpreti che circoscrivono l’oggetto dell’ordinanza di convalida alla sussistenza del diritto al godimento dell’immobile funzionalmente collegato al rapporto di lavoro presupposto e non anche alla cessazione di quest’ultimo che, quindi, rimane estraneo al giudicato formatosi all’esito del procedimento ex art. 659 c.p.c. (così F. Trifone, sub artt. 657-669, in Comm. c.p.c. a cura di G. Verde-R.Vaccarella, Torino, 1997, 183 e R. Preden, Sfratto (procedimento per la convalida di), in Enc. Dir., XIII, Milano, 1990, 437).
Di contro, la giurisprudenza di legittimità ha accolto l’impostazione più restrittiva, ritenendo che il procedimento disciplinato dall’art. 659 c.p.c. presupponga l’assenza di contestazioni in ordine alla cessazione del rapporto di lavoro.
In tal senso cfr. Cass. 2 dicembre 1988, n. 6544, Foro it., Rep. 1990, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 47, la quale si è pronunciata in sede di regolamento di competenza richiesto ai sensi dell’art. 45 c.p.c. nell’ambito di un procedimento ex art. 659 c.p.c. promosso dal condominio nei confronti del portiere e volto alla convalida dello sfratto intimato a quest’ultimo in ragione della cessazione del rapporto lavorativo precedentemente intercorso tra le parti; in tale occasione, la Corte ha ritenuto che, a fronte dell’eccezione formulata dal dipendente in ordine alla perdurante sussistenza del citato rapporto di lavoro solo formalmente cessato, l’oggetto del giudizio de quo attenesse alla continuazione di quest’ultimo e, in quanto tale, dovesse essere deciso dall’allora pretore in funzione di giudice del lavoro secondo le forme di cui all’art. 409 c.p.c.
Inoltre, il concorso tra il procedimento di cui all’art. 659 c.p.c. e il rito del lavoro di cui all’art. 409 c.p.c. è stato risolto dalla giurisprudenza nel senso della prevalenza di quest’ultimo finanche nelle ipotesi in cui il lavoratore, costituitosi nel giudizio volto al rilascio dell’alloggio originariamente concessogli in godimento dal condominio per ragioni di servizio, aveva eccepito che l’utilizzazione dell’immobile era proseguita in ragione del contratto di comodato stipulato successivamente alla cessazione, tutt’altro che controversa, del rapporto di lavoro (così, Cass. 2 ottobre 1985, n. 4780, id., 1986, I, 490, la quale, preliminarmente, ha affermato la sussistenza della legittimazione ad agire per la convalida di sfratto del portiere licenziato in capo all’amministratore e, a tal fine, ha ritenuto irrilevante il previo accertamento della titolarità, comune o esclusiva, dell’immobile dove alloggia il portiere; in dottrina, sul potere dell’amministratore di licenziare il portiere, v. G. Branca, Comunione – Condominio negli edifici, in Commentario al codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, 574, che, tuttavia, si riferisce indiscriminatamente allo sfratto del conduttore dai locali comuni).
In senso parzialmente difforme v. Cass. 9 maggio 1987, n. 4301, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 40, la quale, a fronte della domanda riconvenzionale con cui il dipendente aveva chiesto accertarsi l’intervenuta usucapione dell’immobile, ha ritenuto che il giudice del lavoro competente a conoscere la domanda volta al rilascio dello stesso dovesse rimettere al tribunale competente per valore quella azionata dal portiere, previa separazione dei procedimenti.
In ultimo, occorre segnalare che, attualmente, il limite imposto all’esperibilità del procedimento ex art. art. 659 c.p.c. ha perso, quantomeno sul versante applicativo, il suo rigore originario, giacché la cessazione del rapporto di lavoro presupposto non potrà più essere oggetto di contestazioni una volta decorso inutilmente il duplice termine decadenziale previsto dalla L. n. 183/2010 per l’impugnazione del licenziamento.