La collazione non rileva ai fini della riunione fittizia
di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDFCassazione civile, Sez. II, ord. 5 maggio 2022 n. 14193 – MANNA – Presidente – TEDESCO – Relatore
Collazione – Riunione fittizia – Lesione di legittima
C.c. artt. 556, 537, 737
Massima: “Ai fini del calcolo della disponibile ex art. 556 c.c., sono sempre assoggettate a riunione fittizia tutte le donazioni, a chiunque fatte, indipendentemente dalla qualità di congiunto, di erede o di estraneo del donatario.”
“La dispensa dalla collazione sottrae il donatario dal conferimento ma non importa l’esclusione del bene donato dalla riunione fittizia ai fini della determinazione della porzione disponibile.”
CASO
L’ordinanza trae origine dalla successione di R.V.G., disciplinata da testamento con cui, dopo aver menzionato la donazione in favore del figlio R.G., istituiva eredi in parti uguali nella quota disponibile i figli R.G., R.F. e R.Gi. In aggiunta alla donazione menzionata nel testamento, il de cuius aveva fatto in vita altre donazioni in favore del medesimo figlio R.G, della di lui figlia R.V.M. e dell’altra figlia R.F.
In un primo momento con sentenza non definitiva il Tribunale di Termini Imerese disponeva l’annullamento del testamento e della donazione in favore del figlio R.G. per incapacità del disponente, annullamento che veniva successivamente esteso anche alle altre donazioni con sentenza definitiva della medesima corte.
Contro le sentenze, definitiva e non definitiva, proponevano appello R.G. e R.V.M.
La Corte di Appello di Palermo, con sentenza non definitiva n. 1163/2018 confermata in Cassazione, dichiarava la validità del testamento e delle donazioni e con ulteriore sentenza non definitiva accertava che le donazioni in favore del figlio R.G. eccedevano la disponibile e dunque, nonostante la dispensa da collazione, ai sensi dell’art. 737 comma 2 c.c. dovevano essere conferite per l’eccedenza. Procedeva dunque alle operazioni di collazione delle donazioni in favore del medesimo R. G. e della sorella R.F. avuto riguardo all’eccedenza da questi ricevuta.
Contro la sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione R.G. e R.V.M.
SOLUZIONE
I ricorrenti affidavano il ricorso a cinque motivi. Con il primo motivo eccepivano la violazione degli artt. 556, 537 737 cc, evidenziando che la Corte d’Appello, nell’effettuare la c.d. “riunione fittizia” ex art. 556 c.c. per determinare la quota ereditaria di spettanza di ciascun erede (ciascuno istituito nella quota di 1/3 della parte disponibile del patrimonio), aveva erroneamente escluso dal novero delle donazioni da sommare al relicum ereditario tanto la liberalità ricevuta dalla nipote del de cuius R.V.M. quanto la parte “disponibile” delle donazioni in favore del figlio R.G..
La Corte di Appello giustificava la lesione sovrapponendo il piano della collazione a quello della lesione di legittima: quanto alla donazione in favore della nipote, argomentando dalla estraneità della donataria dai soggetti tenuti all’obbligo di collazione ai sensi dell’art. 737 c.c.; quanto alle donazioni in favore del figlio, invece, dalla dispensa da collazione disposta dal de cuius.
I ricorrenti rilevavano, inoltre, che, partendo dal medesimo errato assunto, la Corte di Appello era incorsa in un’ulteriore conclusione censurabile: atteso che secondo i giudici di secondo grado il comma 2 dell’art. 737 c.c., ai sensi del quale la dispensa da collazione opera nei limiti della quota disponibile, è da intendersi nel senso che per l’eccedenza sul donatario grava l’obbligo di conferimento, la Corte calcolava l’eccedenza non tenendo conto della donazione in favore dell’estranea e, dunque, in misura più gravosa per R.G.
Includendo anche la donazione non soggetta a collazione tra i valori da sommare al relictum, infatti, sarebbe incrementato il valore della massa e, di conseguenza, quello della porzione disponibile, con correlativa riduzione della parte di donazione da collazionare.
A parere dei giudici di legittimità il motivo è fondato.
La Suprema Corte, nonostante non si trattasse di espresso oggetto di censura da parte del ricorrente, hanno ritenuto opportuno anzitutto confutare l’interpretazione data dai giudici di secondo grado all’art. 737 comma 2 c.c. citando numerosi precedenti conformi (Cass n. 711/1996, n. 268/1984, n. 989/995, n. 74/1967 et al.): nel dire che la dispensa da collazione non opera per la parte che eccede la quota disponibile il legislatore avrebbe, in realtà, inteso affermare che per l’eccedenza la donazione è soggetta a riduzione e non già che questa soggiace all’obbligo di collazione.
Quanto alla parte della sentenza oggetto di ricorso (il corretto calcolo della porzione disponibile), poi, la Corte di legittimità accoglieva le censure dei ricorrenti, rilevando l’“evidente” l’errore contenuto nella sentenza impugnata, che, nella determinazione della disponibile con la riunione fittizia ex art. 556 c.c., avrebbe dovuto includere “naturalmente tutte le donazioni” e, dunque, tanto quella fatta all’estranea quanto quelle fatte al figlio con dispensa da collazione.
QUESTIONI
L’ordinanza in commento tocca alcune delle tematiche più complesse e controverse del diritto successorio, in materia di collazione e di imputazione ai fini della riunione fittizia.
Nonostante punti di contatto, derivanti dal comune oggetto rappresentato dalle liberalità effettuate in vita del de cuius, profonde sono le differenze tra i due istituti.
L’imputazione delle donazioni ai sensi dell’art. 556 c.c. è una forma di tutela garantita ai legittimari, che consente di considerare tutti beni di cui il de cuius ha disposto a titolo gratuito come ancora ricompresi nella massa “fittizia” da cui determinare le quote riservate a ciascun legittimario. Diverso è, invece, l’ambito di applicazione del sistema della collazione, disciplinato dagli artt 737 e ss c.c.
La collazione è, infatti, una fase della divisione ereditaria che opera reciprocamente tra i coeredi congiunti del de cuius (CARNEVALI, La collazione in Digesto civ., II, Torino, 1988) ed è strumentale alla determinazione delle quote ereditarie, che si differenziano da quelle di riserva in quanto calcolate sul solo relictum netto.
Dunque, come rilevato da autorevole dottrina (CAPOZZI, Successioni e Donazioni, Milano, 2015) mentre la collazione sacrifica solo i donatari che siano coeredi e discendenti del donante, l’azione di riduzione tende a sacrificare ogni donatario, a prescindere dal suo status di erede.
Un primo orientamento considerava la collazione incompatibile con l’istituto della riduzione delle donazioni lesive della quota di legittima, ritenendo la sola collazione alla massa ereditaria idonea e sufficiente a sanare la lesione subita dal legittimario, con la conseguenza che la riduzione della donazione fatta ad un coerede sarebbe stata utile nei soli casi in cui il disponente avesse dispensato il donatario dall’obbligo di collazione.
Nel tempo, tuttavia, la posizione della giurisprudenza si è avvicinata alla conclusione opposta, come dimostrano ad esempio Cass 22097/2015, che afferma la possibilità per il legittimario leso di agire in riduzione verso il coerede donatario anche in sede di divisione ereditaria “atteso che gli effetti della divisione – nonostante il meccanismo della collazione – non assorbono gli effetti della riduzione”; Cass. 7 marzo 2016 n. 445 che, pur pronunciandosi su un tema diverso (in questo caso i figli del primo matrimonio contestavano la riunione delle donazioni in loro favore realizzata per determinare la quota riservata al coniuge in seconde nozze, asserendo l’irrazionalità della riduzione di liberalità compiute quando l’attrice non aveva ancora la potenziale qualifica di legittimaria) ha espressamente sancito che ai fini della riunione fittizia è necessario tenere conto indistintamente di tutte le donazioni fatte in vita dal de cuius o Cass. 28196 del 10 dicembre 2020, che afferma espressamente che collazione e imputazione si possono cumulare: “il rilievo che la collazione può comportare di fatto l’eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione porzioni uguali, non esclude che il legittimario possa contestualmente esercitare l’azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che solo l’accoglimento di tale domanda assicura al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l’assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per l’imputazione del relativo valore“.
Se questo è il meccanismo ordinario con cui opera la collazione, il legislatore consente tuttavia al donante di derogarvi, dispensando il coerede donatario dall’obbligo di conferire alla massa dividenda quanto ricevuto a titolo liberale in quanto “la dispensa da collazione esclude che il bene oggetto della liberalità debba essere compreso nella massa da dividere.” (CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2015).
Discusso è il rapporto tra dispensa da collazione e dispensa da imputazione (che ai sensi dell’art. 564 c.c. esonera il legittimario dall’obbligo di detrarre dalla quota di legittima rivendicata a mezzo dell’azione di riduzione il valore di quanto già ricevuto per donazione) a causa del controverso dato normativo contenuto nel comma 4 dell’art. 564 c.c. Detta norma dispone, infatti, che tutto ciò che è esente da collazione è pure esente da imputazione; la lettera della norma ha indotto una parte della dottrina a ritenere che, qualora il disponente dispensi il donatario-legittimario dall’obbligo di collazione, automaticamente anche l’imputazione dovrebbe considerarsi dispensata. Si osserva, tuttavia, un’opinione prevalente orientata verso conclusioni opposte e, in particolare, verso la considerazione delle due clausole come distinte e tra di loro autonome: il fatto che la donazione venga effettuata con dispensa da collazione non comporta che essa debba considerarsi anche con dispensa da imputazione e viceversa (CASSISA, Sui rapporti fra la dispensa dalla collazione e la dispensa dalla imputazione ex se, nel diritto successorio, in Giust. Civ., 1970).
Anche la giurisprudenza ha chiarito che la volontà del disponente di esonerare il beneficiario dagli obblighi predetti deve essere espressa, come di recente Cass. civ., 30 maggio 2017, n. 13660, per la quale non si può desumere una dispensa da imputazione qualora il donante abbia donato “in conto di legittima e per l’eventuale esubero sulla disponibile con dispensa da collazione”, non essendovi in tal caso un riferimento espresso alla dispensa da imputazione e non essendo a ciò sufficiente il mero riferimento alla disponibile.
Altro aspetto controverso, sempre correlato al tema della collazione, è quello dell’interpretazione del comma 2 dell’art. 737 c.c.
La norma testualmente afferma che “La dispensa da collazione non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile”, non chiarendo in che termini debba essere considerata tale inefficacia – circostanza che ha condotto dottrina e giurisprudenza ad ancorarsi su due posizioni contrapposte.
Da un lato la linea seguita anche dalla pronuncia in commento, secondo cui qualora il valore della donazione intacchi la quota di riserva di un legittimario, il donatario sarebbe tenuto ad effettuare una parziale collazione della stessa fino a ridurne il valore entro la soglia della quota disponibile.
Dall’altro, all’opposto, altre pronunce attribuiscono alla norma una portata incidente sul diverso tema della riduzione, asserendo che per la parte eccedente il legittimario potrà certamente agire in riduzione (Cass 13660/2017, secondo cui “La donazione fatta ad un legittimario dal defunto a valere in conto di legittima e per l’eventuale esubero sulla disponibile, con dispensa da collazione, è soggetta a riduzione, secondo i criteri indicati negli artt. 555 e 559 c.c., non implicando tale clausola una volontà del “de cuius” diretta ad attribuire alla stessa liberalità un effetto preminente rispetto alle altre in caso di esercizio dell’azione di reintegrazione da parte degli altri legittimari lesi.”), individuandone dunque la ratio nell’esigenza di scongiurare la possibilità che la dispensa da collazione produca effetti in termini di riduzione delle quote riservate.
Molte sono, dunque, le questioni – risolte o ancora aperte – inerenti ai temi della collazione, della riunione fittizia e dell’imputazione, ma ciò che è possibile in ogni caso desumere è la tendenziale autonomia che il legislatore accorda a ciascuno dei rimedi posti a tutela dei successori mortis causa, in totale coerenza con i principi sanciti dalla sentenza in commento.
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