La Corte di Cassazione esclude l’automatica responsabilità penale del prestanome per i reati contro il patrimonio commessi dall’amministratore di fatto della società
di Virginie Lopes, Avvocato Scarica in PDFCassazione penale, Sez. II, Sentenza, 18 novembre 2022, n. 43969
Parole chiave: Società in genere – Reato in genere – Amministratori – Consiglio di amministrazione – Imposte e tasse in genere – Violazioni tributarie
Massima: “La prova del dolo specifico dei reati tributari di cui agli artt. 5, 8 e 10 del D.Lgs n. 74 del 2000 in capo all’amministratore di diritto di una società, che funge da mero prestanome, può essere desunta dal complesso dei rapporti tra questi e l’amministratore di fatto, nell’ambito dei quali assumono decisiva valenza la macroscopica illegalità dell’attività svolta e la consapevolezza di tale illegalità. Del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA, l’amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta, mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.”
Disposizioni applicate: artt. 5, 8 e 10 del D. Lgs n. 74 del 2000, art. 40 cpv c.p., art. 110 c.p.
Nel caso di specie, il GIP del Tribunale di prime cure aveva disposto nei confronti dell’amministratore di diritto di società a responsabilità limitata, fungente tuttavia da mero prestanome, la misura cautelare degli arresti domiciliari, in quanto soggetto indagato dei reati di associazione a delinquere, riciclaggio, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori e appropriazione indebita.
L’amministratore di diritto aveva avanzato una proposta di riesame, poi accolta.
Il Procuratore della Repubblica aveva proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame, deducendo in particolare il vizio di legge del provvedimento impugnato in quanto non aveva correttamente applicato i principi di diritto in relazione alla responsabilità penale dell’amministratore di diritto per aver omesso al proprio obbligo di vigilanza e diligenza.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, aderendo alle conclusioni del Tribunale di riesame, secondo il quale il fatto che l’indagato avesse assunto, quale mero prestanome, la carica di amministratore di diritto delle società utilizzate a fini di riciclaggio e reimpiego di denaro, non bastava, di per sé, ad integrare la gravità indiziaria dei delitti di partecipazione ad associazione a delinquere e dei reati contestati.
La Suprema Corte ha infatti considerato che non sussisteva alcuna prova della condivisione da parte dell’indagato delle finalità elusive né della consapevolezza, al momento dell’accettazione della carica fittizia, della strumentalizzazione delle società alla realizzazione di attività di riciclaggio ed autoriciclaggio da parte degli amministratori di fatto che esercitavano in concreto i poteri gestori.
La Corte di Cassazione (così come il Tribunale del riesame) ha ritenuto che la mera accettazione della gestione altrui non può comportare di per sé l’accettazione delle singole azioni delittuose dagli altri commesse, considerando che, nel caso in esame, mancasse qualsiasi elemento atto a dimostrare la consapevolezza dell’indagato delle attività illegali svolte dagli amministratori di fatto.
Infatti, a norma dell’art. 40 cpv c.p. (i) “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione” e (ii) “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”, così come ha rammentato il Procuratore della Repubblica.
Tuttavia, la Corte di Cassazione, confermando la propria linea garantista, ha evidenziato come, nel caso in esame, l’estensione dei principi dettati dall’art. 40 cpv c.p. all’amministratore di diritto non è possibile proprio per assenza di un obbligo giuridico ricavabile da uno specifico riferimento normativo in tal senso.
Infatti, gli ermellini hanno considerato che, se l’amministratore di diritto doveva provvedere alla regolare tenuta delle scritture contabili ed alla regolare destinazione dei beni aziendali alle attività sociali, non era invece tenuto a vigilare sulla regolare osservanza di qualsiasi norma penale da parte dei soggetti comunque coinvolti nelle attività sociali.
Ne consegue, pertanto, che la responsabilità dell’amministratore di diritto per le condotte poste in essere dai gestori di fatto può essere affermata solo laddove trovano applicazione i criteri generali sul dolo nel concorso di persone ex art. 110 c.p..
Stando così le cose, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Procuratore della Repubblica avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva revocato la misura cautelare degli arresti domiciliari.
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