La determinazione delle distanze legali da ripristinare è determinata dal giudice dell’esecuzione dell’obbligo di fare ex art 612 c.p.c.
di Cecilia Vantaggiato Scarica in PDFOve sia realizzata una costruzione in violazione delle distanze o dei confini, la riconosciuta illegittimità della stessa non ne comporta necessariamente la demolizione integrale, ma, unicamente, la riduzione entro i limiti di legge, con demolizione delle sole parti che superano tali limiti. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui venga ordinata la demolizione della costruzione illegittima, senza specificare l’esatta misura della inosservanza di distanze o confini, il relativo accertamento può essere effettuato esclusivamente dal giudice dell’esecuzione, nell’esercizio dei poteri previsti dall’ art. 612 c.p.c.
CASO
La fattispecie ha ad oggetto la violazione delle distanze legali tra costruzioni.
In primo grado il Tribunale di Parma condannava i convenuti al pagamento di una somma di denaro, oltre interessi legali, a titolo di risarcimento del danno consistente nel deprezzamento del fabbricato di proprietà dell’attore realizzatosi in seguito alla violazione delle distanze. Il tribunale respingeva altresì ogni altra domanda attorea e rigettava le domande riconvenzionali dei convenuti.
Proponeva appello l’attore, invocando altresì la tutela reale. La Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava gli appellati ad arretrare il manufatto di loro proprietà alla distanza legale di dieci metri dal fabbricato di proprietà dell’appellante. Gli appellati proponevano ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
La Corte di cassazione ha ritenuto corretto il decisum dei Giudici dei precedenti gradi, affermando unicamente l’ammissibilità del terzo motivo di ricorso, mediante il quale i ricorrenti contestavano l’omesso esame da parte della Corte d’appello di uno specifico motivo d’impugnazione contenuto nell’appello incidentale, vale a dire la condanna degli appellati al risarcimento del danno, avendo la Corte erroneamente ritenuto che si fosse verificato il passaggio in giudicato di tale capo della sentenza di primo grado per acquiescenza, nonostante l’evidenza del gravame incidentale interposto.
La Suprema Corte, per il resto, ha confermato quanto statuito nelle precedenti pronunce, ritenendo l’accertamento dell’abusività della costruzione non comporta necessariamente la demolizione integrale dell’opus, quanto piuttosto la riduzione entro i limiti legali, secondo le modalità dettate dal giudice dell’esecuzione ex art 612 c.p.c., mediante esecuzione in forma specifica di obblighi di fare o di non fare (id est, di distruggere ciò che è stato realizzato in violazione di un obbligo di non facere).
QUESTIONI
La sentenza affronta il tema relativo alla mancata indicazione dell’esatta misura della inosservanza di distanze o confini, nel caso in cui venga ordinata la demolizione della costruzione abusiva; secondo gli Ermellini, tale accertamento può essere effettuato esclusivamente dal giudice dell’esecuzione, nell’esercizio dei poteri previsti dall’art. 612 c.p.c.
La pronuncia, quindi, ribadisce il principio alla base dell’enunciato art. 612 c.p.c., in forza del quale chiunque intenda ottenere l’esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare deve chiedere al giudice dell’esecuzione che siano determinate le modalità dell’esecuzione.
La norma si inserisce all’interno del regime di tutela delineato dagli artt. 2931 e ssg c.c., con cui si consente l’attuazione coattiva di diritti assoluti e, secondo parte della dottrina, anche di diritti relativi che trovino la propria fonte nella lesione di un diritto assoluto. Benché non venga specificato, si ritiene che gli obblighi cui fa riferimento la norma abbiano contenuto positivo, in quanto la loro attuazione per il tramite dell’ufficio esecutivo si manifesta sempre in un facere mediante l’esecuzione della prestazione ab origine prevista ovvero con l’eliminazione di quanto realizzato in violazione dell’obbligo di non facere.
È di tutta evidenza, quindi, come in tali situazioni si renda necessario l’intervento del giudice al fine di determinare le modalità di attuazione coattiva dell’obbligo; ciò anche in ragione del favor debitoris cui sembra ispirata la norma, affinché il debitore non risulti eccessivamente gravato da modalità d’esecuzione che, se non determinate da un soggetto terzo qual è l’organo della procedura, potrebbero risultare in contrasto con i principi di proporzionalità e ragionevolezza.
Ulteriore presupposto di applicazione dell’art 612 c.p.c. è dato dalla fungibilità della prestazione: oggetto di esecuzione in forma specifica possono essere soltanto obblighi fungibili. La fungibilità altro non è che la possibilità che la prestazione possa essere realizzata anche da un soggetto diverso dall’obbligato. Tra le ipotesi di obblighi infungibili possono annoverarsi ex multis i casi delle obbligazioni intuitu personae o quelle relative a prestazioni che siano materialmente ineseguibili o, ancora, gli obblighi c.d. di non fare, non potendosi richiedere un comportamento di astensione, se non in capo al soggetto obbligato (anche se a tal proposito occorre rammentare che la novella di cui alla l. n. 69/2009 ha introdotto l’art 614 bis c.p.c., id est l’esecuzione indiretta di obblighi aventi ad oggetto prestazioni infungibili mediante misure coercitive). Sul punto, ha avuto modo di esprimersi di recente anche la Cassazione (cfr. Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 16/05/2018, n. 12030) la quale ha ribadito che l’esecuzione forzata di cui all’art. 612 c.p.c. in tanto può essere promossa in quanto abbia ad oggetto un facere fungibile (così già Sezioni Unite, sentenza 9 gennaio 1978, n. 50), posto che la procedura implica la designazione dell’ufficiale giudiziario che dovrà provvedere a vigilare affinché venga (da altri) compiuta l’opera non eseguita o, viceversa, venga distrutta quella compiuta.
Si ricordi, inoltre, che in tema di esecuzione forzata di obblighi di fare, il giudice chiamato ad adottare i provvedimenti ex art. 612 c.p.c. è dominus della sola interpretazione della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo che, ove ancora “sub iudice” per essere pendente il relativo giudizio di impugnazione, è destinata ad essere confermata o annullata indipendentemente da tale interpretazione, ostando alla formazione di preclusioni da giudicato l’alterità degli oggetti dei giudizi di cognizione e di esecuzione (Cass. civ. Sez. II Sent., 30/03/2016, n. 6148).
L’art. 612 c.p.c., pertanto, consente di fissare le modalità di attuazione di una determinata condotta materiale fungibile in sostituzione del debitore (nel caso invece della condanna al pagamento di una somma di denaro che indichi specifiche modalità di adempimento non può in alcun modo essere qualificata come condanna relativa ad un obbligo di fare e non può trovare esecuzione attraverso il procedimento di cui agli artt. 612 c.p.c. e ss., ma esclusivamente attraverso il processo esecutivo di espropriazione forzata: così Cass., 02/10/2018, n. 23900).
Solo il procedimento di cui all’art 612 c.p.c. consente di individuare le concrete modalità tecnico-giuridiche dell’arretramento idoneo a osservare le distanze legali, in quanto si tratta di modalità che investono la fase dell’esecuzione nell’ambito dello specifico procedimento (così anche Cass. civ. Sez. II, Sent., 16-06-2016, n. 12479).
Al caso di specie non risulta applicabile l’art. 2933, comma 2, c.c., che limita l’esecuzione forzata degli obblighi di non fare (recte, di distruggere l’opus realizzato in violazione di un obbligo di non fare), vietando la distruzione della cosa che sia di pregiudizio all’economia nazionale. La norma, infatti, va riferita alle sole fonti di produzione o distribuzione della ricchezza dell’intero Paese e, pertanto, non è invocabile per evitare lo spostamento di una costruzione alla distanza prescritta, comportando la persistenza di detta costruzione, al contrario, una lesione di rilevanti interessi individuali (Cassazione civile sez. II, 31/10/2017, n.25890).
In conclusione, vige nel nostro ordinamento il principio di diritto, più volte sancito dalla Corte, in virtù del quale, in materia di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, spetta al giudice dell’esecuzione accertare la portata sostanziale della sentenza di cognizione e determinare le modalità di esecuzione dell’obbligo idonee a ricondurre la situazione di fatto alla regolamentazione del rapporto ivi stabilita, nonché verificare la corrispondenza a tale regolamentazione del risultato indicato dalla parte istante nel precetto e, se del caso, disporre le opere necessarie a realizzarlo, con provvedimento impugnabile con appello ove si discosti da quanto stabilito nel titolo da eseguire, giacché in tal caso esso non costituisce più manifestazione dei poteri del giudice dell’esecuzione e conseguentemente non è impugnabile nelle forme proprie degli atti esecutivi e dell’opposizione a questi, ex art. 617 c.p.c. (Cass. 12 Dicembre 2018, n. 32196; Cass. 14 marzo 2003, n. 3786).
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