La Cassazione torna sui limiti della nozione di “consumatore” ex art. 3, lett. a), Cod. Cons.
di Stefano Gatti Scarica in PDFCass. civ., Sez. III, Ord., 26 settembre 2018, n. 22810 – Pres. Sestini – Rel. Rossetti
Parole chiave
“Foro del consumatore” – nozione di consumatore – atto professionale e atto funzionale all’attività professionale – contraente debole
MASSIMA
Non può essere qualificato come “consumatore” ai sensi dell’art. 3, lett. a), d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (codice del consumo), con conseguente inapplicabilità del c.d. “foro del consumatore”, l’avvocato che stipuli un contratto di utenza telefonica per il proprio studio legale, trattandosi di atto funzionalmente connesso all’attività professionale esercitata; né d’altra parte egli può essere equiparato alla figura del “consumatore”, ai fini dell’applicazione della disciplina in esame, per il solo fatto che risulti essere il soggetto economicamente e contrattualmente più debole nella concreta vicenda contrattuale [Massima non ufficiale].
CASO
Un avvocato, dopo avere stipulato con una compagnia di telecomunicazioni un contratto di utenza telefonica per il proprio studio legale, decide, in ragione di lamentati inadempimenti, di convenire in giudizio la stessa compagnia, al fine di ottenere la risoluzione del contratto oltre al risarcimento del danno. La causa viene incardinata presso il Tribunale di Monza, in applicazione della regola del “foro del consumatore”. L’eccezione di incompetenza, sollevata dalla società convenuta in forza della clausola di contrattuale che individuava la competenza di altro Tribunale, viene rigettata dal giudice adito, con statuizione successivamente confermata dalla Corte d’Appello. I giudici, nel merito, accolgono le domande attoree e condannano la società di telecomunicazioni al risarcimento del danno. Avverso la sentenza di secondo grado, la società propone quindi ricorso per cassazione, affidando le proprie doglianze a quattro motivi. La Suprema Corte accoglie il primo motivo, relativo alla competenza, e dichiara conseguentemente assorbiti tutti gli altri.
SOLUZIONE
La Cassazione, disattendendo le determinazioni dei giudici di merito, ha ritenuto (con argomentazioni che saranno approfondite nel paragrafo successivo) che l’avvocato non possa considerarsi “consumatore”, allorché concluda un contratto di utenza telefonica funzionale al proprio studio legale. Ne discende che, nella fattispecie, si esula dal campo di applicazione della disciplina consumeristica che prevede la regola di competenza territoriale del c.d. “foro del consumatore”.
QUESTIONI
Non è nelle mire di questo commento soffermare l’attenzione sulla regola del c.d. “foro del consumatore”. Sul punto ci si limita ad osservare che, in dottrina, successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, è stata segnalata l’importanza di coniugare la disposizione dell’art. 33, comma 2°, lett. u) cod. cons. – dalla quale la giurisprudenza ha ricavato la sussistenza della regola del c.d. foro generale del consumatore, facendo leva sulla presunta vessatorietà della clausola che stabilisce «come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore» (cfr. Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2003, n. 14669) – con quella dell’art. 66 bis cod. cons., introdotto dal d.lgs. 21/2014, il quale, pur ricalcando il previgente art. 63 cod. cons., si inserisce in una cornice che ha amplificato sensibilmente il campo di applicazione della regola dell’inderogabilità del foro: in dottrina, v. ampiamente G. De Cristofaro, Foro competente [art. 66-bis Codice del consumo], in G. D’Amico [a cura di], La riforma del codice del consumo. Commentario al D.Lgs n. 21/2014, Milano-Padova, 2015, 2° ed, p. 370 ss. e G. Gioia, Sub art. 66 bis cod. cons., in V. Cuffaro (a cura di), Codice del consumo, Milano, 2015, 4° ed., p. 511.
Le riflessioni della sentenza in commento, sulle quali ci si vuole brevemente soffermare, sono incentrate sulla definizione di “consumatore”, di cui all’art. 3, lett. a), cod. cons., proprio al fine di verificare se fosse applicabile, nel caso in esame, la regola del c.d. “foro del consumatore”.
In via preliminare, occorre chiarire che questa disposizione offre una definizione di carattere generale di “consumatore”, ma non universale, tanto che se ne trovano di differenti sia all’interno dello stesso codice del consumo (cfr., ad esempio, l’art. 18, lett. a], cod. cons., che pure reca una definizione nel contenuto sostanzialmente analoga), sia all’interno di leggi diverse (cfr. l’art. 6, comma 2°, lett. b], l. 27 gennaio 2012, n. 3, in tema di composizione della crisi da sovraindebitamento: v. per un’analisi e un confronto C. Cracolici, A. Curletti, La nozione di consumatore tra il Codice del Consumo e la Legge n.3 del 2012, in Contr., 2018, p. 81 ss.), sia in strumenti di diritto derivato dell’Unione europea direttamente applicabili nel nostro ordinamento (cfr., ad es., l’art. 3, n. 18] Reg. 178/2002/CE “consumatore finale”) (sul punto, v. G. De Cristofaro, La nozione di «consumatore o utente» (lett. a). Sub art. 3 cod. cons., in Id. e A. Zaccaria [a cura di], Commentario breve al diritto dei consumatori, Padova, 2013, 2° ed., p. 66 ss.).
Tanto premesso in linea generale, concentrando ora l’attenzione sul ragionamento sviluppato dalla Suprema Corte intorno alla definizione di consumatore qui in rilievo, si può osservare che sono due gli aspetti fondamentali su cui insistono i giudici di legittimità, al fine di negare all’avvocato, nello specifico caso di specie, la qualifica di “consumatore”.
Nella motivazione, la trattazione di questi aspetti è articolata in forma di critica rispetto alla contraria motivazione addotta dai giudici di merito nei primi due gradi di giudizio. Il giudice di prime cure e la Corte d’Appello erano infatti giunti ad applicare la regola del “foro del consumatore” sulla scorta di due considerazioni: primariamente, la conclusione di un contratto di utenza telefonica non rientra certo nell’attività professionale svolta dall’avvocato e, in secondo luogo, quest’ultimo avrebbe rivestito comunque, all’attento esame dei rapporti di forza tra le parti contrattuali nel caso di specie, il ruolo del soggetto più debole e, quindi, da tutelare.
Orbene la Cassazione, per un primo verso, conferma il prevalente orientamento giurisprudenziale restrittivo secondo cui non può essere considerato un atto del consumatore quello che, pur non rientrando tecnicamente nell’attività professionale svolta, sia ad essa comunque legata da un «nesso funzionale». La Corte richiama all’uopo alcuni precedenti conformi, tra i quali alcuni vertono proprio in fattispecie di negozi conclusi dall’avvocato (cfr., in particolare, il precedente Cass. civ., Sez. III, 22 maggio 2006, n. 11933 e, in relazione all’ipotesi in cui l’avvocato si abboni a riviste giuridiche o acquisti programmi informatici gestionali per lo studio legale, Cass. civ., Sez. VI-2, ord. 31 luglio 2014, n. 17466; più in generale, esprimono l’orientamento restrittivo adottato dalla sentenza in commento le richiamate Cass. civ., Sez. VI-1, ord. 23 settembre 2013, n. 21763; Cass. civ., Sez. III, 23 febbraio 2007, n. 4208; Cass. civ., Sez. III, ord. 9 novembre 2006, n. 23892 e Cass. civ., Sez. III, ord. 13 giugno 2006, n. 13643; sul punto v. G. Chinè, Sub art. 3 cod. cons., in V. Cuffaro (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 21-22).
Per un secondo verso, viene chiarito che non è possibile, allo stato attuale della normativa, operare una equiparazione della posizione del consumatore con la figura più generale del “contraente debole”: difetta, infatti, nella definizione di cui all’art. 3, lett. a), cod. cons. ogni riferimento all’iniziale disequilibrio tra la forza contrattuale delle parti. Prosegue la Corte che una simile estensione non risponderebbe neppure alla ratio della disciplina consumeristica di protezione contro le clausole abusive (direttiva 93/13/CEE), la quale non avrebbe la finalità di «perseguire astratti principi egualitari o redistribuire ricchezze», quanto piuttosto quella di evitare distorsioni della concorrenza nel mercato interno derivanti da legislazioni nazionali tra di loro eterogenee.
A margine dell’illustrata decisione possono svolgersi alcune considerazioni, che muovono dalla circostanza che, sotto molteplici punti di vista, l’individuazione degli esatti confini della nozione di “consumatore” qui in rilievo è stata (ed è tuttora) oggetto di ampia riflessione nella dottrina, così come nella giurisprudenza, sia nazionale, sia dell’Unione Europea.
Per soffermarsi solo sugli aspetti più rilevanti in questa sede, si può segnalare che, secondo l’orientamento ormai prevalente, il criterio definitorio è di tipo “oggettivo”, con ciò intendendosi che assume carattere decisivo l’interesse obiettivamente sotteso al compimento dell’atto compiuto (e che, quindi, il bene o il servizio acquistato mira concretamente a soddisfare): se esso non risulti collegato all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale svolta, chi lo compie potrà essere qualificato come “consumatore” (cfr., per una ricognizione dei vari orientamenti, M. Intravia, Il restyling della nozione di consumatore, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, p. 385-386).
È noto, inoltre, che rileva l’atto negoziale posto in essere dal soggetto e non, in generale, il tipo di professione svolta dal medesimo: può essere certamente “consumatore”, in relazione ad un dato rapporto contrattuale, anche chi, nella vita, svolga un’attività professionale. Proprio in relazione all’avvocato, può essere allora di un certo interesse richiamare la sentenza “Costea” della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Corte Giust. UE, Sez. IV, 3 settembre 2015, causa C-110/14, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, p. 382, con nota di M. Intravia, Il restyling della nozione di consumatore), la quale ha sostanzialmente precisato che le conoscenze tecniche di cui è normalmente in possesso il legale non escludono che egli si trovi comunque nella posizione di consumatore, beneficiando della relativa tutela allorché concluda un contratto con un professionista.
Resta da osservare che, nella riflessione dottrinale, ma anche nell’evoluzione normativa più recente, è riscontrabile la tendenza ad estendere la protezione offerta al consumatore ad altri soggetti intrinsecamente deboli: si pensi, ad esempio, all’estensione della tutela contro le pratiche commerciali scorrette alle c.d. microimprese, ad opera del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2012, n. 27.
È stato poi attribuito rilievo anche al considerando 17 della direttiva 2011/83/UE che, in relazione all’ostico problema dei contratti con cc.dd. “scopi misti” (relativo, cioè, a quei contratti stipulati per ottenere un bene o un servizio destinato a soddisfare interessi sia personali sia professionali), sembra suggerire un’impostazione meno rigida di quella offerta dalla Corte di giustizia nella nota sentenza “Gruber” (Corte Giust. UE, Sez. II, 20 gennaio 2005, causa C-464/01), la quale, in sede di interpretazione della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, ha affermato che il soggetto che compia un tale atto può essere considerato “consumatore” solo allorché lo scopo “professionale” «sia talmente marginale da avere un ruolo trascurabile nel contesto globale dell’operazione di cui trattasi». Afferma invece il richiamato considerando che «nel caso di contratti con duplice scopo, qualora il contratto sia concluso per fini che parzialmente rientrano nel quadro delle attività commerciali della persona e parzialmente ne restano al di fuori e lo scopo commerciale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto, la persona in questione dovrebbe altresì essere considerata un consumatore» (per il rilievo, cfr., ad es., C. Cracolici, A. Curletti, La nozione di consumatore, cit., p. 83 e M. Intravia, Il restyling della nozione di consumatore, cit., p. 386).
Con riguardo alle norme concretamente prese in considerazione dalla pronuncia (gli artt. 3 e 33 cod. cons.), la descritta tendenza espansiva – alla quale si aggiunga pure la considerazione che, sebbene la direttiva 93/13/CEE avesse notoriamente la primaria finalità di rimediare alle distorsioni di concorrenza nel mercato interno derivanti dall’assenza di una disciplina armonizzata sulla protezione dei consumatori, si riconosce oggi generalmente che quest’ultima abbia lo scopo di proteggere un soggetto istituzionalmente debole nei confronti del potere contrattuale del “professionista” – non pare tuttavia offrire, da sola, all’interprete un margine di manovra sufficientemente ampio da consentirgli di equiparare la posizione del consumatore a quella del contraente (professionista) debole, in assenza di impulsi legislativi o provenienti dall’ordinamento dell’Unione europea (sul punto cfr. le riflessioni di F. Molli, Consumatore, professionista e mercato, in www.giustiziacivile.com, approfondimento del 12 aprile 2018).