La domanda di accertamento negativo del credito
di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDFLa domanda di accertamento negativo del credito, che presuppone la verifica della insussistenza della causa debendi (nullità clausole contrattuali), è abitualmente strumentale alla domanda di ripetizione ex art. 2033 c.c. degli importi illegittimamente addebitati dalla banca (Cass. n. 7501/2012; Cass. n. 22872/2010; Cass. n. 1146/2003;) ma può essere legittimamente avanzata anche autonomamente. Questa azione condivide con l’azione di ripetizione di indebito, infatti, un nucleo di fatti comune (addebito in c/c in base a patto nullo oppure in mancanza di patto), il quale esaurisce il contenuto dell’accertamento negativo e costituisce parte del più ampio thema decidendum dell’azione di ripetizione. Soltanto per agire in ripetizione il cliente ha l’onere di allegare e provare non soltanto l’indebito ma anche lo spostamento patrimoniale.
La domanda di accertamento dell’esatto saldo del conto corrente, riveniente dalla declaratoria di nullità (imprescrittibile ex art. 1422 c.c.) di una clausola contrattuale, persegue lo scopo di pervenire ad un ricalcolo dell’effettivo saldo, depurato dagli addebiti nulli (non è avanzata richiesta di restituzione di somme): secondo le circostanze, il ricalcolo conseguente allo storno dell’indebito potrà implicare 1) la riduzione dell’esposizione debitoria oppure 2) una maggior disponibilità di fido (se il conto corrente è affidato), o ancora 3) addirittura il passaggio a credito del saldo di conto corrente (ex multis Trib. Paola 10.2.2018).
La domanda di accertamento negativo del credito è autonomamente esperibile anche se il rapporto di conto corrente è ancora in corso, poiché quando il conto corrente è aperto l’interesse del cliente trova normale soddisfazione nel ricalcolo dell’effettivo saldo, depurato degli addebiti nulli e quindi per tali motivi la domanda di nullità può essere sempre proposta (Trib. Monza 14.3.2017; Trib. Nocera Inf. 18.9.2017; Trib. Roma 6.12.2017; App. Milano 19.9.2017; Trib. Vicenza 24.1.2017; Trib. Padova 23.1.2018; Trib. Paola 10.2.2018; Trib. Verona 4.10.2018; Trib. Salerno 16.1.2018), pur in mancanza di una collegata azione di ripetizione (Cass. n. 21646/2018; Trib. Taranto 15.4.2015; Trib. Monza 14.3.2017; Trib. Padova 23.1.2018; Trib. Paola 10.2.2018; App. Milano 1.3.2018). Le domande di nullità (così come quelle di accertamento degli addebiti illegittimi perché non concordati e di accertamento del saldo seppur non finale) prescindono, infatti, dalla chiusura del rapporto al momento della proposizione in quanto permane il concreto interesse del correntista alla dichiarazione delle invalidità contrattuali e degli addebiti comunque illegittimi, al fine di permettere lo svolgimento del rapporto secondo legge.
Dello stesso tenore sono le conclusioni della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il correntista ha comunque un interesse di sicura consistenza a che si accerti, prima della chiusura del conto, la nullità o validità delle clausole anatocistiche, l’esistenza o meno di addebiti illegittimi operati in proprio danno e, da ultimo, l’entità del saldo (parziale) ricalcolato, depurato delle appostazioni che non potevano aver luogo. Tale interesse rileva, sul piano pratico, almeno in tre direzioni: quella della esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime; quella del ripristino, da parte del correntista, di una maggiore estensione dell’affidamento a lui concesso, siccome eroso da addebiti contra legem; quella della riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere a seguito della cessazione del rapporto (allorquando, cioè, dovranno regolarsi tra le parti le contrapposte partite di debito e credito). Sotto questi tre profili la domanda di accertamento prospetta, per il soggetto che la propone, un sicuro interesse, in quanto è volta al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, che non può attingersi senza la pronuncia del giudice (Cass. n. 21646/2018; Cass. n. 5919/2016; Cass., Sez. Un., 2.12.2010, n. 24418; Cass. 15.1.2013, n. 798).