La consulenza tecnica d’ufficio è (talvolta) un mezzo di prova
di Stefano Nicita Scarica in PDFCass. civ., Sez. III, Sent., 12.02.2015, n. 2761 (ord.)
Procedimento civile – Prova in genere – Giudice – Consulenza tecnica d’ufficio
(C.p.c. artt. 61, 62, 101, 115, 116, 191 e 194; C.c. artt. 2043, 2697)
[1] La consulenza tecnica d’ufficio ha fisiologicamente lo scopo fornire un parere che sia di ausilio all’attività valutativa dell’organo giudicante sotto il profilo di quelle cognizioni tecniche che esso non possiede (c.d. consulenza “deducente”), tuttavia, può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, qualora, oltre che valutazione tecnica, costituisca accertamento di particolari situazioni di fatto (c.d. consulenza “percipiente”), rilevabili solo attraverso cognizioni tecniche e percepibili esclusivamente attraverso specifiche strumentazioni tecniche.
CASO
[1] In ragione del pericolo di danno grave e prossimo ad un immobile, il proprietario di un locale seminterrato chiede al Tribunale di Catania di ordinare al Condominio l’adozione dei rimedi necessari a rimuovere lo stato di pericolo ed il pregiudizio subito a causa dell’assoluto degrado dell’impianto fognario. Il Tribunale condanna il Condominio a rimuovere la condotta fognaria e ad eseguire i lavori e le opere indicate dal consulente tecnico d’ufficio. La Corte d’Appello, successivamente investita della questione, respinge il gravame proposto dal Condomino.
Da ultimo, il Condominio ricorre per Cassazione contro la decisione della Corte d’Appello, lamentando, tra l’altro, l’acquisizione della prova del danno e del nesso causale sulla base delle risultanze del c.t.u.. Secondo tale prospettazione, la relazione dell’ausiliare tecnico sarebbe stata erroneamente utilizzata dal giudice per compiere “indagini esplorative” tipicamente rientranti, invece, nell’onere probatorio delle parti. La Corte di cassazione respinge il ricorso, enucleando il principio riportato nella massima.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte, in motivazione conforme all’orientamento maggioritario fatto proprio dalle Sezioni Unite (Cass., sez. un., 30 dicembre 2011, n. 30175, Foro it., 2012, I, 3144), precisa che sebbene la consulenza tecnica d’ufficio non rientri tra i mezzi di prova in senso proprio e non possa, perciò, essere utilizzata per esonerare le parti dall’onere probatorio, tuttavia, il giudice può incaricare il consulente non solo di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (c.d. «deducente»), ma anche di accertare i fatti stessi (c.d. «percipiente»), qualora si tratti di fatti che la parte ha dedotto e posto a fondamento della sua domanda ed il cui accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (cfr. Cass. 13 marzo 2009, n. 6155, Mass. Giur. it., 2009). In particolare, i motivi atti a giustificare l’incarico al c.t.u. di compiti di accertamento possono individuarsi: (a) nella complessità della ricostruzione della situazione in cui l’illecito si sia consumato e (b) nella diversità delle possibili opzioni tecniche in base alle quali individuare gli elementi decisivi al fine d’identificare e quantificare le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito.
QUESTIONI
[1] La sentenza in commento aderisce all’orientamento prevalente della giurisprudenza di Cassazione secondo cui se, da una parte, è vero che la c.t.u. non è riconducibile a mezzo di prova e non esonera le parti dall’onere della prova dei fatti ex art. 2697 c.c. (Cass., 5 ottobre 2006, n. 21412, in Mass. Giur. it., 2006; Cass., 11 gennaio 2006, n. 212, ivi, 2006), dall’altra, però, al giudice di merito è comunque consentito conferire al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente). Affinché ciò avvenga è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto a fondamento del suo diritto e che il giudice valuti che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (Cass., 13 marzo 2009, n. 6155, ivi, 2009; Cass., 2 ottobre 2013, n. 22538, ivi, 2013).
In tal caso, quindi, la c.t.u. costituisce fonte oggettiva di prova poiché è strumento di accertamento di fatti percepibili solamente attraverso quelle cognizioni tecniche (Cass., 21412/2006, cit.; Cass. 212/2006, cit.; Cass., 30 ottobre 2003, n. 1512, ivi, 2003; Cass., 21 luglio 2003, n. 11332, ivi, 2003; Cass., 10 marzo 2000, n. 2802, ivi, 2000; Cass., 29 marzo 1999, n. 2957, ivi, 1999; Cass., 14 gennaio 1999, n. 321, ivi, 1999). Resta comunque salvo il limite sistematico per cui la c.t.u. percipiente non può diventare “mezzo sostitutivo” dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. né “mezzo suppletivo” di carenze probatorie di fatti agevolmente dimostrabili dalla parte con prove documentali e testimoniali (Cass., 7 dicembre 2005, n. 27002, ivi, 2005; Cass., 11 marzo 2004, n. 4993, in Foro It., 2004, 1, 2108; Cass., 8 gennaio 2004, n. 88, in Arch. civ., 2004, 1342; Cass., 15 ottobre 2003, n. 15448, in Giur, 2004, 997.
Conforme a tale orientamento anche la dottrina maggioritaria: cfr. BARBUTO, La consulenza tecnica nel processo civile, I, Torino, 1997, 637; CIACCIA CAVALLARI, Prove documentali e consulenza tecnica nel processo per la tutela della proprietà industriale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 1261; ROSSETTI, La consulenza tecnica di ufficio come fonte di prova e l’obbligo di motivazione del giudice, in Riv. giur. circ., 1997, 43).