La conclusione della procedura esecutiva non fa cessare la materia del contendere nelle opposizioni pendenti
di Stefania Volonterio, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, Sez. III, sent. 16 gennaio 2025, n. 1042, Pres. De Stefano, Est. Guizzi
Espropriazione forzata – opposizione all’esecuzione – opposizione agli atti esecutivi (Cod. Proc. Civ. Artt. 615, 617)
Massima: “La circostanza che la procedura esecutiva sia giunta al suo esito naturale, con la distribuzione finale del ricavato, non comporta necessariamente la cessazione della materia del contendere, né la sopravvenuta carenza d’interesse, con riguardo alle parentesi di cognizione che si siano già innestate nel processo esecutivo anche attraverso l’opposizione agli atti esecutivi”
CASO
Una banca promuove due procedure esecutive immobiliari, a circa un anno di distanza una dall’altra, nei confronti di due condebitori (titolari pro quota dell’immobile pignorato). Le procedure vengono riunite e, a seguito di tale riunione, uno dei due condebitori si costituisce per eccepire la mancata notifica “della pendenza del primo procedimento”, nonché per proporre una serie di eccezioni, tra le altre, sull’an della pretesa creditoria attivata dalla banca e sulla incongruità della valutazione dell’immobile nel frattempo fatta dal perito incaricato dal giudice dell’esecuzione.
Quest’ultimo, “noncurante delle eccezioni sollevate” dal condebitore, dispone la vendita dell’immobile pignorato e, in pendenza dell’opposizione ex art. 615 ed ex art. 617 c.p.c. allora proposta dal medesimo condebitore, giunge alla pronuncia del decreto di trasferimento del bene staggito e del provvedimento di distribuzione del ricavato tra i creditori.
Proprio in ragione della conclusione alla quale è nel frattempo giunto il procedimento esecutivo, il giudice dell’opposizione, pronunciata l’inammissibilità dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., dichiara la cessazione della materia del contendere nell’opposizione ex art. 617 c.p.c., anche per sopravvenuto difetto di interesse dell’opponente a proseguire il giudizio.
Il condebitore opponente ricorre dunque alla Suprema Corte per una serie di motivi, il primo dei quali avente ad oggetto la violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 617 e 618 c.p.c. “per avere la sentenza impugnata ritenuto cessata la materia del contendere per intervenuta vendita nel procedimento esecutivo immobiliare, nonché violazione degli artt. 24 e 11 Cost.”.
SOLUZIONE
La Suprema Corte accoglie il detto motivo di impugnazione e, per l’effetto, dichiara assorbiti gli altri motivi formulati dal ricorrente.
La Corte richiama una recente pronuncia, Cass. 31085/2023, nella quale si è affermato che “la circostanza che la procedura esecutiva sia giunta al suo esito naturale, con la distribuzione finale del ricavato, non significa affatto che da ciò debba necessariamente derivare la cessazione della materia del contendere, né la sopravvenuta carenza di interesse, con riguardo alle parentesi di cognizione che si siano già innestate nel processo esecutivo”, risultando “evidente che la parte che, per qualsivoglia ragione, abbia spiegato nel corso della procedura esecutiva un’azione … tendente a determinare l’arresto definitivo della procedura, o quantomeno la necessità di rinnovare uno o più atti del processo…, mantiene intatto l’interesse alla decisione, perché solo attraverso la sua esecuzione la parte stessa può anelare alla adeguata tutela della propria posizione soggettiva”.
Del resto, prosegue la Corte, se le opposizioni proposte divenissero automaticamente superflue per il solo fatto che, nel frattempo, la sottostante procedura esecutiva è giunta a conclusione, ne “discenderebbe da un lato la negazione stessa del diritto di azione …e dall’altro l’attribuzione al giudice dell’esecuzione (almeno, per le opposizioni esecutive) di un potere addirittura esorbitante rispetto a quello del giudice della cognizione”.
In senso contrario a questi principi non possono utilmente richiamarsi, ritiene sempre la Suprema Corte, alcuni propri precedenti che, “sebbene affermino che la cessazione della materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse a proseguire il giudizio si determina esclusivamente per le opposizioni agli atti esecutivi, non hanno affrontato ex professo tale questione, avendo riguardato casi di opposizione esecutiva, in relazione ai quali hanno escluso la configurabilità della cessazione della materia del contendere” (il riferimento esplicito è a Cass. 20924/2017 e a Cass. 15761/2014).
Infine, la Corte osserva e conclude, richiamando altri precedenti (Cass. 32143/2023, Cass. 32146/2023), “che l’eventuale accoglimento dell’opposizione formale ben può comportare la riapertura del processo esecutivo che sia comunque proseguito fino alla sua definizione: ciò che è intuitivo, se ed in quanto sia infine riconosciuto che l’atto oggetto di quell’opposizione era non solo viziato, ma, anzi, che la nullità che lo colpiva ha determinato uno sviluppo anomalo ed illegittimo del processo ed una altrettanto anomala ed illegittima conclusione di questo”.
QUESTIONI
La Suprema Corte torna sui rapporti esistenti tra una procedura esecutiva che giunge alla sua naturale conclusione e la sorte delle opposizioni che, innestatesi su tale procedura (e della quale non hanno evidentemente ottenuto la sospensione), sono ancora pendenti quando essa, appunto, si conclude con l’assegnazione o il trasferimento dei beni pignorati, con distribuzione tra i creditori del relativo ricavato.
La Cassazione richiama principi che ritiene pacifici e prevalenti, tanto da esplicitare, alla fine, la non esistenza di un contrasto che renda necessaria la rimessione della questione alle Sezioni Unite.
Si tratta, del resto, di principi e considerazioni condivisibili, perché il debitore non può subire un automatico pregiudizio per una mera questione temporale: la conclusione della procedura esecutiva, con assegnazione o trasferimento dei beni pignorati, prima della conclusione del giudizio sull’opposizione.
Dobbiamo ricordare, tuttavia, che tale non infrequente situazione sottende la necessità di un contemperamento tra questo perdurante diritto e interesse del debitore, esecutato e opponente, a ottenere giustizia con le opposizioni promosse, e la posizione di chi, nel frattempo, e dall’esito di tale procedura, ha acquisito dei diritti, con particolare riferimento l’aggiudicatario di un immobile in esito all’esecuzione immobiliare.
È infatti pacifico che “il sopravvenuto accertamento dell’inesistenza di un titolo idoneo a giustificare l’esercizio dell’azione esecutiva non fa venir meno l’acquisto dell’immobile pignorato, che sia stato compiuto dal terzo nel corso della procedura espropriativa in conformità alle regole che disciplinano lo svolgimento di tale procedura, salvo che sia dimostrata la collusione del terzo col creditore procedente. In tal caso, tuttavia, resta salvo il diritto dell’esecutato di far proprio il ricavato della vendita e di agire per il risarcimento dell’eventuale danno nei confronti di chi, agendo senza la normale prudenza, abbia dato corso al procedimento esecutivo in difetto di un titolo idoneo …”, sembrando infatti “eccessivo pretendere dall’aggiudicatario una diligenza tale da imporgli di indagare sulla sussistenza e validità del titolo esecutivo per il quale si sta procedendo, volta che non sia stata disposta dal giudice la sospensione dell’esecuzione richiesta dall’esecutato o che, magari, nessuna contestazione sia stata neppure ancora sollevata in proposito al momento della vendita” (Cass. SSUU 21110/2012).
Del resto, l’art. 2929 c.c. e l’art. 187 bis disp. att. c.p.c. sono proprio volti ad assicurare stabilità ad un acquisto che non potrà essere travolto da vizi che non riguardano lo stesso procedimento di vendita: la ratio del citato art. 2929 c.c. “è, chiaramente, quella di trovare un punto di equilibrio tra la tutela del debitore, che, nel caso, potrà chiedere la nullità degli atti esecutivi precedenti l’aggiudicazione, e la tutela della posizione dell’aggiudicatario che prende parte al procedimento esecutivo in proprio e senza neppure avere uno specifico diritto processuale di esame del complessivo incarto componente il fascicolo; si potrà quindi esigere dall’offerente e poi aggiudicatario di vigilare sulla regolarità dello specifico procedimento di vendita, ma non di verificare vizi precedenti, tra cui quello derivante dalla mancata comunicazione dell’udienza ex art. 569, cod. proc. civ.” (Cass. 39243/2021).
Se anche, dunque, il processo esecutivo giunge al termine, è rispondente ai più basilari principi del nostro ordinamento giuridico il non considerare automaticamente venuto meno l’interesse a continuare a coltivare una opposizione pendente, fermo però restando che, in caso di vittoria, l’opponente potrà vedersi soddisfatto in forma risarcitoria e non “specifica”, poiché il bene potrà già essere stato legittimamente, e irreversibilmente, trasferito ad un terzo.
Può essere utile, in ultimo, rappresentare la diversa ipotesi nella quale a venire meno, prima della sua naturale conclusione satisfattiva e in pendenza di opposizioni, sia la procedura esecutiva: la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare che “in caso di sopravvenuta estinzione del processo esecutivo in pendenza di giudizi di opposizione, cessa la materia del contendere con riguardo ai giudizi di opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avendo tali giudizi ad oggetto la regolarità degli atti dell’esecuzione (e, segnatamente, degli atti dello specifico processo esecutivo in atto, la cui estinzione, quindi, determina il venir meno dell’interesse delle parti all’accertamento della predetta regolarità), mentre altrettanto non avviene con riguardo ai giudizi di opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., che hanno ad oggetto l’accertamento della sussistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata (nell’an e nel quantum), i quali devono pertanto proseguire, sussistendo l’interesse delle parti al predetto accertamento, anche in funzione di eventuali nuove e successive procedure esecutive” (Cass. 32842/2022).
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