La compensazione delle spese di lite
di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. I, 22 maggio 2019, n. 13922 – Pres. Didone – Rel. Dolmetta
[1] Impugnazioni civili – Ricorso per cassazione – Spese processuali – Principio della soccombenza – Compensazione
(Cod. proc. civ., artt. 91; 92)
[1] “Con sentenza 19 aprile 2018 n. 77, la Corte Costituzionale ha dichiarato la “illegittimità costituzionale dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dalla D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre gravi ed eccezionali ragioni” […] la pronuncia ha ritenuto che l’indicazione normativa dell’“assoluta novità della questione” rifletta il paradigma generale della “situazione di oggettiva e marcata incertezza”, in fatto o in diritto, “non orientata dalla giurisprudenza”; e che quella del “mutamento di giurisprudenza su questione dirimente” sia rappresentativa dell’idea di “sopravvenuto mutamento dei termini della controversia senza che nulla possa addebitarsi alle parti”.”
CASO
[1] Tizia presentava domanda di insinuazione nel passivo fallimentare di una s.r.l. assumendo di aver svolto attività lavorativa alle dipendenze della società fallita e precisando, in particolare, di essere stata inquadrata come lavoratrice a progetto mentre nei fatti le mansioni da lei svolte si erano sostanziate in lavoro subordinato.
Il giudice delegato, a seguito dell’opposizione del curatore all’ammissione del credito, respingeva la domanda di Tizia che, quindi, presentava ricorso ex art. 98 L. Fall. innanzi al Tribunale di Alessandria opponendosi alla predetta esclusione.
Escusse talune prove testimoniali, il Tribunale accoglieva la domanda di ammissione in via privilegiata del credito nei termini della domanda formulata e stabiliva, altresì, che le spese processuali dovevano essere compensate interamente tra le parti in quanto il giudizio si era reso necessario per accertare il credito vantato. Avverso quest’ultima statuizione Tizia presentava ricorso per cassazione.
SOLUZIONI
[1] Con unico motivo di ricorso Tizia lamentava la violazione delle norme degli artt. 91 e 92 c.p.c. in quanto il Tribunale non aveva correttamente applicato il principio generale della soccombenza ai fini della regolamentazione delle spese. In ragione del principio di cui all’art. 91 c.p.c., infatti, il semplice accoglimento dell’opposizione avrebbe dovuto comportare automaticamente la condanna alle spese a carico del fallimento e non la compensazione delle stesse. Del resto nel caso di specie non si era verificata alcuna delle ipotesi contemplate dalla norma dell’art. 92 c.p.c. – così come modificata dalla L. n. 162 del 2014 – posto che tale norma ha eliminato il potere del giudice di compensare le spese di lite alla ricorrenza di gravi ed eccezionali ragioni.
Oltretutto la questione sottoposta all’esame del Tribunale non era nuova nè è stata oggetto di mutamenti giurisprudenziali integrando, al contrario, il classico caso di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato non regolarizzato.
La Corte di Cassazione dopo aver rilevato in via preliminare la portata dell’art. 92 c.p.c. alla luce della pronuncia della Consulta n. 77 del 2018 ha accolto il ricorso e cassato il decreto impugnato in relazione alla statuizione relativa alla compensazione delle spese di lite rinviando la relativa controversia al Tribunale di Alessandria in diversa composizione.
QUESTIONI
[1] L’art. 91 c.p.c. a norma del quale «il giudice, con sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa» sancisce, per il processo di cognizione, il principio della soccombenza.
Soccombente è la parte le cui domande non sono state accolte, sia pure per motivi diversi dal merito (e quindi anche per ragioni di ordine processuali) o quella che, non avendo proposto alcuna domanda, vede accolte le domande della controparte.
La ratio del principio di soccombenza deve essere rinvenuta negli stessi postulati della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost. La condanna alle spese processuali trova, infatti, la sua ragione nella volontà del legislatore di evitare che le spese processuali sostenute dalla parte vittoriosa gravino su di essa. (cfr. Corte Cost. 31 dicembre 1986 n. 303 e Cass. civ. sez. II, 21 gennaio 2013, n. 1371).
Il principio di soccombenza trova temperamento nelle previsioni di cui all’art. 92 c.p.c. Quest’ultimo disposto consente, infatti, al giudice di escludere la ripetizione di parte delle spese della parte vincitrice ove le ritenga eccessive o superflue e di condannare una parte, anche non soccombente, alle spese che abbia provocato all’altra parte per aver infranto il dovere di lealtà e probità.
Altro temperamento del principio di soccombenza, ispirato a ragioni di equità, discende dal secondo comma dell’art. 92 c.p.c. il quale prevede che il giudice possa compensare le spese in tutto o in parte, non solo in presenza di una soccombenza reciproca ma anche, stando alla modifica recentemente apportata dalla l. 10 novembre 2014, n. 162 di conversione del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, al ricorrere di profili di assoluta novità della questione trattata o di un mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.
Siffatte condizioni, cui è subordinata la statuizione giudiziale, hanno sostituito le gravi ed eccezionali ragioni – che, a loro volta prendevano il posto dei giusti motivi contemplati dalla norma anteriormente alla l. 18 giungo 2009, n. 69 – così circoscrivendo la compensazione delle spese entro margini più angusti.
Con la novella del 2014, infatti, il legislatore, prevedendo che la compensazione possa essere disposta dal giudice oltre che nei casi di soccombenza reciproca solo in ipotesi di assoluta novità della questione o di mutamento della giurisprudenza, ha inteso tipizzare le ipotesi di compensazione delle spese e limitare la discrezionalità del giudice producendo, al contempo, effetti dissuasivi quanto all’inizio della lite o alla resistenza in giudizio.
I presupposti dell’ormai eccezionale potere di compensazione risiedono, ad oggi, nella sola assoluta novità delle questioni trattate e nell’eventuale ricorrere di un rivirement giurisprudenziale rispetto alle questioni dirimenti.
Recentemente, tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza 19 aprile 2018 n. 77, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre gravi ed eccezionali ragioni. (sulla pronuncia in dottrina v. TRAPUZZANO C., Illegittima la compensazione delle spese nelle sole ipotesi tassative indicate, in Quot. Giur, 20.4.2018; VALERINI F., La Consulta amplia il perimetro della compensazione delle spese di lite, in Diritto & Giustizia, fasc.72, 2018, pag. 3; SPINELLI G., La corte costituzionale estende l’ambito oggettivo della compensazione delle spese di lite, ma i limiti restano, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, fasc.3, 2018, pag. 719; SCALERA A., Illegittima la norma sulla compensazione delle spese di lite: si ritorna al passato?, in Ilprocessocivile.it, fasc., 20 aprile 2018; MATARESE M., Spese processuali: la Corte costituzionale boccia l’irragionevole tassatività delle ipotesi di possibile compensazione delle spese di lite, in Diritto delle Relazioni Industriali, fasc.4, 2018, pag. 1211; DI GRAZIA R., Sulla compensazione delle spese giudiziali in caso di soccombenza totale, in Rivista di Diritto Processuale n. 1/2019; TEDIOLI F., La Corte Costituzionale estende il perimetro della compensazione delle spese giudiziali, in Studium Iuris n. 10/2018; LAFORGIA S., L’onore delle armi: note sul regime delle spese processuali alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 2018, in ADL n. 6/2018).
Con tale pronuncia, la Consulta – preso atto che il legislatore del 2014 abbia inteso far riferimento a due ipotesi tassative e rigide (l’assoluta novità della questione e il mutamento della giurisprudenza su una questione dirimente) in addizione all’invariata ipotesi della soccombenza parziale – ha ritenuto che un simile assetto normativo violi il principio di ragionevolezza e di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., comma 1, nella misura in cui lascia fuori altre analoghe fattispecie riconducibili alla stessa ratio giustificativa, il canone del giusto processo (art. 111 Cost., comma 1) e, altresì, il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost., comma 1) in quanto la prospettiva della condanna al pagamento delle spese di lite, anche in qualsiasi situazione imprevista e imprevedibile, può costituire una remora ingiustificata per la parte che agisce o resiste in giudizio a far valere i propri diritti.
La sentenza della Corte ha sottolineato che la sostanza identificativa delle due ipotesi prese in considerazione dalla legge può ugualmente rinvenirsi in altre situazioni non meno gravi ed eccezionali e tuttavia non iscrivibili in un rigido catalogo di ipotesi nominate e che, perciò, necessariamente debbono essere rimesse alla prudente valutazione del giudice della controversia (con connesso obbligo di motivazione della decisione di compensare le spese ex art. 111 Cost., comma 6).
La Consulta, per tale ragione, ha ritenuto che le ipotesi prese in considerazione dalla legge debbano in realtà avere carattere paradigmatico e svolgere una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale di grave ed eccezionale ragione di compensazione delle spese che, comunque, deve essere espressamente motivata.
La Corte Costituzionale, in particolare, ha precisato che l’indicazione normativa dell’assoluta novità della questione riflette il paradigma generale della situazione di oggettiva e marcata incertezza, in fatto o in diritto, non orientata dalla giurisprudenza e che, invece, quella del mutamento di giurisprudenza su questione dirimente sia rappresentativa dell’idea di sopravvenuto mutamento dei termini della controversia senza che nulla possa addebitarsi alle parti.
Sulla base delle predette considerazioni la Corte di Cassazione, nel caso di specie, ha ritenuto che la motivazione addotta dal Tribunale di Alessandria (che si basava sulla ravvisata necessità di escutere prove testimoniali per l’assenza di prove documentali o altrimenti liquide) non poteva essere considerata idonea a giustificare la compensazione (nè parziale nè tantomeno totale) delle spese di lite in quanto non rientrante né in uno né nell’altro dei paradigmi individuati dalla Corte Costituzionale.