La delibera che decide sull’azione sociale di responsabilità degli amministratori va interpretata secondo i canoni dell’ermeneutica contrattuale
di Dario Zanotti, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., Sez. I, 12 maggio 2021, ordinanza n. 12568
Parole chiave: Società di capitali – Interpretazione – Delibera
Massima: “In materia di società di capitali, l’interpretazione delle deliberazioni assembleari soggiace alle regole dell’ermeneutica contrattuale, ove il richiamo alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche quando il senso letterale non è oscuro o incerto, ma risulta incoerente con indici esterni che rivelano una diversa volontà dei contraenti. (Nella specie, la S.C. ha respinto l’eccezione secondo la quale doveva ritenersi autorizzata l’azione di responsabilità ex art. 2393 c.c. solo per le condotte espressamente menzionate in assemblea, rilevando che era stata approvata la proposta di esercizio di tale azione per i danni ‘a qualunque titolo causati’, senza che, nel corso della discussione, fosse emersa la volontà di ridurne la portata).”
Disposizioni applicate: Artt. 2393, 2393 bis c.c.
È noto che l’azione di responsabilità verso gli amministratori di una società di capitali, promossa dalla stessa società, necessiti di essere sostenuta da una delibera approvata dall’assemblea dei soci o del collegio sindacale ai sensi dell’art. 2393 c.c., oppure che possa essere esercitata direttamente da tanti soci che rappresentino le quote di capitale sociale indicate all’art. 2393 bis c.c..
Quanto ai requisiti di contenuto e specificità della deliberazione, l’art. 2393 c.c. tuttavia non fornisce dettagli. La Cassazione ha quindi recentemente avuto occasione di fornire alcuni criteri guida che consentano di determinare eventuali confini di una delibera con la quale si decide di avviare un’azione di responsabilità verso gli amministratori.
Nel caso che qui si analizza, si è discusso se la delibera circa l’azione sociale di responsabilità nei confronti dell’amministratore riguardasse solo alcune tipologie di danno (in particolare, danni causati dall’amministratore per spese non riconducibili a finalità aziendali in un determinato arco temporale) o se invece potesse contenere domande di risarcimento per danni ulteriori. Inoltre, stante il silenzio della delibera di specie sul punto, è stata anche messa in discussione la validità della delibera anche per il successivo grado di appello.
La presenza di una delibera circa l’azione sociale di responsabilità, infatti, non è elemento di poco conto, giacché è indispensabile presupposto per valutare la sussistenza della legittimazione processuale del legale rappresentante della società (sul punto, la Cassazione cita propri precedenti provvedimenti – Cass. 10 settembre 2007, n. 18939; e Cass. 6 giugno 2003, n. 9090 – secondo i quali la deliberazione assembleare richiesta dell’art. 2393, comma 1, c.c. per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità è un elemento indispensabile al promovimento dell’azione di responsabilità e al fine di integrare la legittimazione di colui che, in qualità di legale rappresentante della società, agisce nel processo).
Quanto alla necessità di individuare precisamente oggetto e confini dell’azione di responsabilità, la Cassazione ha rilevato come non manchino, in dottrina e in giurisprudenza, affermazioni nel senso dell’ammissibilità di un’azione di responsabilità incentrata su fatti diversi da quelli che l’assemblea abbia preso in considerazione. Tuttavia, prosegue la Cassazione, sarebbe difficile negare che l’organo amministrativo della società sia tenuto conformarsi ad una deliberazione che abbia eventualmente fissato i precisi limiti entro i quali è stato deciso di modulare un’azione di responsabilità.
Ciò non significa, sempre secondo la Cassazione, che se una delibera reca menzione di alcuni comportamenti oggetto dell’azione di responsabilità, sia precluso prospettarne in giudizio di ulteriori. L’identificazione in delibera di alcuni fatti non sarebbe un elemento rappresentativo della volontà dell’assemblea di basarsi su di essi soltanto; la menzione di determinati addebiti verso l’amministratore potrebbe infatti avere valore esemplificativo, o potrebbe essere finalizzata a precisare che la domanda giudiziale da proporsi non possa prescinderne, o potrebbe indicare, più semplicemente, il rilievo che l’assemblea assegna a quella condotta sul piano delle motivazioni che l’hanno spinta a deliberare l’azione di responsabilità (senza tuttavia escludere che questa possa avere ad oggetto anche altri comportamenti).
A sostegno di tale tesi, la Cassazione ha evidenziato che le delibere soggiacciono alle regole ermeneutiche dettate per i contratti quando se ne deve interpretare il contenuto dispositivo (rifacendosi sul punto a propri orientamenti: Cass. 10 gennaio 2018, n. 375; e Cass. 12 dicembre 2005, n. 27387); perciò, oltre al dato letterale, la delibera va interpretata anche tenendo conto anche della comune intenzione delle parti, e di criteri logici, teleologici e sistematici.
Nel caso di specie, nella delibera dell’assemblea non è stata espressa alcuna volontà di restringere l’azione di responsabilità a particolari e circoscritte tipologie di danni (ossia solo a quelli derivanti dall’uso per scopi personali delle carte di credito della società in un certo lasso temporale), né è stata espressa alcuna limitazione circa il potere di proporre impugnazioni – del resto si è escluso che l’assemblea fosse tenuta a pronunciarsi sul punto, visto che l’intervento dell’organo assembleare è previsto, oltre che per la proposizione dell’azione di responsabilità, per i soli casi di rinuncia all’esercizio della detta azione e di transazione (cfr. art. 2393 c.c., comma 6). Pertanto, per concludere, la Cassazione ha ritenuto possibile affermare che la volontà assembleare non fosse nel senso di circoscrivere rigidamente l’iniziativa giudiziale contro l’amministratore quanto ad oggetto e impugnazione.