La Cassazione chiarisce le regole del subprocedimento incidentale per l’accertamento dell’obbligo del terzo pignorato e della successiva opposizione agli atti esecutivi (artt. 549 e 617, comma 2, c.p.c.)
di Stefania Volonterio, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, Sez. III, sent. 18 ottobre 2023, n. 28926, Pres. De Stefano, Est. Rossi
Espropriazione presso terzi – contestazione della dichiarazione del terzo – opposizione agli atti esecutivi (Cod. Proc. Civ. artt. 543, 548, 549, 617)
[I] “L’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione, mediante sommario accertamento, risolve questioni relative all’esistenza della posizione debitoria del terzo va impugnata con ricorso diretto al giudice dell’esecuzione ai sensi del secondo comma dell’art. 617 del codice di rito, trattandosi di reazione avverso un atto del procedimento esecutivo” (massima redazionale)
[II] “Il subprocedimento di accertamento dell’obbligo del terzo postula, in caso di contestazione della dichiarazione del terzo ad opera del creditore, la formulazione di una ‘istanza di parte (cioè a dire un atto di impulso necessariamente proveniente dalla parte interessata all’individuazione del credito staggito), nonché, in modo indefettibile, l’instaurazione del ‘contraddittorio tra le parti con il terzo” (massima redazionale)
[III] “Nell’espropriazione forzata presso terzi, …, il subprocedimento volto all’accertamento dell’obbligo del terzo postula, quale condizione di procedibilità, un’istanza della parte interessata – nelle forme di cui all’art. 486 cod. proc. civ. – che deve contenere l’allegazione del petitum e della causa petendi propri della domanda giudiziale e, cioè, l’indicazione della misura del credito del debitore verso il terzo e del titolo dell’obbligazione da accertare” (massima redazionale)
CASO
Una debitrice subisce l’esecuzione forzata, nelle forme di cui agli artt. 543 ss. c.p.c., presso un terzo che il creditore procedente asserisce essere debitor debitoris del residuo del prezzo di una cessione di azienda.
Il terzo pignorato rende però dichiarazione negativa e il creditore procedente, all’udienza fissata per la comparizione delle parti, e alla quale il terzo pignorato non partecipa, contesta la dichiarazione, sostenendo la perdurante esistenza del debito del detto terzo nei confronti dell’esecutata e depositando all’uopo della documentazione probatoria.
Il Giudice dell’esecuzione, in esito all’udienza, “atteso che il terzo non ha provato l’effettività del pagamento e quindi l’estinzione del credito”, pronuncia ordinanza di assegnazione delle somme pignorate.
Il terzo pignorato, raggiunto dalla notifica dell’ordinanza di assegnazione in uno con l’atto di precetto, dispiega allora opposizione dinanzi al giudice dell’esecuzione, lamentando la mancata instaurazione del contraddittorio nei suoi confronti allorchè il creditore procedente ha contestato la sua dichiarazione e sostenendo l’avvenuta estinzione del proprio debito nei confronti del debitore esecutato in data anteriore a quella di notifica del pignoramento de quo.
In esito al giudizio di opposizione, qualificato siccome agli atti esecutivi – e al quale la Suprema Corte ha cura di precisare che hanno partecipato anche la debitrice esecutata e il creditore procedente -, l’ordinanza di assegnazione viene annullata.
Ricorre allora per cassazione il creditore procedente, formulando una serie di motivi.
SOLUZIONE
La creditrice procedente lamenta innanzitutto, in via principale, che la terza pignorata avrebbe dovuto proporre opposizione “con atto di citazione da notificarsi nei venti giorni dalla notifica dell’atto di precetto” e non, come invece fatto, “con ricorso diretto al giudice dell’esecuzione e poi notificato alla opposta elasso il menzionato termine”, e lamenta altresì, in via subordinata, l’inosservanza del termine di cui all’art. 617 c.p.c. che, sempre nella tesi della ricorrente, doveva considerarsi “decorrente dalla udienza in cui era stata pronunciata l’ordinanza di assegnazione”.
La Suprema Corte respinge le doglianze richiamando, prima di tutto, il chiaro disposto dell’art. 549 c.p.c., che esplicitamente indica l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. come rimedio all’ordinanza di assegnazione in esito al pignoramento presso terzi, precisando che “questa Corte, in forza di plurimi indici di esegesi sistematica, ha ritenuto che l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione, mediante sommario accertamento, risolve questioni relative all’esistenza della posizione debitoria del terzo va impugnata con ricorso diretto al giudice dell’esecuzione ai sensi del secondo comma dell’art. 617 del codice di rito, trattandosi di reazione avverso un atto del procedimento esecutivo”.
Posta, quindi, la correttezza del “modus ingrediendi dell’opposizione in oggetto”, la Suprema Corte ne accerta anche la tempestività. Muovendo, infatti, dal considerare che il terzo pignorato, “almeno fino a quando non venga debitamente edotto del promovimento nei suoi riguardi dell’incidente di accertamento”, è da considerarsi solo un “ausiliario di giustizia” che, in quanto tale, non ha alcun obbligo di partecipare all’udienza fissata nell’atto di pignoramento – non essendovi in esso, peraltro, alcuna “citazione del terzo a comparire ma unicamente invito allo stesso a rendere dichiarazione di quantità” -, la Cassazione statuisce che il termine per l’opposizione non può farsi automaticamente decorrere dalla data dell’udienza di comparizione, occorrendo invece “far riferimento all’epoca di acquisizione della conoscenza (legale o di fatto) del provvedimento reso nel corso di quella o in esito ad essa (conoscenza la quale potrebbe in ipotesi coincidere con l’udienza, qualora, occasionalmente, il terzo pignorato fosse comparso in essa)”.
Pertanto, nel caso esaminato, la Corte rigetta la doglianza, avendo accertato che l’opposizione, nelle corrette forme, è stata tempestivamente incardinata dal terzo pignorato nei venti giorni successivi al ricevimento della notifica dell’ordinanza di assegnazione, primo momento nel quale di tale provvedimento esso terzo si può dire abbia avuto formale conoscenza.
La creditrice procedente lamenta poi l’errore nel quale sarebbe incorso il giudice l’opposizione allorchè, pur di fronte alla domanda dell’opponente volta ad accertare la nullità dell’ordinanza di assegnazione perchè “pronunciata in violazione della procedura di cui all’art. 548 e 549 cod. proc. civ., avendo il G.E. provveduto sulle contestazioni del creditore senza instaurare il contraddittorio con il terzo”, avrebbe invece fondato l’accoglimento della detta opposizione su una questione mai eccepita, e cioè la mancata formulazione da parte del creditore procedente dell’apposita istanza chiesta dall’art. 549 c.p.c. per dare corso all’accertamento sulla contestata dichiarazione del terzo.
La Corte rileva che, in effetti, il giudice dell’opposizione è incorso nell’”error in procedendo lamentato dalla ricorrente: la illegittimità dell’ordinanza di accertamento era stata dedotta dalla opponente per inosservanza del contraddittorio, non già per assenza dell’atto di impulso costituito dall’istanza di parte”, ma ritiene che tale error non possa determinare la cassazione della sentenza impugnata, bensì la sua conferma con correzione di motivazione.
Vi è, infatti, prosegue la Corte, che l’ordinanza che fu a suo tempo oggetto di impugnazione “è stata infatti pronunciata in palmare trasgressione del principio del contraddittorio”, poiché è tanto vero che il “subprocedimento di accertamento dell’obbligo del terzo postula, in caso di contestazione della dichiarazione del terzo ad opera del creditore, la formulazione di una ‘istanza di parte’”, ma è altrettanto vero che detta contestazione richiede anche “in modo indefettibile, l’instaurazione del ‘contraddittorio tra le parti con il terzo’”.
Tale contraddittorio, aggiunge la Corte, può poi essere instaurato anche “senza paradigmi sacramentali di vocatio in ius”, essendo idonea una qualsiasi modalità che sia idonea al raggiungimento dello scopo, ma la sua instaurazione è necessaria, ed essendo platealmente mancata nel caso di specie, essa determina l’illegittimità del conseguente provvedimento di accertamento.
Infine, per quanto qui rileva, la ricorrente lamenta che il giudice dell’opposizione avrebbe comunque errato nel non considerare formulata da parte del creditore procedente la già sopra citata istanza ex art. 549 c.p.c. volta all’accertamento sulla dichiarazione del terzo contestata, sostenendo detta ricorrente che “la richiesta di assegnazione formulata dopo la contestazione equivale alla richiesta di ordinare al terzo di pagare un certo importo al creditore e quindi, come ogni richiesta di condanna, implica una richiesta di accertamento” e che, in ogni caso, il subprocedimento che si apre a fronte della contestazione è deformalizzato anche rispetto all’atto che vi dà impulso e il giudice dell’opposizione non avrebbe potuto limitarsi a dichiarare improcedibile l’esecuzione, ma avrebbe dovuto “decidere su tutte le questioni, cioè a dire sulla esistenza ed entità del debito del terzo”.
Sul punto, la Corte, rigettando l’articolato motivo, si limita a richiamare, da un lato, principi consolidati in base ai quali “nell’espropriazione forzata presso terzi, …, il subprocedimento volto all’accertamento dell’obbligo del terzo postula, quale condizione di procedibilità, un’istanza della parte interessata – nelle forme di cui all’art. 486 cod. proc. civ. – che deve contenere l’allegazione del petitum e della causa petendi propri della domanda giudiziale e, cioè, l’indicazione della misura del credito del debitore verso il terzo e del titolo dell’obbligazione da accertare”, così respingendo la tesi della ricorrente circa l’estrema deformalizzazione che la stessa vorrebbe sostenere; dall’altro lato, la Corte richiama i principi, pure consolidati, in base ai quali l’opposizione ex art. 617 c.p.c. dà vita ad un giudizio rescindente ma non anche rescissorio, non potendo il giudice dell’opposizione pronunciare un provvedimento che faccia luogo di quello annullato, confutando così l’altra tesi della ricorrente che vorrebbe il giudice dell’opposizione investito di poteri e doveri che la legge non gli attribuisce.
QUESTIONI
La Suprema Corte coglie l’occasione per ribadire numerosi principi che regolano, anche expressis verbis, la procedura di cui parla l’art. 549 c.p.c. allorchè la dichiarazione resa dal terzo pignorato ex art. 547 c.p.c. venga contestata dal creditore procedente oppure manchi.
Tale norma, peraltro passata al vaglio della Corte Costituzionale proprio su alcuni dei principali temi trattati nella sentenza in commento (Corte Cost. 172/2019), è infatti chiara nel prevedere che, nel caso in cui la dichiarazione di quantità resa dal terzo ex art. 547 c.p.c venga contestata dal creditore procedente oppure non venga resa e, in questi casi, si determini l’impossibilità di determinare con esattezza quale sia il “credito” o “i beni” del debitore presso il terzo, si debba allora dare corso ad un procedimento di accertamento, ma solo se vi è “istanza di parte”, “nel contraddittorio delle parti e con il terzo” e con provvedimento finale che “è impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’articolo 617”.
E’ evidente come, di fronte alla contestazione del creditore, si apra una parentesi subprocedimentale che ha alcune delle fondamentali caratteristiche del processo ordinario di cognizione, quali la necessità di instaurazione del contraddittorio e la necessità di una “domanda” di parte, sebbene si tratti senza dubbio di un accertamento che si instaura e procede in modo sommario e deformalizzato, caratteristiche che, anche secondo la Corte Costituzionale (sentenza 172/2019) rispondono “ad una precisa scelta del legislatore: quella di fare, al riguardo, ricorso ad una istruttoria deformalizzata in vista dell’obiettivo, di rilievo costituzionale, di assicurare, nel rispetto dei principi fondamentali che governano il processo, la celerità e con ciò la ‘ragionevole durata’ dello stesso”.
Ora, rimane innanzitutto indefettibile l’impulso di parte, sicchè, come nel caso esaminato dalla Suprema Corte, la contestazione della dichiarazione del terzo, da sola, non è sufficiente ad integrare anche “l’istanza” chiesta dalla norma, che non può ritenersi implicitamente contenuta in detta contestazione.
L’istanza non necessita, però, di formule sacramentali, considerato che, nel silenzio della legge, si è affermato che “ai fini dell’introduzione della fase incidentale, dunque, l’istanza ex art. 549 c.p.c. può certamente essere formulata con un atto formale (ad es., una memoria), ma può anche essere resa a verbale d’udienza” (Cass. 13487/2023). Tuttavia, l’istanza necessità di un minimo contenuto di ammissibilità, dovendo essere “debitamente circostanziata, sia in relazione al petitum, che alla causa petendi” (così sempre Cass. 13487/2023): come anche rilevato dalla sopra citata pronuncia della Corte Costituzionale, infatti, l’istanza de qua è un atto di “impulso che – proprio perché riferibile ad un procedimento deformalizzato di tipo non cognitivo – non ha le caratteristiche di una domanda giudiziale, ma deve comunque necessariamente avere le ragioni di un’istanza, in modo da garantire il diritto di difesa dei convenuti attraverso l’individuazione del rapporto assunto come esistente tra il debitore e il terzo, oltre che nel quantum dell’obbligo, almeno nel suo massimo”.
Altro aspetto non obliterabile, come detto, è l’instaurazione di regolare contraddittorio tra il creditore contestante, il terzo pignorato e il debitore esecutato (“nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo pignorato regolato dall’art. 549 c.p.c. il contraddittorio deve essere assicurato anche nei confronti del debitore esecutato, il quale è litisconsorte necessario anche nell’eventuale opposizione ex art. 617 c.p.c., proposta ai sensi della seconda parte dello stesso art. 549 c.p.c., e nel successivo ricorso straordinario per cassazione”, così Cass. 9267/2020). Anche qui, tuttavia, la legge non prevede particolari ritualità per instaurare il contraddittorio nei confronti dei litisconsorti che sono stati assenti all’udienza nella quale la contestazione è stata fatta: come pure chiarito dalla sentenza in commento, e in conseguenza di quanto detto sopra sulle non predefinite modalità di formulazione dell’istanza di cui all’art. 549 c.p.c., si potrà notificare al terzo e/o al debitore assenti il verbale contenente tale istanza o l’atto (memoria) nel quale l’istanza è stata compiutamente formulata. Vale, anche in questo caso, il principio del raggiungimento dello scopo.
Per quanto concerne, poi, l’efficacia del provvedimento che accerta l’esistenza o l’inesistenza del credito contestato, la Cassazione è chiara: “nell’espropriazione forzata presso terzi, a seguito delle modifiche apportate dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dal d.l. 12 settembre 2014, n. 132 e, da ultimo, dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83, l’accertamento dell’obbligo del terzo si configura alla stregua di un subprocedimento contenzioso interno alla procedura esecutiva, funzionalmente devoluto al giudice di questa e volto alla delibazione dell’effettiva esistenza di un diritto di credito ai soli fini dell’esecuzione in corso, sicché l’ordinanza che lo definisce è priva di rilievo o efficacia panprocessuale e inidonea (anche soltanto in potenza) alla formazione di un giudicato sull’an o sul quantum del debito del terzo nei confronti dell’esecutato” (Cass. 23123/22).
Ciò determina, da un lato, che venga esclusa l’esistenza di un rapporto di litispendenza tra il giudizio di opposizione eventualmente instaurato avverso il provvedimento che conclude l’accertamento ex art. 549 c.p.c. e il diverso giudizio eventualmente in corso per l’accertamento del rapporto di debito/credito tra il debitore esecutato e il terzo pignorato; dall’altro lato, come ben rilevato anche dalla Corte Costituzionale nella sopra citata pronuncia del 2019, ne consegue che “resta in facoltà del terzo pignorato anche il successivo esercizio di un’azione di ripetizione di indebito oggettivo”.
Infine, l’art. 549 c.p.c., come detto, è chiaro nell’indicare l’opposizione ex art. 617 c.p.c. come il rimedio al provvedimento che concluda l’accertamento compiuto sulla dichiarazione del terzo contestata, e la pronuncia in commento conferma quanto già noto: il relativo giudizio ha solo natura rescindente (ex multis, Cass. 9736/2017, Cass. 28131/2022), sicchè spetterà al giudice dell’esecuzione, il cui atto è stato annullato, riassumere il provvedimento in assenza di vizi.
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