La Direttiva n. 104/2014 in materia di private enforcement del diritto antitrust e il sistema di acquisizione processuale della prova. Considerazioni comparatistiche
di Biancamaria Bertan Scarica in PDF
La direttiva comunitaria n. 104/2014 in materia di private enforcement del diritto antitrust sembrerebbe introdurre un sistema di acquisizione processuale della prova che, come già accaduto in materia di proprietà industriale, presenta significativi profili di comunanza con la discovery statunitense, specie con riferimento al ruolo manageriale del giudice, alla tutela dei trade secrets e alla richiesta di disclosure per categorie di prove.
1. Introduzione
Nel dicembre 2014 è stata emanata la Direttiva comunitaria n. 104/2014 in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle disposizioni che regolano il diritto della concorrenza degli Stati Membri e dell’Unione Europea, a oggi non ancora recepita dallo Stato italiano. Tuttavia, di recente emanazione è l’art. 2 della legge 9 luglio 2015 n. 114, recante delega per l’attuazione (cfr. Mazzini, Nuove regole antitrust per una tutela mirata del consumatore, in Giuda al Dir., n. 43/2015, 60).
La Direttiva in parola costituisce esempio paradigmatico di una politica europea favorevole alla complementarietà tra i sistemi di public e private enforcement e all’idea che il rafforzamento delle azioni risarcitorie individuali sia dirimente per un più efficace contrasto delle condotte anticoncorrenziali (in tal senso già si era espressa la giurisprudenza comunitaria e, in particolare, Corte di Giustizia, 20 settembre 2001, causa C-453/99 Bernard Crehan c. Courage Ltd et alt.; e sentenza del 13 luglio 2006, cause riunite C- 295/2004 a C-298/04, Vincenzo Manfredi et alt. C. Lloyd Adriatico assicurazioni S.p.A. et alt.; in dottrina si veda Chieppa, L’impatto delle nuove regole sull’accesso al fascicolo dell’Autorità, in Conc. e mercato, 2014, 279; Siragusa, L’effetto delle decisioni delle Autorità nazionali della concorrenza e del mercato nei giudizi per il risarcimento del danno: la proposta della Commissione e il suo impatto nell’ordinamento italiano, in Conc. e mercato, 2014, 313).
Al fine di superare le asimmetrie informative che caratterizzano tali azioni (così Muscolo, La quantificazione del danno nel processo antitrust, in Pace (a cura di), Dizionario Sistematico del diritto della concorrenza, Napoli, 2013, 338), la Direttiva n. 104/2014 introduce due significative novità: in primo luogo, agli artt. 5 a 8 riconosce al giudice civile il potere di disporre l’accesso agli atti in possesso delle Autorità garanti della concorrenza (cfr. Chieppa, cit., 279 ss.) e alle informazioni detenute dalla parte o da un terzo; in secondo luogo, sembra attribuire all’art. 9 efficacia di accertamento alle decisioni definitive delle Autorità, così sviluppando quanto già affermato dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte di Giustizia, 14 dicembre 2000, caso C-344/98, Materfoods, in Racc., 2000, I-11369 e Corte di Giustizia, 6 novembre 2012, C-199/11, Ostis) e poi confermato all’art. 16 del Reg. n. 1/2003 con riferimento agli effetti delle decisioni della Commissione C.E. nei giudizi civili (sul punto Rordorf, Il ruolo del giudice e quello dell’Autorità nazionale della Concorrenza e del Mercato nel risarcimento del danno antitrust, in Le Società, 7, 2014, 784).
In dottrina è discusso se il legislatore nazionale dovrà attivarsi adottando norme nuove specificatamente pensate per la materia antitrust, dal momento che la Direttiva introduce anche nei sistemi di civil law la discovery, tipica dei Paesi di common law (cfr. Villa, La direttiva europea sul risarcimento del danno antitrust: riflessioni in vista dell’attuazione, in Corr. giur., n. 3/2015, 301; Bruzzone – Saija, Verso il recepimento della direttiva sul private enforcement del diritto antitrust, in Conc. e mercato, 2014, 257) o se, al contrario, possano essere sufficienti disposizioni di minimo adeguamento della disciplina già in essere (così Negri, In dirittura d’arrivo la Direttiva sulle azioni per il risarcimento del danno antitrust, in Int’l Lis, 2014, 2, 73).
Al di là della spendita del concetto di «divulgazione» nella traduzione italiana della Direttiva (che appare del tutto inappropriata e, destinata in sede di recepimento ad essere sostituita, ragionevolmente e a seconda dei casi, con l’«esibizione» e la «produzione»; cfr. Ruffini, Produzione ed esibizione di documenti, in Riv. dir. proc., 2006, 433; Cavallone, La divulgazione della sentenza civile, 1964), il riferimento corre all’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. e agli istituti di cui agli artt. 121 bis e 156 c.p.i., quest’ultimi – come noto – anch’essi di derivazione comunitaria (si segnala sul punto Ferrari, Note a prima lettura sulle norme processuali contenute nel codice della proprietà industriale, in Riv. dir. ind., 2005, 339; Benvenuto, Il sistema della discovery e del diritto di informazione industriale nel codice della proprietà industriale, in Riv. dir. ind., 2007, 118).
Occorre, peraltro, specificare che ai sensi dell’art. 6 par. 2 della Direttiva l’acquisizione dei documenti contenuti nel fascicolo dell’Autorità garante potrà avvenire, in via concorrente (fermo restando la diversità dei presupposti applicativi), attraverso l’ordine giudiziale di «divulgazione» ovvero in via amministrativa tramite l’istituto dell’accesso al fascicolo dell’Autorità.
Recita, infatti, tale disposizione che «il presente articolo non pregiudica le norme e prassi in materia di accesso del pubblico ai documenti previste dal regolamento (CE) n. 1049/2001». Occorrerà, quindi, in sede di recepimento coordinare adeguatamente la disciplina contenuta nella Direttiva con l’art. 213 c.p.c. e con la disciplina sul diritto di accesso agli atti del procedimento antitrust di cui agli artt. 22, 23 e 24 l. 7 agosto 1990, n. 241 e all’art. 13 d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217.
2.Tratti salienti della discovery disciplinata nella Direttiva
Nell’intenzione della Direttiva un ruolo di fondamentale importanza, ai fini dell’accesso alla prova, è riconosciuto al giudice (cfr. Muscolo, Il ruolo del giudice nel governare l’acquisizione delle prove, in Conc. e mercato, 2014, p. 288; Rizzo, La funzionalizzazione del principio dell’onere della prova nella prospettiva dell’illecito antitrust, in Dir. civ. cont., 4 agosto 2015).
In via preliminare, occorre osservare che le condizioni indicate nella Direttiva perché possa essere attivata la discovery sono essenzialmente da individuarsi: nella semiplena probatio dei fatti; nel vaglio positivo in punto di rilevanza dei fatti e delle prove da acquisire; nella prova che le informazioni siano nella sfera di controparte o di un terzo; nella specificazione ragionevole delle informazioni richieste sulla base di quanto disponibile.
Non rilevano, dunque, salvo un vago cenno nel 16° considerando, i requisiti della necessarietà e indispensabilità dell’ordine di esibizione di cui all’istituto domestico dell’esibizione (per una ricostruzione dei concetti si rinvia a Cavallone, voce Esibizione, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, 674; Graziosi, L’esibizione istruttoria nel processo civile italiano, Milano, 2003).
3. L’istanza di parte
L’art. 5 par. 1 prevede che l’ordine di divulgazione possa essere pronunciato su istanza di parte, ma non è precluso al legislatore nazionale di introdurre poteri ufficiosi del giudice.
A favore di tale ipotesi si è espressa Cass. 4 luglio 2015, n. 11564, che ha affermato che il giudice, tenuto conto della particolare asimmetria informativa che caratterizza le controversie antitrust, debba interpretare estensivamente la normativa del codice di rito in modo funzionale all’obiettivo di garantire un’efficace tutela risarcitoria e, all’occorrenza, attivare poteri di indagine utili a ricostruire la fattispecie denunciata, ciò, peraltro, senza che si dia luogo a una violazione del principio dell’onere della prova.
Questa opzione ermeneutica sembra ricalcare, in larga misura, l’art. 106 delle Federal Rules of Evidence, (c.d. Rule of Completeness), secondo cui qualora al trial una parte introduca un documento solo parzialmente completo, si può ottenere – attraverso l’attivazione di poteri istruttori integrativi – l’acquisizione dell’informazione nel suo complesso, al fine di garantire l’adeguatezza del quadro probatorio, a garanzia della serietà del processo (Ferrari, La prova migliore, Milano, 2004, p. 165).
4. L’esibizione disposta per categorie di prove e le fhishing expediction
La Direttiva, inoltre, a differenza di quanto richiesto dall’art. 94 disp. att. c.p.c, prevede che l’esibizione possa essere disposta anche per categorie di prove, con la conseguenza che l’effetto potrebbe essere quello di consentire un uso della discovery con funzione esplorativa, in modo non dissimile da quanto previsto nel diritto statunitense dalle Federal Rules of civil procedure 26(b) e 34 in punto di Production of Documents.
L’ordinamento statunitense con la FRCP 8, a differenza di quello italiano, aderisce infatti all’idea che la fase pre-trial possa trarre l’abbrivio da atti introduttivi (c.d. notice or semplified pleadings) privi di un oggetto ben specifico (anche se è in atto un ripensamento giurisprudenziale sul punto; cfr. Della Bontà, La Suprema Corte statunitense generalizza l’onere di specificità dell’atto introduttivo (complaint): da Twombly (2007) a Iqbal (2009), in Int’l Lis, 2010, 2, 94) e che attraverso l’attività di discovery si proceda ad una chiarificazione progressiva delle questioni controverse (c.d. issue focusing). Ne consegue che durante il pre-trial è possibile acquisire prove non solo su fatti compiutamente identificati nei pleadings (c.d. attività evidence gathering), ma anche ricercare informazioni reasonably calculated to lead to the discovery of admissible evidence (cfr. Marcus, Civil Discovery. A modern approach, St. Paul, Minn., 2009; Glaser, Pre-trial discovery and the adversary system, New York, 1967; Haydock-Herr, Discovery: theory, practice and context, Toronto-Boston, 2009; Subrin, Dicovery in global prospective: are we nuts?, 52 De Paul L. Rev., 299, 2002).
La Corte Suprema, nel caso Hickman v. Taylor del 1947, affermò che «mutual knowledge of all the relevant facts gathered by both parties is essential to proper litigation» e che, per poter ritualmente avanzare una richiesta di discovery, è sufficiente che «the would be angler must have a general idea of what kind of fish he or she is hoping to catch».
Poiché, tuttavia, la fishing expetition costituisce il principale fattore di abuso processuale, essa è ammessa dalle Corti americane solo previa autorizzazione.
L’avversione del giurista europeo ad una legal trasplant della civil discovery discende dal riconoscimento della sola l’attività di evidence gathering, rimanendo del tutto invisa quella di fishing expedition, ossia di ricerca orientata verso un qualsiasi obiettivo di verità storica..
Ai sensi dell’art. 184 c.p.c., il giudice – infatti – procede all’assunzione dei soli mezzi di prova ammessi e non all’assunzione di una qualunque informazione che, a giudizio delle parti, possa avere una qualche attinenza con i fatti di causa.
Un limite più cogente all’ammissibilità di istanze meramente esplorative pare rinvenibile, ad una più attenta riflessione, anche nella Direttiva enforcement e, in particolare, nel giudizio di plausibilità della domanda di esibizione e nell’esigenza che la divulgazione sia disposta solo ove proporzionata, anche in relazione ai costi che essa comporta per la responding party ai sensi dell’art. 5 par. 3 lett. b) e considerando n. 15 (in tali termini Negri, cit., 73).
5. Tutela dei trade secrets
Da ultimo, si osservi che la Direttiva è particolarmente attenta al profilo della tutela della segretezza delle informazioni commerciali (cfr. Osti, Un approccio pragmatico all’attuazione giudiziale delle regole di concorrenza nell’ordinamento italiano, in Conc. e mercato, 2014, 291).
Il problema del nocumento che la discovery di determinate informazioni può arrecare ai soggetti privati è questione di bilanciamento di confliggenti interessi che, nel caso concreto, rilevano e alla cui composizione, ancora una volta, è preposto il giudice, e ciò tanto nel diritto sovranazionale (cfr., inter alia, Corte di Giustizia, Grande Sezione, sent. 14 giugno 2011, C-360/09, Pfleiderer Ag c. Bundeskartellamt e Corte di Giustizia, sent. 6 giugno 2013, C-536/11, Bundeswettbewerbsbehorde c. Donau Chemie) quanto nella disciplina nazionale (v. Carboni, Considerazioni sull’esibizione ordinata al terzo, in Riv. dir. proc., 1996, 676; Graziosi, L’esibizione istruttoria nel processo civile italiano, Milano, 2003, 101; Trocker, Il contenzioso transnazionale e il diritto alle prove, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1991, 491; Marcus, cit., 364 per il caso della Coca cola bottoling v. Coca cola Co.).
6. Tutela del legal privilege
L’art. 5 par. 6 della Direttiva sancisce che «gli Stati membri provvedono affinché i giudici nazionali garantiscano la riservatezza delle comunicazioni tra avvocati e clienti» (c.d. legal privilege o attorney-client privilege). La Corte di Giustizia, tuttavia, limita tale protezione ai soli avvocati esterni (caso C-590/07 Akzo Nobel; cfr. Negri, cit., 73).
Anche nel sistema statunitense le conversazioni a carattere privato intercorse tra clienti ed avvocati sono cause di giustificazione idonee a escludere che la disclosure abbia effettivamente luogo (cfr. Marcus, Civil procedure, cit., 345; Hazard, From whom no secrets are hid, cit., 479; Note, Maintaining confidence in confidentiality: the application of the attorney client privilege to government counsel, 112 Harv. L. Rev., 1995, 1999; Gardner, Agency problems in the law of attorney- client privilege: introduction, in 42 U. Det. L. J., 1964, 1; Ficcarelli, Esibizione di documenti e discovery, Torino, 2004, 184).
Tuttavia, in base alla c.d. work-product doctrine, sviluppata nel già citato caso Hickman, se la parte dimostra di avere assoluto bisogno dei materiali preparati dal difensore dell’avversario (ad es. per decesso di un testimone già sentito da controparte), la Corte può disporre che la discovery abbia comunque luogo. Ad essere oggetto di rivelazione saranno, però, soltanto i documenti preparati in vista del processo – i c.d. ordinary work-product – e non anche le personali impressioni e rilievi del difensore – altrimenti detti opinion work-product: nelle parole della Suprema Corte, nemmeno le più liberali teorie sulla discovery possono giustificare una indiscriminata ricerca nei files e nelle impressioni mentali, opinioni e conclusioni dell’avvocato avversario.