11 Marzo 2025

La disciplina delle aree di parcheggio negli edifici condominiali

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. II, Ordinanza del 29.11.2023 n. 33122, Pres. L. Orilia, Est. V. Pirari

Massima:Soltanto ove manchi un’espressa riserva di proprietà o sia stato omesso qualsiasi riferimento, al riguardo, nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, le aree adibite a parcheggio, globalmente considerate, devono essere ritenute parti comuni dell’edificio condominiale, ai sensi dell’articolo 1117 c.c., con conseguente legittimazione dell’amministratore di condominio ad esperire, riguardo ad esse, le azioni contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere il ripristino dei luoghi e il risarcimento dei danni, giacche’ rientranti nel novero degli atti conservativi, al cui compimento l’amministratore è autonomamente legittimato ex articolo 1130 c.c., n. 4, ma non anche quando l’area adibita a parcheggio sia stato oggetto di un’espressa riserva di proprietà, spettando in tal caso al soggetto il diritto d’uso della stessa, atteso che la disciplina in esame non vieta la negoziazione separata delle costruzioni e delle aree di parcheggio ad esse pertinenti, ma esclude che tale negoziazione possa incidere sulla permanenza del vincolo reale di destinazione gravante sulle aree cennate”.

CASO

Tizio, Caio e Sempronia convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Messina, Filano e i suoi fratelli al fine di ottenere la condanna di questi ultimi al rilascio in favore degli attori della quota di immobile adibita a parcheggio, ai sensi dell’art. 18, L. n. 765/1967, ubicata nel piano cantinato del condominio nel quale si trovava l’appartamento che essi – Tizio in nuda proprietà e gli altri in usufrutto – avevano acquistato dai predetti convenuti e da Mevia unitamente ad un appartamento per civile abitazione, oltre alla condanna alla consegna di copia della chiave del cancello d’ingresso e del telecomando di apertura a distanza e al risarcimento del danno, avendo i convenuti impedito loro l’esercizio del diritto di disporre e godere in via esclusiva del parcheggio.

Costituitisi separatamente, i convenuti resistevano alle domande, deducendo che l’area in questione non rientrava tra quelle oggetto di presunzione di comunione ex art. 1117 c.c., che l’immobile era stato ultimato nel 1971, vigente la disciplina introdotta dall’art. 18, L. n. 765/1967, con la previsione di una zona da adibire a parcheggio nel vano cantinato, che tale area non era mai stata indicata in alcun atto come parte comune dell’edificio, né tale risultava dal regolamento di condominio accettato dagli attori, ma era stata accatastata separatamente dalle abitazioni, munita di autonoma quota millesimale e, nel 1974, locata a terzi.

Secondo i convenuti, inoltre, gli attori, nel 1982, avevano acquistato il solo appartamento, ma non anche la quota del vano cantinato, senza che potesse richiamarsi il regime pertinenziale introdotto dall’art. 26 della L. n. 47/1985, in quanto successivo all’acquisto, eccependo la prescrizione del diritto, l’indeterminatezza della domanda e l’inidoneità della superficie del vano ad assicurare il limite prescritto dalla L. n. 765/1967 e proponendo domanda riconvenzionale, volta ad ottenere l’annullamento del contratto di compravendita per vizio del consenso in caso di accoglimento la domanda, posto che essi non avrebbero alienato l’appartamento se avessero conosciuto la richiesta del box.

Ciò posto, il Tribunale messinese rigettava la domanda di rivendica della proprietà e dichiarava inammissibile quella di accertamento di diritto di uso in quanto tardivamente formulata.

Gli attori decidevano quindi di impugnare il provvedimento innanzi alla Corte d’Appello di Messina, nel cui giudizio si costituiva solamente Filano chiedendo il rigetto dell’appello e l’accoglimento del proprio appello incidentale.

Il giudice del gravame accoglieva l’appello proposto da Tizio, Caio e Sempronia limitatamente alla domanda di risarcimento del danno e confermando per il resto quando disposto dal Tribunale, il quale aveva disconosciuto, in capo agli attori, il diritto di proprietà sull’area adibita a parcheggio, siccome non previsto nell’atto di compravendita. Riteneva, inoltre, inammissibile la richiesta di riconoscimento di diritto d’uso ai sensi della L. n. 765/1967 in quanto tardiva e condannava le eredi di Filano al risarcimento nei confronti degli appellanti della somma di Euro 19.411,68.

Queste ultime, data la soccombenza in secondo grado, decidevano di proporre ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Tizio, Caio e Sempronia proponevano, invece, ricorso incidentale sulla base di tre motivi.

Con ordinanza la Corte disponeva l’integrazione del contraddittorio anche nei confronti degli originari convenuti rimasti contumaci nel giudizio di appello in quanto litisconsorti necessari sia per ragioni di ordine sostanziale, essendo stata la domanda di rivendicazione della proprietà dei parcheggi proposta anche avverso essi, sia per ragioni di ordine processuale, atteso che la presenza di più parti nei giudizi di merito deve necessariamente persistere anche in sede di legittimità.

Le ricorrenti provvedevano alla notifica del ricorso e i controricorrenti del ricorso incidentale anche ai predetti litisconsorti necessari, i quali rimanevano intimati.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso incidentale e accoglieva invece il primo motivo di quello principale con assorbimento del secondo.

Di conseguenza cassava la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinviava alla Corte d’Appello di Messina in diversa composizione.

QUESTIONI

Con il primo motivo di ricorso principale, le ricorrenti lamentavano la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. e del principio della domanda ex art. 99 c.p.c, per avere la Corte d’Appello condannato i ricorrenti al risarcimento del danno da mancato godimento del parcheggio, per non avere la ditta venditrice, alla luce della L. n. 765/1967, dotato il fabbricato degli spazi di parcheggio che in misura dimezzata rispetto a quanto originariamente previsto, senza considerare che la domanda risarcitoria era stata proposta dagli attori solo quale conseguenza della violazione del loro diritto di proprietà pro quota dell’area, sicché, accertata l’insussistenza di tale diritto, anche la domanda risarcitoria per lesione del diritto di proprietà avrebbe dovuto essere rigettata, né poteva essere accolta sulla base di altra e diversa causa petendi, ossia la violazione del diritto d’uso, sia in quanto non era mai stata prospettata sotto questo profilo, sia in quanto la domanda su tale diritto era stata anche dichiarata inammissibile.

Con la seconda doglianza le ricorrenti rilevavano la violazione degli artt. 1026 e 2934 c.c., la violazione della L. n. 765/1967, art. 18, nonché dell’art. 112 c.p.c., per omesso esame di eccezione e corrispondente motivo d’appello incidentale e la violazione del principio della compensatio lucri cum damno. Secondo le ricorrenti i giudici del gravame, nel riconoscere il diritto al risarcimento del danno per non avere la ditta venditrice, ai sensi della L. n. 765/1967, dotato il fabbricato degli spazi di parcheggio che in misura dimezzata rispetto a quanto originariamente previsto, avevano reso una motivazione apodittica, incomprensibile, ingiustificata e oltretutto viziata, sia in quanto contrastante con quanto dedotto dagli attori, che di quella porzione avevano chiesto, invece, il riconoscimento in proprietà, così dando per pacifica l’esistenza dei parcheggi e negando l’omessa destinazione di spazi sufficienti a tal fine, affermata, per contro, in sentenza, sia in quanto mancante di qualsiasi cenno all’eccezione di prescrizione per non uso ventennale del diritto d’uso, sollevata dagli attori subordinatamente all’accoglimento della domanda degli appellanti, posto che l’acquisto del bene risaliva al 1982 e che l’azione era stata esercitata nel 2004, con conseguente omessa pronunzia, sia in quanto sproporzionata nella quantificazione del risarcimento, essendosi basata su una CTU criticata anche per l’indeterminatezza dell’area e per il calcolo dell’importo. I giudici messinesi avevano, infine, omesso di pronunciarsi sul controvalore dell’indennizzo per il riconoscimento del diritto di godimento, ex art. 18 L. n. 765/1967, che era stato oggetto di eccezione e di domanda riconvenzionale dei convenuti, sia in primo grado che in appello, e degli stessi attori in sede di note ex art. 183 c.p.c. e in appello e che, se fosse stato valutato, avrebbe consentito di abbattere la pretesa risarcitoria in virtù del principio di compensatio lucri cum damno.

Con il primo motivo di ricorso incidentale, i ricorrenti si dolevano della violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, perché la Corte d’Appello, pur avendo pronunciato sulla domanda di risarcimento del danno conseguente al mancato godimento, da parte degli appellanti, dell’area di parcheggio, aveva omesso di pronunciarsi sul riconoscimento del diritto d’uso del parcheggio richiesto.

Con la seconda censura, i ricorrenti incidentali lamentavano la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo la Corte d’Appello omesso di pronunciarsi sulla richiesta di condanna degli appellati al riconoscimento, in loro favore, della quota di immobile rivendicata, in modo tale da garantire ad essi il principio di parità di godimento tra tutti i condomini siccome previsto dall’art. 1102 c.c..

Con il terzo motivo di ricorso incidentale, si censurava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2938 c.c. 112 c.p.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo la Corte d’Appello, liquidato in loro favore la somma di Euro 19.411,68, limitandola nel tempo all’anno 1997 fino alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado (08/02/2008), affermando che, per il periodo precedente il 1997, era intervenuta la prescrizione del diritto, senza considerare che tale prescrizione non era stata eccepita e che non poteva essere opposta d’ufficio, sicché il diritto avrebbe dovuto essere riconosciuto a decorrere dal 21/12/1982, data dell’acquisto dell’immobile e fino alla pubblicazione della sentenza di secondo grado e, con riferimento al periodo successivo, con una frazione dell’intero importo liquidato dal CTU, rapportato a una mensilità, per ogni mese successivo alla data di pubblicazione della sentenza di secondo grado, corrispondente al protrarsi del mancato utilizzo di quell’area e fino al soddisfo. Peraltro, quand’anche l’eccezione di prescrizione fosse stata sollevata, comunque i giudici avrebbero dovuto tener conto dei dieci anni precedenti la notifica del primo atto di citazione, avvenuta il 08/03/2000, il cui giudizio si era chiuso con estinzione per mancata riassunzione, dovendo quindi far decorrere la liquidazione dal 08/03/2000 fino al soddisfo, trattandosi di un danno attuale.

La Corte di Cassazione dichiarava in primis inammissibile il ricorso incidentale, in quanto tardivamente proposto.

Secondo la giurisprudenza di legittimità il termine di complessivi quaranta giorni ex artt. 369 e 370 c.p.c. per il deposito del controricorso per cassazione con contestuale ricorso incidentale decorre, nel caso di notifica reiterata nei confronti della medesima parte, dalla data della prima notifica, a meno che detta notifica non sia viziata da nullità, nel qual caso il termine stesso decorrerà dalla data della seconda notifica, con la conseguenza che la reiterazione della notifica del ricorso per cassazione alla stessa parte, una volta che il procedimento notificatorio si sia già validamente perfezionato, non vale a segnare una nuova decorrenza del termine per la proposizione del controricorso[1].

Ebbene, il ricorso principale veniva notificato, alla stregua di una delle modalità alternative previste dall’art. 330 c.p.c., presso il procuratore costituito dei controricorrenti via PEC ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53, pervenendo a destinazione il 12/02/2018, sicché il termine ultimo per la proposizione del ricorso incidentale era il 24/03/2018 (prorogato al giorno 26 siccome ricadente nella giornata di sabato).

Nonostante, il ricorrente avesse anche provveduto ad effettuare la notifica del ricorso, via posta, alle parti personalmente e che questa si perfezionava, per tutti e tre i controricorrenti, con la ricezione dell’atto in data 19/02/2018, sicché il termine per la proposizione del ricorso incidentale avrebbe avuto scadenza al 31/03/2018, (prorogato al 02/04/2018, poiché anch’esso ricadente di sabato).

Tuttavia è al primo dei due termini che occorre far riferimento al fine di individuare il dies a quo del termine per la proposizione del ricorso incidentale, in applicazione del principio secondo cui qualora la notificazione del ricorso per cassazione ad un difensore agente extra districtum in appello, che abbia eletto domicilio in quel giudizio, venga effettuata sia presso il suo studio, sia presso il domiciliatario, il termine per la notificazione del controricorso decorre dal perfezionamento della prima notificazione, se anteriore[2].

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso incidentale in quanto tardivamente proposto, essendo stato il ricorso principale consegnato alla controparte il 12/02/2018 ed essendo stato il ricorso incidentale notificato al procuratore dei ricorrenti il 31/03/2018.

Per quanto riguarda invece il ricorso principale, la Corte di legittimità dichiarava fondato il primo motivo, il quale assorbiva anche il secondo.

In particolare, i Giudici Supremi richiamavano il principio di diritto per cui per le aree destinate a parcheggio, interne o circostanti ai fabbricati di nuova costruzione, sussiste un vincolo di destinazione, di natura pubblicistica, per il quale gli spazi sono riservati all’uso diretto delle persone che stabilmente occupano le singole unità immobiliari delle quali si compone il fabbricato, o che a esse abitualmente accedono[3].

Dunque, l’originario proprietario del fabbricato, può legittimamente riservarsi, o cedere a terzi, la proprietà delle aree di parcheggio che eccedano la misura ex lege destinata all’uso degli acquirenti o degli utilizzatori delle singole unità immobiliari[4], nonché riservarsi o cedere anche relativamente alle aree soggette al vincolo di destinazione, a condizione che ai detti acquirenti venga riconosciuto e garantito il diritto reale d’uso, poiché la riserva di determinati spazi con tale destinazione è prevista non genericamente per qualunque possibile utilizzatore ma nei confronti dei soli occupanti di unità abitative e di quanti stabilmente occupino singole porzioni di proprietà individuale facenti parte dell’edificio[5].

Difatti, la speciale normativa urbanistica prevista con la L. n. 1150/1942, art. 41 sexies, introdotto dalla L. n. 765/1967, art. 18, non impone all’originario proprietario dell’intero complesso condominiale a cedere la proprietà delle aree di parcheggio unitamente alle singole unità immobiliari, in quanto l’obbiettivo del legislatore è da intendersi riferito ad un interesse collettivo e non individuale dei singoli acquirenti delle porzioni del fabbricato, il quale è certamente conseguito già con il solo fatto che il vincolo di destinazione venga rispettato con il riconoscere e garantire a costoro uno specifico diritto reale d’uso sulle aree stesse.

Pertanto, solo ove manchi un espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio (ovvero, nel primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto, che possa valere come titolo contrario alla presunzione di condominialità) le aree di parcheggio vanno ritenute parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c.; di conseguenza, l’amministratore di condominio sarà legittimato ad esperire, in relazione alle stesse, qualsivoglia azione contro i singoli condomini o contro i terzi diretta ad ottenere il ripristino dei luoghi ed il risarcimento dei danni, in quanto condotta riconducibile agli atti conservativi siccome previsti dall’art. 1130, comma 4, c.c.[6].

In sintesi, quindi, qualora manchi un’espressa riserva di proprietà o sia stato omesso qualsiasi riferimento nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, le aree adibite a parcheggio, devono essere ritenute parti comuni dell’edificio condominiale, ai sensi dell’art. 1117 c.c.; al contrario, se l’area adibita a parcheggio è stata oggetto di un’espressa riserva di proprietà, spetta in tal caso al soggetto il diritto d’uso della stessa, sicché la disciplina non vieta la negoziazione separata delle costruzioni e delle aree di parcheggio a esse pertinenti, ma esclude solo che tale negoziazione possa incidere sulla permanenza del vincolo reale di destinazione gravante sulle stesse.

Dato tale assunto, la Corte di Piazza Cavour riteneva che i giudici di merito fossero incorsi in un contrasto irriducibile di affermazioni e in un vizio di motivazione apparente. Gli stessi, infatti, secondo il Supremo Collegio, avevano, da una parte, escluso che il titolo di proprietà degli appellanti riflettesse la comproprietà del vano cantina – ritenendo altresì inammissibile, poiché tardiva, la domanda volta ad ottenere il riconoscimento ai proprietari degli appartamenti dell’edificio del diritto d’uso delle aree adibite a parcheggio – e, dall’altra, riconoscendo ai medesimi, in maniera del tutto apodittica, il risarcimento del danno per mancato godimento del parcheggio, senza motivare a che titolo spettasse ad essi l’importo liquidato, stante la decisione di rigetto e inammissibilità.

Secondo i giudici di legittimità, pertanto, l’impossibilità di individuare le ragioni della decisione che ha portato al riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, nonostante il rigetto della domanda di riconoscimento della proprietà delle aree adibite a parcheggio e la declaratoria di inammissibilità di quella di riconoscimento del diritto d’uso, rendeva meramente apparente la motivazione della sentenza impugnata, con conseguente fondatezza della censura e pedissequo assorbimento del secondo motivo.

[1] Cass. civ., SS. UU., Sent. n. 7454/2020. Inoltre, i giudici di legittimità ribadivano che il termine per il deposito del controricorso, che decorre dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso di modo che il dies a quo del primo termine opera in effetti anche come dies a quo per il secondo, deve calcolarsi dal giorno della effettiva notificazione del ricorso al controricorrente (cfr. Cass. civ., SS.UU., Sent. n. 5769/2012).

[2] Cass. civ., Sent n. 15351/2017.

[3] Cass. civ., SS.UU., Sent n. 6602/1984.

[4] Vedasi L. n. 1150/1942, art. 41 sexies, come introdotto dalla L. n. 765/1967, art. 18, e L. n. 122/1989, art. 2.

[5] Cfr. Cass. civ., Sent. n. 4197/2000.

[6] Cfr. Cass. civ., Ord. n. 18029/2020 e Cass. civ., Ord. n. 18796/2020.

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