La Cassazione sul «caso Falciani». La provenienza illecita del documento non ne esclude l’utilizzabilità.
di Davide Turroni Scarica in PDFCass., Sez. VI (ord.), 28 aprile 2015, n. 8605
Prova documentale – Processo tributario – Prova illecitamente acquisita all’estero – Utilizzabilità
(Cost. artt. 2, 24, 53; D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 1, 7; C.p.c. artt. 115, 116; C.p.p. artt. 191, 240; Att. C.p.p. art. 220)
[1] L’Amministrazione finanziaria, nella sua attività di accertamento della evasione fiscale, può avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una disposizione di legge o dal fatto di essere stati acquisiti dalla Amministrazione in violazione di diritti fondamentali della persona e del contribuente. Sono perciò utilizzabili, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievo l’eventuale reato commesso dal dipendente stesso e la violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari (il quale non gode di tutela nei confronti del fisco).
CASO
[1] Approdano in cassazione i primi contenziosi scaturiti dalla «lista Falciani». La vicenda è nota: il tecnico informatico addetto alla filiale svizzera di una nota banca britannica acquisisce illecitamente e «vende» alle autorità francesi i dati relativi a numerosi clienti, tra cui una nutrita serie di contribuenti italiani. La scoperta di questi capitali, per lo più non denunciati al fisco, provoca un’ondata di accertamenti da parte dell’Agenzia delle entrate e di conseguenti contenziosi tributari. Fra le censure mosse dai contribuenti ricorre quella relativa all’efficacia probatoria dei documenti inclusi nella «lista» in quanto acquisiti in maniera illecita.
Nel caso concreto la censura è accolta dai giudici di merito. Questi ultimi evidenziano tra l’altro che, in uno dei procedimenti penali promossi a carico di un contribuente, il GIP aveva disposto l’archiviazione proprio in ragione della provenienza illecita dei documenti e in base all’art. 191 c.p.p., a norma del quale «le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate». L’Agenzia delle Entrate ricorre in cassazione, invocando la piena efficacia probatoria nell’ordinamento interno della documentazione acquisita.
SOLUZIONE
[1] La Cassazione accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. Ai fini che interessano, la Suprema Corte osserva che il divieto sancito dall’art. 191 c.p.p. di utilizzare le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge (come le disposizioni correlate quali gli artt. 240 c.p.p. e 220 att. c.p.p.) è regola interna al processo penale che non può estendersi agli altri ambiti della tutela giurisdizionale. Ritiene, quindi, che l’irrituale acquisizione delle prove non ne escluda l’utilizzabilità nel processo tributario «in mancanza di una specifica previsione in tal senso» e salvi «i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale» – ipotesi che non ricorrerebbero nel caso concreto. Aggiunge che gli illeciti commessi a monte «dall’autore materiale della lista» non inficiano di per sé l’attività del fisco italiano, il quale ha acquisito i documenti trasmessigli dalle autorità francesi nel pieno rispetto delle norme che regolano la materia (in primo luogo della dir. 77/799/CEE e dell’art. 31 bis d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, vigenti ratione temporis, che tra l’altro non gli impongono di controllare autenticità e attendibilità della documentazione acquisita da altro Stato membro). Infine non è opponibile il diritto alla riservatezza, che, per quanto costituzionalmente rilevante, «è sicuramente recessivo di fronte al dovere inderogabile imposto ad ogni contribuente dall’art. 53 della Costituzione».
Dunque i dati contenuti nella «lista Falciani» sono utilizzabili nel processo tributario. Salvo avvertire che, una volta acquisiti, essi non assurgono a prova legale e la loro rispondenza al vero può essere confutata nei modi ordinari; ragione per cui la Cassazione rinvia la causa alla competente Commissione tributaria regionale perché valuti «se i dati contenuti nella lista Falciani siano attendibili anche attraverso il riscontro on le difese del contribuente.»
QUESTIONI
[1] Sui contenziosi generati dalla «lista Falciani» non constano precedenti della Suprema Corte sullo specifico tema della sua utilizzabilità nel contenzioso tributario; per cui la pronuncia in commento (subito «doppiata» dalla coeva Cass., 8606/2015) assume senz’altro carattere di leading decision. La giurisprudenza di merito risultava finora divisa. In senso sostanzialmente conforme alla decisione annotata v. ad es. Comm. trib. prov. Reggio Emilia, 18 maggio 2012, n. 198, in www.fiscoediritto.it; Comm. trib. reg. Lombardia, 27 febbraio 2014, n. 1072, segnalata fra i tanti in www.ilsole24ore.com; Comm. trib. prov. Milano, 6 maggio 2013, n. 152, in www.italiaoggi.it. Contra, nel senso dell’inutilizzabilità, Comm. trib. reg. Lombardia, 28 gennaio 2013, n. 11, in Corr. trib., 2013, 892; Comm. trib. prov. Varese, 8 aprile 2013, n. 62, in www.ilsole24ore.com.
Sul fronte penalistico, apertosi in parallelo ai contenziosi tributari, già risulta il precedente di Cass. pen, 26 settembre 2012, n. 38753, in Riv. giur. trib., 2012, 925, che nell’escludere l’utilizzabilità della «lista» risente peraltro del disposto dell’art. 191 c.p.p., la cui operatività al di fuori dell’ambito processualpenalistico è generalmente negata: v. Comoglio, Le prove civili, Milanofiori Assago, 2010, 72 ss.
Benché l’utilizzo delle prove illecite sia questione di portata generale, la decisione annotata investe un settore peculiare, caratterizzato da un apparato consistente di disposizioni speciali e, soprattutto, da un forte interesse pubblico presidiato dall’art. 53 Cost. La pronuncia in commento – se pure rimanesse ferma –risponde quindi a una logica insuscettibile di meccanica trasposizione ad altri ambiti.
In generale, la categoria della «prova illecita» sconta numerose incertezze e comunque non si presta a soluzioni univoche. Oltre alle possibili variazioni derivanti da specifiche norme di settore, la c.d. «prova illecita» racchiude ipotesi molto diverse, per cui occorre sempre verificare se e come la singola causa di illiceità incida sul valore probatorio del mezzo di volta in volta considerato. Sulla varietà delle ipotesi comprese nella nozione di «prova illecita», e sulla necessità di valutarne singolarmente il regime giuridico (la principale differenza corre tra prove costituende acquisite in violazione delle norme processuali; e prove precostituite, che pur ritualmente prodotte la parte si è procurata con modalità illecite), v. Trib. Torino, 8 maggio 2013, in Giur. it., 2014, 2480 ss.; Cass., sez. un., 8 febbraio 2011, n. 3034, in Corr. giur., 2011, 943. Analogo l’approccio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, opportunamente richiamata dalla decisione in commento (ad es. CEDU, 26 aprile 2007, Papescu vs. Romania; CEDU, 9 maggio 2003, Papageorgiou vs. Grecia, entrambi consultabili sul sito istituzionale hudoc.echr.coe.int). Per la dottrina v. Comoglio, Le prove civili, cit., 64 ss.; Graziosi, Usi e abusi di prove illecite e prove atipiche nel processo civile, ivi, 2011, 693 ss.