La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul contratto di assicurazione con clausola claims mad
di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDFCass. civ. Sez. III, 25 febbraio 2021, n. 5259 – Pres. Armano – Rel. Olivieri
[1] Contratto di assicurazione – Clausole claims made – Responsabilità civile – Nullità – Loss occurence
(Cod. civ., artt. 1322, 1366, 1375, 1917, 1932)
[1] “Il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis”, quale deroga convenzionale all’art. 1917, comma 1, c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale. Tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto, ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale e quella dell’attuazione del rapporto, con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati.”.
CASO
[1] Il caso origina dalla sentenza con cui Corte d’appello di Roma, confermando la decisione del giudice di prime cure, condannava in solido compagnia assicuratrice e struttura sanitaria al risarcimento del danno biologico subito da una paziente in conseguenza della errata ed imperita esecuzione di un intervento di endoscopia. Il Tribunale di Civitavecchia aveva dichiarato la nullità della clausola claims made apposta al contratto di assicurazione r.c. per vessatorietà, il giudice d’appello, invece, ne confermava la nullità sulla base della mancanza di causa e violazione di norme imperative.
SOLUZIONE
[1] Per quanto di interesse con il quarto motivo la società assicurativa ricorrente deduce il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 c.c., comma 1, artt. 1418, 1375, e 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, impugnando la statuizione della sentenza che ha dichiarato la nullità della clausola claims made per difetto di causa e contrarietà a norme imperative. Con il quinto motivo, invece, la ricorrente censura la sentenza di appello nella parte in cui, espunta dalla polizza la clausola claims made ritenuta affetta da nullità, ha poi applicato al contratto assicurativo il principio della loss occurence ex art. 1917 c.c.
La Suprema Corte, dopo un’attenta e dettagliata ricostruzione degli approdi ermeneutici in tema di contratto di assicurazione con clausole claims made, ha ritenuto il quarto motivo inammissibile ed il quinto fondato fornendo delle importanti precisazioni in tema di conformazione giudiziale del contratto di assicurazione con clausola claims made.
QUESTIONI
[1] Con la decisione in epigrafe la Corte di Cassazione, a tre anni di distanza dalla nota pronuncia a Sezioni Unite, è tornata sul contratto di assicurazione con clausole claims made e sulla c.d. conformazione giudiziale.
In via preliminare la Suprema Corte rammenta come, dopo alcuni contrasti emersi nella giurisprudenza di legittimità, la questione concernente la validità della clausola claims made apposta nelle polizze assicurative della responsabilità civile sia stata definitivamente risolta dalle Sezioni Unite secondo cui “nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o comunque entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati (cd. clausola “claims made” mista o impura) non è vessatoria, ma, in presenza di determinate condizioni, può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero – ove applicabile la disciplina del D.Lgs. n. 206 del 2005 – per il fatto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e obblighi contrattuali; la relativa valutazione va effettuata dal giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità quando congruamente motivata” (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 9140 del 06/05/2016 con nota di G. TARANTINO, La clausola ‘claims made’ non è vessatoria: ma l’ultima parola spetta al giudice, in Diritto & Giustizia, fasc. 22, 2016, 9).
Tale principio è stato ulteriormente specificato nel 2018 quando le Sezioni Unite, chiamate nuovamente a pronunciarsi sulla questione della validità e tipicità del contratto di assicurazione con clausole claims bade, hanno statuito che “il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis”, quale deroga convenzionale all’art. 1917 c.c., comma 1, consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c., comma 2, ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 1, della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale. Tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto – sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti – ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle “claims made”) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale “on claims made basis” vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati” (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 22437 del 24/09/2018 con nota di GAROFALO A. M., L’immeritevolezza nell’assicurazione claims made, in Nuova Giur. Civ., 2019, 1, 70).
Gli arresti indicati hanno preso atto dell’evoluzione della prassi di settore, che aveva ricevuto, peraltro, il crisma normativo in plurimi e recenti interventi legislativi i quali, come è stato rilevato dalle Sezioni Unite, avevano semplicemente “recuperato nel substrato della realtà materiale socioeconomica una regolamentazione giuridica pattizia già diffusa nel settore assicurativo”, che aveva preso atto della inadeguatezza, in particolare nelle ipotesi di sinistri produttivi di danni cd. Iungolatenti, del principio della loss occurrence contemplato dall’art. 1917 c.c., comma 1, apportandovi le deroghe consentite dall’art. 1932 c.c. e venendo in tal modo a ridefinire “i modi ed i limiti” stabiliti dal contratto assicurativo, attraverso una delimitazione dell’oggetto del contratto, piuttosto che attraverso la introduzione di limiti alla responsabilità dell’assicuratore.
La clausola claims made (sia nella forma cd. “pura” estesa ai fatti commessi anteriormente all’inizio di efficacia della polizza sia nella forma cd. “impura” o “mista” che subordina la copertura assicurativa alla contestuale occorrenza, nel periodo di vigenza della polizza, tanto del sinistro, quanto della richiesta di risarcimento del danno) ha trovato, infatti, fondamento normativo nel:
- L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 3, comma 5, lett. e), convertito con modificazioni dalla L. 14 settembre 2011, n. 148 (come modificato dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 26), recante “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo” (la norma, imponendo l’obbligo assicurativo agli esercenti le professioni liberali, dispone che le proposte delle società assicurative debbono contenere “l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura.”);
- M. Giustizia 22 settembre 2016, recante il regolamento, autorizzato dalla L. 31 dicembre 2012, n. 241, art. 12, comma 5 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), che, all’art. 2, comma 1, prescrive: “l’assicurazione deve prevedere, anche a favore degli eredi, una retroattività illimitata ed una ultrattività almeno decennale per gli avvocati che cessano l’attività nel periodo di vigenza della polizza”;
- 8 marzo 2017, n. 24, “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” che, all’art. 11 dispone: “La garanzia assicurativa deve prevedere una operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all’impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza. In caso di cessazione definitiva dell’attività professionale per qualsiasi causa deve essere previsto un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura. L’ultrattività è estesa agli eredi e non è assoggettabile alla clausola di disdetta”.
Vengono a cadere, dunque, tutte le obiezioni pregiudiziali di vessatorietà-invalidità mosse alla ridetta clausola che ha trovato ormai un assetto normativo tipizzato ritenuto dal legislatore conforme allo schema del contratto assicurativo.
Nella clausola claims made pura, infatti, la maggiore alea per l’assicurato di vedersi non indennizzati i sinistri che vengono a verificarsi in prossimità della scadenza della polizza (qualora entro tale termine non venga altresì formulata la richiesta risarcitoria), viene ad essere compensata dalla maggiore alea che grava sull’assicuratore per eventuali richieste risarcitorie presentate dopo l’inizio della efficacia del contratto, per sinistri occorsi anteriormente ad essa: non risultando in tal modo alterato il sinallagma delle prestazioni a carico dei contraenti. Al riguardo, come osserva la Suprema Corte, il modello della clausola in questione, comunemente utilizzato nella prassi assicurativa, può venire ad articolarsi secondo lo schema, tanto della “retroattività” (fatti dannosi già accaduti prima della stipula del contratto), quanto della “ultrattività” (fatti dannosi che si verificheranno dopo la scadenza del termine di durata del contratto).
La previsione del fatto-sinistro e del suo riferimento cronologico non esaurisce, tuttavia, la fattispecie cui è collegata la insorgenza del diritto ad essere sollevato dalle conseguenze pregiudizievoli della responsabilità civile, venendo ad essere richiesto anche l’ulteriore elemento (esterno alla sfera di controllo dei contraenti, come tale incerto e per ciò idoneo a rendere compatibile la clausola claims made con lo schema causale del contratto assicurativo delineato nell’art. 1895 c.c.) della manifestazione del diritto al risarcimento del danno esercitato dal terzo danneggiato. Ma è proprio l’elemento aleatorio costituito dalla incertezza della richiesta risarcitoria che viene ad essere temporalmente circoscritto in tali clausole, così da consentire all’assicuratore di meglio calibrare il proprio impegno nel tempo e, correlativamente, di definire con maggiore precisione il premio assicurativo (in relazione alla limitazione temporale della possibile verificazione del rischio), con beneficio anche per l’assicurato. Tale migliore definizione delle prestazioni dei contraenti (volta a garantire una misura del premio quanto più corrispondente alla entità del rischio assunto) viene a costituire – nel giudizio demandato al giudice di merito non più sulla compatibilità della clausola claims made con la struttura del “tipo” negoziale della assicurazione della responsabilità civile, ma sulla “tenuta” di tale clausola rispetto al complessivo programma che le parti hanno inteso concordemente attuare al fine della regolazione dei rispettivi interessi – indizio sintomatico della esclusione di un abusivo squilibrio delle posizioni contrattuali delle parti che, invece, potrebbe ravvisarsi nel caso in cui la predetta clausola, inserita nel complesso delle altre disposizioni contrattuali venga a realizzare “un sistema di restrizioni” delle condizioni di adempimento della obbligazione indennitaria talmente intenso da eludere sostanzialmente la stessa funzione causale del contratto, che, pertanto, verrebbe ad esaurirsi nella mera onerosità del premio anticipatamente corrisposto dall’assicurato e nella riduzione o addirittura nell’assenza dell’alea di rischio per l’assicuratore.
Non vi è dubbio che – come evidenziato dalle Sezioni Unite nel 2018 – il sistema assicurativo della responsabilità civile persegua “anche” un fondamentale interesse pubblico, attraverso “una corretta allocazione dei costi sociali dell’illecito” ed ancor più assolvendo alla funzione di garantire la reintegrazione dei pregiudizi subiti dai danneggiati, funzione che appare evidente nelle “assicurazioni sociali”, ma che trova attuazione anche nelle polizze RC private, atteso che la assunzione da parte delle imprese assicuratrici degli oneri economici gravanti sull’assicurato, in dipendenza della sua responsabilità civile, ridonda evidentemente nel generale affidamento dei terzi ingiustamente danneggiati sulla possibilità di ottenere il ristoro degli interessi lesi.
Tuttavia, pur non potendo disconoscersi l’interesse superindividuale che è sotteso al sistema assicurativo della responsabilità civile, una valutazione in termini di validità della clausola claims made da effettuare in relazione ad i suoi riflessi sulla “causa concreta” del contratto assicurativo, non può estendersi fino a riconsiderare tale funzione sociale, che costituisce il risultato terminale del funzionamento complessivo del sistema assicurativo della responsabilità civile, come criterio privilegiato ai fini della verifica di corrispondenza della compatibilità di efficienza della clausola in relazione al singolo programma negoziale voluto dalle parti od alla conservazione dell’equilibrio delle rispettive posizioni assunte dai contraenti; né è consentito condurre la predetta verifica di validità della clausola in relazione alla causa concreta del negozio, attraverso una mera valutazione della convenienza economica dell’importo del premio rispetto al rischio assicurato, atteso che in tal modo verrebbe a compiersi una indebita invasione dell’ambito di autonomia negoziale dei privati.
Il giudizio di tenuta della clausola claims made, piuttosto, dovrà estendersi al controllo delle complessive clausole del contratto assicurativo ed al risultato operativo finale che, dalla interpretazione sistematica delle stesse e dalla esecuzione in concreto attuata dai contraenti, viene ad emersione. Il risultato dovrà essere valutato alla stregua del parametro fornito dalla effettiva funzionalità del modello – così in concreto individuato – a regolare gli interessi per la cura dei quali le parti hanno inteso definire il programma negoziale, venendo a tal fine in rilievo, come elemento unificante della verifica, la applicazione della clausola generale di buona fede (artt. 1366,1375 c.c.).
Ciò posto in merito alla ricostruzione ermeneutica e normativa del contratto di assicurazione con clausole claims made la Suprema Corte si è soffermata anche sul profilo della conformazione giudiziale del contratto con clausole claims made. Nel caso di specie, infatti, il giudice d’appello, dopo aver dichiarato nulla la clausola claims made, aveva automaticamente applicato al contratto assicurativo il regime della loss occurence di cui all’art. 1917 c.c., comma 1. La Corte censura tale applicazione affermando che il giudice territoriale avrebbe dovuto riportare il contratto ad equilibrio e non applicare un differente programma, fondato su uno schema negoziale (quello proprio dell’art. 1917 c.c.) che le parti avevano voluto, invece, espressamente emendare e modificare.
Il giudice territoriale, in particolare, avrebbe dovuto indagare tra i differenti modelli di clausola claims made rinvenibili nell’ordinamento, ed individuare quello ritenuto maggiormente compatibile alla realizzazione di un equilibrato assetto degli interessi dei contraenti, così riadeguando le condizioni di polizza in funzione della causa concreta, tenendo conto anche di tutti gli altri elementi a condizioni operative compatibili con gli interessi perseguiti al momento della stipula dai soggetti contraenti, così da salvaguardare una causa del contratto funzionale alla volontà delle parti di concordare una prestazione assicurativa che contemplasse un rischio contraddistinto dal duplice elemento della verificazione del sinistro e della richiesta risarcitoria pervenuta dal danneggiato.
La Corte di Cassazione, in definitiva, afferma che a seguito della dichiarazione di nullità della clausola claims made non debba essere applicato il modello loss occurrence, ma, come già affermato dalle Sezioni Unite nel 2018, debba essere integrato il contenuto contrattuale individuando tra i modelli di clausola delimitativa del rischio presenti sul mercato quello maggiormente rispondente ad un equilibrato assetto dei rapporti tra le parti.