Se la causa di invalidità del negozio deriva da una norma imperativa non si può configurare colpa contrattuale
di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDFCass. civ. Sez. VI-III, 7 gennaio 2021, n. 49 – Pres. Graziosi – Rel. Iannello
[1] Responsabilità precontrattuale – Causa di invalidità del negozio – Norma imperativa – Colpa contrattuale – Diligenza
(artt. 1337 e 1338 Cod. civ.)
[1] “Quando, in particolare, la causa di invalidità del negozio derivi da una norma imperativa o proibitiva di legge, o da altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, tali – cioè – da dover essere note per presunzione assoluta alla generalità dei cittadini e, comunque, tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso un comportamento di normale diligenza, non si può configurare colpa contrattuale a carico dell’altro contraente, che abbia omesso di far rilevare alla controparte l’esistenza delle norme stesse”.
CASO
[1] La fattispecie origina dalla sentenza con cui la Corte d’Appello di Ancona, confermando la decisione del giudice di prime cure, aveva condannato un locatore alla restituzione del deposito cauzionale e al risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale per aver agito in mala fede inducendo il conduttore a concludere un contratto che, altrimenti, non avrebbe mai concluso. Infatti, alla consegna del locale, il conduttore si era reso conto che la metratura dichiarata dell’immobile era inferiore, che il locale non era accatastato come negozio bensì come magazzino e che non vi erano posti macchina ad uso esclusivo del negozio. Avverso la sentenza il locatore proponeva ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
SOLUZIONE
[1] Per quanto di interesse con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1337 c.c. sulla base dell’assunto per cui la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto irrilevante la circostanza che il conduttore poteva spontaneamente eseguire una semplice visura catastale per accertarsi dell’esatta metratura dell’immobile e della sua destinazione d’uso. A detta del ricorrente lo stato di colpa in cui versava il conduttore non poteva essere dichiarato irrilevante, bensì avrebbe dovuto condurre ad escludere l’applicazione dell’art. 1337 c.c. a mente del quale le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede. Non rilevare una informazione, seppure essenziale, ma che tuttavia la controparte è in grado di procurarsi da sé, con uno sforzo mediamente ragionevole, infatti, non configura una condotta scorretta sanzionabile sul piano risarcitorio a titolo di responsabilità precontrattuale.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in epigrafe, ha dichiarato inammissibile il ricorso richiamando una consolidata giurisprudenza in tema di responsabilità precontrattuale
QUESTIONI
[1] La pronuncia in commento, che si pone in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, ci consente di effettuare alcune precisazioni in tema di responsabilità precontrattuale.
Per responsabilità precontrattuale si intende la lesione dell’altrui libertà negoziale, realizzata attraverso un comportamento doloso o colposo ovvero mediante l’inosservanza del precetto della buona fede. Tale responsabilità nasce nella fase delle trattative o, comunque in una fase precedente alla conclusione del contratto e si ricollega ad un comportamento scorretto di una delle parti in danno dell’altra.
La ratio della disciplina della responsabilità precontrattuale è quella di tutelare la libertà negoziale dei soggetti nella fase di formazione e di esplicazione della loro volontà, sanzionando tutti comportamenti contrari a buona fede, in grado di generare affidamenti o convinzioni infondate. Con la responsabilità precontrattuale, pertanto, l’ordinamento non tutela l’interesse del soggetto alla conclusione del contratto, poiché fino al momento dell’effettiva conclusione le parti sono libere di non stipulare, ma piuttosto l’interesse che la controparte, con cui si sta trattando, si comporti correttamente in modo da non generare un danno ingiusto.
Il fondamento codicistico della responsabilità precontrattuale risiede in due previsioni del
codice civile: gli artt. 1337 e 1338 c.c.
L’art. 1337 c.c., in particolare, prevede che la violazione della regola di comportamento che impone alle parti il dovere di comportarsi secondo buona fede, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, determini l’insorgere della responsabilità precontrattuale. L’art. 1337 c.c. sancisce, quindi, il principio di buona fede oggettiva. La buona fede in senso oggettivo viene in rilievo all’art. 1175 c.c. quale regola di condotta in forza della quale è imposto ai soggetti dell’obbligazione di modellare il reciproco comportamento, sulla scorta dei canoni di lealtà e correttezza, al fine di porre in essere una
condotta che non si limiti a soddisfare gli interessi dei soggetti ma che realizzi, altresì, il fine
di assicurare uno spostamento di ricchezza conforme a giustizia. La buona fede oggettiva, quale sinonimo di correttezza, alla luce del dettato costituzionale di cui all’art 2, è un canone di comportamento e, pur essendo una clausola elastica, è fonte di precisi obblighi comportamentali finalizzati alla salvaguardia della sfera giuridica della controparte.
In un primo momento gli interpreti hanno cercato di tipizzare questi obblighi al fine di individuare con precisione le regole comportamentali incombenti sulle parti nella fase che precede la formazione del contratto successivamente, invece, è emersa l’idea che qualunque comportamento sleale, tenuto nella fase precedente alla conclusione del contratto, possa essere fonte di responsabilità.
Sono emersi così – accanto all’obbligo fondamentale, tradizionalmente ricondotto nell’alveo
dell’art. 1337 c.c., di non recedere ingiustificatamente dalle trattative volto a tutelare l’interesse della parte a non essere coinvolto in trattative inutili e a quello specifico tipizzato
dall’art. 1338 c.c. – una serie di altri obblighi di varia natura (obblighi di informazione, di segretezza, di collaborazione, di chiarezza) la cui caratteristica principale rimane il carattere
aperto cioè la possibilità di ampliarsi fino a comprendere qualsiasi comportamento tenuto in
fase precontrattuale che sia contrario a buona fede e in grado, quindi, di danneggiare la libertà negoziale dell’altra parte.
Secondo quest’interpretazione estensiva, qualunque comportamento precontrattuale violativo della clausola generale di buona fede è fonte di responsabilità precontrattuale e allora la responsabilità precontrattuale, basandosi su una clausola generale, è una forma di
responsabilità atipica ed elastica.
Indubbiamente il primo – e per lungo tempo il principale – obbligo precontrattuale discendente al dovere di buona fede è quello, ex art. 1337 c.c., di non recedere ingiustificatamente dalle trattative precontrattuali. Il dovere di buona fede è posto a tutela dell’affidamento incolpevole della controparte che, in relazione alla durata e alla serietà delle trattative, è normalmente portata a fare progressivamente affidamento sull’esito positivo della contrattazione. Fino al momento della conclusione del contratto la parte è libera di non concludere ritirandosi dalle trattative ma deve farlo in modo da non pregiudicare ingiustificatamente le ragioni legittime della controparte pena il risarcimento del danno patito da quest’ultima per effetto del recesso. Infatti i presupposti dell’obbligo risarcitorio in caso di recesso dalle trattative sono proprio la presenza di un affidamento incolpevole della controparte e l’assenza di un giustificato motivo di recesso.
Il danno che la controparte dovrà risarcire è apprezzabile nei limiti dell’interesse negativo e,
quindi, nei limiti dell’interesse della parte ad essere riportata nella stessa condizione in cui si sarebbe trovata se non avesse intrapreso le trattative. (Cass. 3 dicembre 2015 n. 24625 con nota di VULPIANI, Responsabilità precontrattuale – Valutazione equitativa del danno: presupposti e limiti, in Giur. It., 2017, 12, 2618). Nel caso dell’art. 1337 c.c. si parla, infatti, di responsabilità precontrattuale da mancata stipulazione del contratto.
Se la ratio della responsabilità precontrattuale è quella di tutela la libertà negoziale delle parti nel rispetto del canone di buona fede allora è fondamentale che tale libertà si fondi su una conoscenza adeguata di tutti gli elementi rilevanti ai fini della conclusione del contratto.
Ulteriori obblighi precontrattuali discendenti al dovere di buona fede sono, infatti, gli obblighi
informativi ossia tutti quegli elementi in grado di incidere in modo oggettivo sulla prestazione
dovuta e sulla soddisfazione che l’altra parte può ragionevolmente attendersi dal contratto.
Se, infatti, non c’è una fase di trattativa, come nei contratti che si concludono istantaneamente, il diritto di autodeterminazione può essere leso dalla violazione dell’obbligo informativo precontrattuale.
Questa ipotesi è contemplata dall’art. 1338 c.c. Ciascuna delle parti che si accinge a concludere il contratto ha, infatti, l’obbligo di verificare l’eventuale sussistenza di cause di invalidità che rientrino nel proprio ambito di controllo e, nel caso in cui le individui, di darne comunicazione alla controparte evitando di giungere alla stipulazione di un invalido. In mancanza di diligente controllo o di diligente informazione e, quindi, se il contratto invalido viene ugualmente stipulato, la parte che conosceva, e dunque poteva anche impedire la conclusione del contratto, è tenuta a risarcire all’altra parte i danni da questa patiti per la conclusione del contratto invalido nei limiti dell’interesse negativo.
La norma, quindi, ha lo scopo di tutelare la libertà negoziale dei soggetti che si accingono a
concludere un contratto evitando che gli stessi siano coinvolti nella stipulazione di un contratto invalido. Dal punto di vista soggettivo, la parte è tenuta al risarcimento se sussistono gli estremi del dolo cioè sia consapevole del difetto del contratto che si accinge a stipulare, o della colpa, cioè sia stata negligente, perché utilizzando l’ordinaria diligenza avrebbe potuto conoscere la causa di invalidità.
L’obbligo risarcitorio, infatti, incontra un limite nella normale diligenza dell’altro soggetto coinvolto nelle trattative per cui non sussiste alcuna responsabilità in caso di mancata comunicazione di elementi che l’altro soggetto doveva conoscere e la cui mancata conoscenza è imputabile a sua colpa. In queste ipotesi l’eventuale concorso di colpa del soggetto danneggiato porta a escludere la responsabilità del danneggiante.
L’art. 1338 c.c. individua, quindi, un modello di responsabilità precontrattuale da stipulazione invalida in cui la parte fa affidamento legittimo sulla validità, sull’efficacia e sull’utilità di quel contratto che, invece, non può essere conseguita perché il contratto è invalido.
Orbene nel caso di specie la Suprema Corte, ribadisce, in linea con l’interpretazione dalla costante giurisprudenza di legittimità, che l’art. 1337 c.c. e la norma di cui all’art. 1338 c.c. che ne costituisce specificazione, mirando a tutelare nella fase precontrattuale il contraente di buona fede ingannato o fuorviato da una situazione apparente, non conforme a quella vera, e, comunque, dalla ignoranza della causa d’invalidità del contratto che gli è stata sottaciuta, presuppongono non solo la colpa di una parte nell’ignorare la causa di invalidità del contratto, ma anche la mancanza di colpa dell’altra parte nel confidare nella sua validità (Cass. 21 agosto 2004, n. 16508).
Ne consegue che quando la causa di invalidità del negozio derivi da una norma imperativa o proibitiva di legge, o da altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, tali da dover essere note per presunzione assoluta alla generalità dei cittadini e, comunque, tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso un comportamento di normale diligenza, non si può configurare colpa contrattuale a carico dell’altro contraente, che abbia omesso di far rilevare alla controparte l’esistenza delle norme stesse. (Cass. 18 maggio 2016, n. 10156; Cass. 8 luglio 2010, n. 16149; Cass. 26 giugno 1998, n. 6337. In dottrina sul tema GRANELLI, Gli obblighi informativi nella formazione dell’accordo contrattuale, in Nuova Giur. Civ., 2018, 7-8, 1200).
Tuttavia, come precisato dalla Corte in più occasioni, la questione se il contraente, il quale abbia fatto erroneo affidamento nella validità del contratto o, comunque, nella utile conclusione del contratto, versasse al riguardo o meno in colpa, costituisce questione fattuale di competenza del giudice di merito che non può essere censurata in sede di legittimità (v. Cass. 8 luglio 2010, n. 16149). Tale ultima costatazione, nella fattispecie sottoposta al suo vaglio, ha portato la Suprema Corte a rigettare le doglianze del ricorrente.