13 Novembre 2018

La datio in solutum

di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDF

Abstract

Il presente contributo si pone l’obiettivo di analizzare l’istituto della datio in solutum evidenziandone la portata e la natura giuridica e valutandone, altresì, le concrete applicazioni giurisprudenziali.

  1. La prestazione in luogo dell’adempimento: l’art. 1197 c.c.

L’articolo 1197 c.c. disciplina, con il nome di prestazione in luogo dell’adempimento, una delle modalità di estinzione dell’obbligazione. Tale istituto è anche noto con la locuzione di datio in solutum per le sue origini di matrice romanistica: nel diritto romano, infatti, l’espressione identificava l’adempimento delle obligationes in dando mediante trasferimento di un aliud pro alio.

L’art. 1197 co. 1 del vigente codice (il precedente codice del 1865 non prevedeva, invece, questo istituto) stabilisce che “il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta. In questo caso l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita”.

Principio generale in materia di adempimento delle obbligazioni, come richiamato dallo stesso art. 1197 c.c., è la necessaria identità tra prestazione eseguita dal debitore e prestazione dovuta in base al titolo da cui deriva il rapporto obbligatorio.

Alla stregua di tale principio il debitore non può liberarsi dal vincolo se non esegue esattamente la prestazione oggetto dell’obbligazione salvo che il creditore non acconsenta a ricevere una prestazione diversa, ritenendola egualmente idonea a soddisfare il proprio interesse.

È proprio questa la logica della dazione in pagamento che, in deroga a tale principio, consente al debitore, con il consenso del creditore, di estinguere l’obbligazione attraverso una prestazione diversa – anche di valore uguale o superiore a quella originaria – che sostituisce quella originariamente dovuta.

Nella dazione in pagamento, infatti, l’adempimento della diversa prestazione è diretta consensualmente ad estinguere l’obbligazione originaria. La datio in solutum è ammessa per qualunque prestazione, purché lecita, di fare, non fare ovvero di dare non essendo necessaria un’equivalenza economica tra la prestazione sostitutiva e quella dovuta; tuttavia l’unico limite è rappresentato dall’obbligazione originaria: l’oggetto della prestazione sostitutiva, infatti, non può essere identico a quello della prestazione originaria.

Alla luce di queste considerazioni e della stessa formulazione dell’art. 1197 c.c. si possono individuare i tratti essenziali dello schema legale.

In primo luogo, la prestazione che è diretta ad estinguere l’obbligazione originaria, è differente rispetto a quella originariamente dovuta, ancorché l’obbligazione che si estingua non sia nuova. La datio in solutum, infatti, si distingue dalla novazione oggettiva perché, a differenza di quest’ultima, determina l’estinzione del rapporto obbligatorio senza che a ciò consegua la costituzione di un nuovo obbligo. L’individuazione dell’oggetto della prestazione è rimessa all’autonomia negoziale delle parti e costituisce l’elemento che consente di distinguere la dazione in pagamento dalla novazione oggettiva: mentre nella prima si ha sostituzione dell’oggetto dell’adempimento, nella seconda si ha sostituzione dell’intera obbligazione (CANDIAN, Prestazioni in luogo dell’adempimento, in Digesto civ., XIV, Torino, 1996, 266).

In secondo luogo, per aversi dazione in pagamento, è essenziale l’accordo tra creditore e debitore volto alla modificazione del rapporto e, in terzo luogo, occorre l’adempimento della prestazione per estinguere quella precedente: il contratto si perfeziona (e il relativo effetto estintivo si verifica) solo quando sia stata eseguita la diversa prestazione.

Si è molto discusso in dottrina sulla natura giuridica della datio in solutum, secondo una tesi minoritaria (CANNATA, L’adempimento, in Trattato di Rescigno, IX, I, Torino, 1984, 75)  quest’ultima non è un contratto solutorio reale bensì un negozio unilaterale a carattere autorizzatorio del creditore. Infatti secondo questa ricostruzione la dichiarazione di consenso del creditore resta una semplice dichiarazione recettizia autonoma che realizza un presupposto del trasferimento ma non fa parte del consenso che lo realizza.

La dottrina maggioritaria (MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VIII, 14, Milano, 1952, vol. II, 204; MICCIO, Delle obbligazioni in generale, in Commentario Utet, 1957, IV, tomo I, 90 ss; BRANCA, Istituzioni di diritto privato, 4ª ed., Bologna, 1958, 337; GRASSETTI, Datio in solutum (dir. civ.), voce del Novissimo digesto, Torino, 1965, V, 174) ritiene, invece, che la dazione in pagamento abbia natura contrattuale e si configuri, in particolare, come contratto solutorio (causa solvendi) liberatorio che estingue l’obbligazione in modo satisfattivo.

Si può dire allora che la datio in solutum (FRATINI, Il sistema di diritto civile. Le obbligazioni, vol. I, Roma, 2018, p.148) è un accordo tra le parti (debitore e creditore) volto ad estinguere un rapporto obbligatorio: un contratto, dunque, al quale propriamente può riferirsi la qualificazione di estintivo, in ragione dell’assunto dell’effetto tipico che ad esso consegue; un contratto, d’altra parte, oneroso, poiché realizza la soddisfazione di interessi confliggenti, attraverso opposte attribuzioni patrimoniali, una delle quali (quella del creditore) consistente nella liberazione del debitore pur senza l’esecuzione della prestazione originaria; un contratto che presuppone l’esistenza di una valida obbligazione da adempiere; un contratto, infine, con causa solutoria (causa solvendi).

Il secondo comma dell’art 1197 c.c. prevede che “se la prestazione consiste nel trasferimento della proprietà o di un altro diritto, il debitore è tenuto alla garanzia per evizione e per i vizi della cosa secondo le norme della vendita, salvo che il creditore preferisca esigere la prestazione originaria e il risarcimento”.

Il creditore, in questo caso, oltre all’adempimento dell’originaria prestazione ha a sua disposizione, a maggior tutela, i rimedi previsti del legislatore per il compratore (nel caso di vizi della cosa venduta, evizione, mancanza di qualità essenziale, ecc).

Mentre il secondo comma dell’art. 1197 c.c. tutela maggiormente il creditore il terzo comma è volto, invece, ad evitare che i terzi siano pregiudicati dal mutamento della prestazione. Viene stabilito, infatti, che la risoluzione (per inadempimento) della datio non comporta la riviviscenza delle garanzie prestate da terzi in ordine alla precedente prestazione determinando, quindi, la liberazione dei terzi garanti.

  1. La cessione del credito in luogo dell’adempimento: l’art. 1198 c.c.

Oggetto della datio in solutum può essere anche una cessione di credito.

La cessione del credito in luogo dell’adempimento costituisce, infatti, una species di dazione di pagamento: in luogo della prestazione originaria, se il creditore è consenziente, il debitore può cedergli un credito, in tale ipotesi l’art. 1198 comma 1 c.c. stabilisce che l’obbligazione si estingue solo con la riscossione del credito. Infatti, la cessione in solutione non importa, contrariamente alla norma dell’art. 1197, l’immediata estinzione dell’obbligazione, in quanto essa, salva diversa volontà delle parti, si presume fatta pro solvendo e non pro soluto cioè è liberatoria per il debitore solo se il creditore riscuote il credito cedutogli, a meno che la mancata riscossione dipenda da negligenza dell’accipiens nell’iniziare o nel proseguire le istanze contro il debitore cedutogli.

Le parti, in ogni caso, possono convenire che l’effetto estintivo dell’obbligazione si verifichi immediatamente con il perfezionarsi della cessione del credito, indipendentemente dalla sua riscossione.

In caso di cessione del credito in luogo dell’adempimento ex art. 1198 c.c. grava sul cessionario, che agisca nei confronti del cedente, dare la prova dell’esigibilità del credito e dell’insolvenza del debitore ceduto – cioè che vi è stata infruttuosa escussione di quest’ultimo – e dare, altresì, la prova che la mancata realizzazione del credito per totale o parziale insolvenza del debitore ceduto non è dipesa da negligenza nell’iniziare o proseguire le istanze contro il medesimo.

La cessione del credito in luogo dell’adempimento non comporta l’immediata liberazione del debitore originario, la quale consegue solo alla realizzazione del credito ceduto, ma soltanto l’affiancamento al credito originario di quello ceduto, con la funzione di consentire al creditore di soddisfarsi mediante la realizzazione di quest’ultimo credito. I

n questa situazione di compresenza il credito originario entra in fase di quiescenza, e rimane inesigibile per tutto il tempo in cui persiste la possibilità della fruttuosa escussione del debitore ceduto, in quanto solo quando il medesimo risulta insolvente il creditore può rivolgersi al debitore originario.  (in tal senso Cass., 15 febbraio 2007 n. 3469).

La dottrina tende a evidenziare che sebbene la datio in solutum e la cessione del credito pro solvendo tendano a coincidere per alcuni aspetti non devono confuse in quanto sono due fenomeni concettualmente distinti. Anche la giurisprudenza sembra propendere per una considerazione autonoma della fattispecie di cui all’art. 1198 c.c. in ragione del fatto che la cessione di credito può essere preordinata, a seconda dei casi, sia al conseguimento di uno scopo di garanzia sia alla realizzazione di una funzione solutoria.

  1. Questioni giurisprudenziali: l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie mediante pagamento a mezzo di assegni circolari.

Nella prassi economica è molto diffuso l’utilizzo di strumenti di pagamento alternativi al contante come gli assegni bancari o circolari per l’adempimento di un’obbligazione pecuniaria. Si pone il problema di stabilire se tali strumenti siano equiparabili al denaro e, quindi, se il pagamento effettuato con gli stessi configuri oppure no la fattispecie di dazione in pagamento.

Dottrina e la giurisprudenza prevalente ascrivono tale fattispecie all’istituto della datio in solutum. Un orientamento oramai consolidato afferma, infatti, che l’assegno bancario e circolare, pur essendo mezzi di pagamento, non sono equipollenti al denaro liquido e, di conseguenza, il loro utilizzo per adempiere un’obbligazione pecuniaria rappresenta un’ipotesi di datio in solutum che, secondo le regole generali, richiede il consenso del creditore (in tal senso, v. Cass. 21 dicembre 2002, n. 18240; Cass. 9 settembre 1998, n. 8927; Cass. 10 febbraio 1998, n. 1351 e Cass. 3 luglio 1980, n. 4205, che per prima aveva enunciato il principio in questi esatti termini.)

A sostegno di tale tesi militano una serie di argomenti: l’art. 1277 c.c. individua come mezzo di adempimento delle obbligazione pecuniarie la moneta avente corso legale nello stato e non l’assegno; l’art. 1182 c.c. stabilisce che il luogo di adempimento di tali obbligazioni è il domicilio del creditore e non la banca trattaria e, infine, la consegna di un assegno non comporta, come la consegna di moneta avente corso legale, l’immediata soddisfazione del creditore ed estinzione dell’obbligazione essendo, tale effetto, condizionato sospensivamente al buon fine dell’assegno.

Ne derivava, secondo tale tesi, che sebbene da un lato l’accettazione dell’assegno realizza una dazione in pagamento ex art. 1197 c.c., benché condizionata sospensivamente al buon fine dell’assegno (e, quindi, pro solvendo), dall’altro il creditore poteva legittimamente rifiutare o, comunque, non acconsentire alla consegna da parte del debitore dell’assegno in luogo del denaro liquido (Cass. 14 febbraio 2007, n. 3254; Cass. 10 giugno 2005, n. 12324; Cass. 3 luglio 1980, n. 4205).

Con riferimento in particolare all’assegno circolare, tuttavia si era sviluppato un orientamento minoritario in base al quale la dazione del titolo in questione per la sua intrinseca capacità di assicurare al creditore l’acquisizione della somma di denaro in esso indicata non avrebbe potuto essere legittimamente rifiutata dal creditore, salvo casi particolari, in virtù dei canoni di correttezza e buona fede incombenti anche su quest’ultimo ai sensi dell’art. 1175 c.c. (Cass., 16 febbraio 1998, n. 1351; Cass., 7 luglio 2003, n. 10695).

A soluzione di tale querelle sono intervenute le Sezioni Unite che, con la sentenza 18 dicembre 2007, n. 26617, avallando la tesi minoritaria.

In particolare, secondo l’iter argomentativo della Suprema Corte – atteso che l’assegno circolare nel settore finanziario è ormai equiparato alla moneta, che il denaro contante è sempre meno utilizzato quale mezzo di pagamento in favore di altre procedure di adempimento che hanno ad oggetto la c.d. moneta virtuale o dematerializzata e che, a seguito di recenti interventi legislativi, si è reso obbligatorio l’uso di mezzi di pagamento diversi dal denaro contante per l’adempimento di debiti pecuniari di importi superiori a determinate soglie – gli artt. 1277 e 1182 c.c. devono essere interpretati in modo estensivo ed evolutivo, nel senso, rispettivamente, di considerare l’assegno circolare come mezzo di pagamento equipollente alla moneta, (per qualunque somma il medesimo sia stato emesso) e di individuare il luogo dell’adempimento non in base a criteri soggettivi (domicilio del debitore) ma a criteri oggettivi (sede della banca dove il conto è domiciliato).

Alla luce di tali argomentazioni, la dazione di un assegno circolare per adempiere un’obbligazione in denaro, pur dovendosi ancora ritenere un’ipotesi particolare di datio in solutum, non può essere rifiutata dal creditore, salvo che non vi siano motivi oggettivi.

La problematica del pagamento con assegni in sostituzione del denaro contante è stata notevolmente ridimensionata dalla consolidata e progressiva tendenza del legislatore alla riduzione della soglia massima dei trasferimenti leciti in denaro contante, rispettivamente portata a 5.000,00 Euro dall’art. 49 del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 e, addirittura, a 1.000,00 Euro dall’art. 12, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in L. 27 dicembre 2011, n. 214 (soglia rimasta tale anche con l’intervento del D.lgs. 90/2017).

La normativa in questione impone, infatti, alle parti di utilizzare, sopra la soglia citata, mezzi di pagamento diversi dal contante.