La Cassazione delinea i confini del travisamento della prova.
di Enrico Picozzi Scarica in PDFCass., sez. I, 25 maggio 2015, n. 10749
Impugnazioni civili – Travisamento della prova – Nozione – Deducibilità con ricorso per cassazione – Condizioni – Insussistenza
(C.p.c. artt. 115, 116, 360 n. 5, 366)
[1] Il vizio di travisamento della prova può ritenersi integrato quando l’informazione probatoria riportata in sentenza sia contraddetta da uno specifico atto processuale epurché la stessa riguardi un fatto decisivo della controversia.
CASO
[1] Nell’ambito di una controversia in materia di appalto, la società incaricata dei lavori vedeva accolta in primo grado la propria domanda di recesso dal contratto ex art. 1660, co. 2, c.c. Il giudice del gravame di contro ed in totale accoglimento dell’impugnazione spiegata dalla committente, riformava la sentenza. Per tale motivo, l’appaltatrice ricorreva per cassazione deducendo, sotto distinti profili giuridici, la difformità esistente tra gli accertamenti svolti dal C.T.U. e quelli posti a fondamento della decisione.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte, dopo aver preliminarmente sussunto le censure avanzate nel più ampio e comprensivo vizio di travisamento della prova, ne illustra il significato. In questa direzione il giudice di legittimità, coerentemente ai risultati giurisprudenziali già raggiunti in sede penale (v., Cass. pen., sez. IV, 29 Aprile 2015, n. 18073; Cass. pen., sez. VI, 3 febbraio 2014, n. 5146), precisa che il vizio in discorso ricorre: a) ogniqualvolta l’informazione probatoria, cosi come recepita in sentenza, risulti contraddetta – nel duplice senso che la stessa contrasti o possa addirittura mancare – da uno specifico atto processuale; b) e purché la stessa prova travisata si prospetti come decisiva, id est idonea a condurre il giudice del rinvio verso una decisione differente rispetto a quella annullata. Nel caso di specie tuttavia la Corte ha rigettato il ricorso, mancando i presupposti appena menzionati.
QUESTIONI
[1] La pronuncia in commento si pone in sostanziale continuità con la giurisprudenza precedentemente sviluppatasi sul tema (v. Cass., sez. lav., 28 febbraio 2014, n. 4855). Nondimeno, due aspetti meritano di essere evidenziati. In primo luogo, sebbene la sentenza torni a ribadire l’astratta distinzione tra errore di fatto revocatorio ex art. 395, co. 1, n. 4, c.p.c. e travisamento della prova (in tema, si veda Cass., sez. III, 2 luglio 2010, n. 15702; Cass., Sez. III, 9 gennaio 2007, n. 213; Cass., sez. III, 24 maggio 2006, n. 12362), sul piano pratico si registrano pronunce che riconducono all’errore revocatorio fattispecie sussumibili nell’alveo del travisamento della prova (v. Cass., sez., III, 25 giugno 2003, n. 10127; Cass., sez. III, 18 dicembre 1986, n. 7679). Il rilievo non è di poco momento, poiché, a differenza del vizio di travisamento – il quale presuppone un’attività di valutazione logico-giuridica del documento probatorio travisato, il cd. errore revocatorio si caratterizza per essere un mero errore di percezione in ordine all’esistenza/inesistenza di un fatto, non controverso tra le parti. In secondo luogo, le modalità di deduzione del vizio in esame vanno raccordate con l’oscillante e non sempre coerente giurisprudenza in materia di autosufficienza. Più distesamente, ci si domanda se il ricorrente, in conformità all’onere di specifica indicazione di cui all’art. 366, co. 1, n. 6, possa limitarsi ad allegare l’atto processuale travisato (questa sembra la soluzione processuale prescelta nella sentenza) oppure debba trascriverne il contenuto (così, ad esempio, Cass., sez. Lav.,28 febbraio 2014, cit.).