La crisi del mercato immobiliare non fonda la sospensione della vendita forzata ex art. 586 c.p.c. per prezzo ingiusto
di Valentina Scappini, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, sesta sez., ordinanza del 25 gennaio 2023, n. 2224; Pres. Cirillo; Rel. Valle.
Massima: “Non integra un prezzo ingiusto di aggiudicazione, idoneo a fondare la sospensione prevista dall’art. 586 c.p.c., quello che sia anche sensibilmente inferiore al valore posto originariamente a base della vendita, ove questa abbia avuto luogo in corretta applicazione delle norme di rito, né si deducano gli specifici elementi perturbatori della correttezza della relativa procedura elaborati dalla giurisprudenza, tra cui non si possono annoverare l’andamento o le crisi, sia pure di particolare gravità, del mercato immobiliare”.
CASO
A.A. subiva l’espropriazione forzata di un immobile di sua proprietà a favore dell’Agenzia delle Entrate, di B.B., nonché di Bancapulia s.p.a., Soget s.p.a. ed Equitalia Sud s.p.a.
A.A. si opponeva alla vendita dapprima con richiesta di sospensiva della stessa, che veniva rigettata, e poi con opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento di aggiudicazione, chiedendo che quest’ultimo fosse dichiarato inefficace in quanto l’immobile sarebbe stato, a suo parere, venduto per un prezzo del tutto inadeguato.
Il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 133 del 19 gennaio 2022, rigettava l’opposizione.
Il Giudice di primo grado affermava che il prezzo della vendita era conforme a quello dell’offerta minima già ammessa e fissata dal giudice dell’esecuzione, per cui l’opposizione agli atti si sarebbe dovuta fare contro quel provvedimento e non contro l’aggiudicazione avvenuta a quel prezzo.
Qualora l’opposizione fosse stata intesa come opposizione all’aggiudicazione, l’impugnazione era inammissibile, in quanto affidata a professionista delegato, con conseguente possibilità di contestazione degli atti del predetto professionista avanti il giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 591 ter c.p.c.
Diversamente, l’opposizione agli atti esecutivi si sarebbe dovuta proporre contro il decreto di trasferimento del bene.
Contro tale sentenza A.A. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso perché manifestamente infondato, condannando il ricorrente al pagamento del doppio del contributo unificato e confermando alcuni principi di diritto – tra cui quello riportato sopra – già espressi, in precedenza, da Cass., n. 11116 del 10 giugno 2020 e da Cass., n. 18451 del 21 settembre 2015, afferenti i requisiti per l’ingiustizia del prezzo della vendita forzata ex art. 586 c.p.c.
QUESTIONI
A.A. ha proposto tre motivi di ricorso, tutti formulati in modo inadeguato, perché privi dello specifico parametro di cui all’art. 360 c.p.c.
Ad ogni modo, con il primo motivo, il ricorrente ha censurato la “mancata debita considerazione per le previsioni di cui all’art. 132 c.p.c. e conseguente non adeguata motivazione”.
Il secondo motivo ha dedotto la “inadeguata considerazione per le previsioni di cui all’art. 570 e 586 c.p.c.”.
Il terzo e ultimo motivo ha affermato il vizio di “inadeguata considerazione per le previsioni di cui all’art. 591 bis c.p.c. e dell’art. 586 c.p.c.” nonché “omessa considerazione per le previsioni di cui all’art. 91 c.p.c.”.
Il primo motivo, del tutto aspecifico, si connota per una mancata adeguata indicazione dell’asserita carenza di motivazione ed è, pertanto, inammissibile.
Il secondo motivo ha inteso lamentare la violazione degli artt. 570 e 586 c.p.c., sostenendo che non avrebbe avuto senso contestare l’avviso del prezzo minimo di vendita, perché con l’incanto il prezzo può salire e l’art. 586 c.p.c. consente l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione a prezzo vile.
La Suprema Corte ha ritenuto tale motivo infondato, poiché non risulta dove e quando la determinazione del prezzo di vendita, quale esigua, sia stata effettuata nel corso del giudizio di merito e soprattutto se sia stata chiesta la sospensione, per detta ragione, del procedimento di vendita. Si ricorda, invero, che l’art. 586 c.p.c. consente al giudice dell’esecuzione di sospendere la vendita, ad avvenuto versamento del prezzo, qualora ritenga che il prezzo sia “notevolmente inferiore a quello giusto”.
La Corte di Cassazione ha inteso aderire al principio già stabilito da Cass., 10 giugno 2020, n. 11116, secondo cui “non integra un prezzo ingiusto di aggiudicazione, idoneo a fondare la sospensione prevista dall’art. 586 c.p.c., quello che sia anche sensibilmente inferiore al valore posto originariamente a base della vendita, ove questa abbia avuto luogo in corretta applicazione delle norme di rito, né si deducano gli specifici elementi perturbatori della correttezza della relativa procedura elaborati dalla giurisprudenza, tra cui non si possono annoverare l’andamento o le crisi, sia pure di particolare gravità, del mercato immobiliare”.
Per ciò che concerne il terzo motivo di ricorso, con il quale è stata dedotta la violazione degli artt. 586, 591 bis e 91 c.p.c., la Suprema Corte lo ha dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondato, perché il ricorrente non ha fornito alcuna giustificazione sulle ragioni addotte, in sede di merito, a supporto della tesi del prezzo di aggiudicazione troppo basso.
Al riguardo, la Corte ha voluto ribadire il seguente principio di diritto, già affermato da Cass., 21 settembre 2015, n. 18451:
“Il potere di sospendere la vendita, attribuito dall’art. 586 c.p.c. (nel testo novellato dalla L. n. 203 del 1991, art. 19 bis) al giudice dell’esecuzione dopo l’aggiudicazione perché il prezzo offerto è notevolmente inferiore a quello giusto, può essere esercitato allorquando:
a) si verifichino fatti nuovi successivi all’aggiudicazione;
b) emerga che nel procedimento di vendita si siano verificate interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa;
c) il prezzo fissato nella stima posta a base della vendita sia stato frutto di dolo scoperto dopo l’aggiudicazione;
d) vengano prospettati, da una parte del processo esecutivo, fatti o elementi che essa sola conosceva anteriormente all’aggiudicazione, non conosciuti né conoscibili dalle altre parti prima di essa, purchè costoro li facciano propri, adducendo tale tardiva acquisizione di conoscenza come sola ragione giustificativa per l’esercizio del potere del giudice dell’esecuzione”.
Ciò esposto, il ricorso è stato rigettato.
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