La Cassazione chiarisce cosa deve intendersi per «pagamenti nei termini d’uso» ai fini dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare
di Luca Iovino Scarica in PDFFallimento – Azione revocatoria fallimentare – Atti a titolo oneroso – Esenzione – Pagamenti «nei termini d’uso» di cui all’art. 67, comma 3, lett. a), l.fall. – Nozione (r.d. 16 marzo 1942 n. 267, legge fallimentare, art. 67)
[1] Il rinvio dell’art. 67, comma 3, lett. a), l.fall. ai «termini d’uso», ai fini dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare per i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa, attiene ai tempi ed alle modalità di pagamento proprie del rapporto tra le parti e non già alla prassi del settore economico di riferimento.
CASO
[1] La curatela del fallimento di una s.r.l. chiedeva al Tribunale di Torino la revoca ex art 67 l. fall., di alcuni pagamenti in contanti in occasione dell’approvvigionamento di merce al dettaglio effettuato dalla società poi fallita presso il magazzino di una società fornitrice (cd. contratti di acquisto “cash and carry”).
L’accipiens resisteva in giudizio invocando l’applicazione della norma di cui all’art. 67 comma 3 lett. a), l.fall., che, a seguito delle modifiche introdotte dal d.l. 14 marzo 2005 n. 35, prevede l’esenzione da revocatoria per i “pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa nei termini d’uso”.
Il tribunale, ritenuto che sussistesse tra le parti un uso conforme alla prassi del settore di effettuare pagamenti in contanti della merce acquistata al dettaglio, rigettava la domanda della curatela del fallimento.
La sentenza del tribunale, appellata dal fallimento, veniva riformata dalla corte d’appello di Torino che revocava i pagamenti.
La corte di merito adottava un’interpretazione della locuzione legislativa “nei termini d’uso” riferita non tanto alle “consuetudini generali relative a determinate tipologie contrattuali” quanto piuttosto alle “abitudini del singolo imprenditore” ed escludeva che fosse stata raggiunta la prova che fra le parti – con esclusione di un breve periodo immediatamente precedente alla dichiarazione di fallimento – esistessero prassi contrattuali del tipo di quelle oggetto di revocatoria.
La società fornitrice proponeva ricorso per cassazione assumendo, tra l’altro, che per pagamenti effettuati nei termini d’uso debbano intendersi quei pagamenti che, per modalità e termini, risultino conformi alla prassi del settore commerciale nel quale le parti operano e come il pagamento in contanti della merce acquistata al dettaglio integrasse una prassi ampiamente diffusa nel settore di provenienza delle parti.
SOLUZIONE
[1] La corte rigetta il ricorso escludendo che attraverso il richiamo ai termini d’uso il legislatore abbia inteso riferirsi alla prassi commerciale del settore di provenienza delle parti.
Per pagamento nei termini d’uso, secondo il Supremo Collegio devono intendersi i pagamenti che, per modalità e tempi, si conformano al concreto e specifico rapporto negoziale intercorso tra fallito e accipiens.
QUESTIONI
[1] Il comma 3 dell’art 67 l. fall. introdotto dal d.l. 14 marzo 2005 n. 35 conv. in l. 14 maggio 2005 n. 80, prevede una serie di esenzioni dall’azione revocatoria fallimentare e tra queste, quella riguardante i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso.
L’esenzione opera oggettivamente, nel senso che se l’atto solutorio è compiuto nei termini d’uso non può essere revocato indipendentemente dalla conoscenza da parte dell’accipiens, dello stato di insolvenza del debitore e risponde all’esigenza di permettere all’imprenditore in difficoltà di proseguire l’attività economica evitando che i partners commerciali, a causa del rischio di revocatoria dei pagamenti, sospendano i loro rapporti commerciali con l’impresa in crisi.
La genericità della formula «nei termini d’uso» adoperata dal legislatore ha ingenerato molteplici dubbi interpretativi
I giudici di merito, in primo luogo, si sono interrogati se il riferimento ai «termini d’uso» fosse di tipo strettamente temporale e dunque l’esenzione operasse soltanto per i pagamenti effettuati regolarmente alla loro scadenza, ovvero se la formula legislativa ricomprendesse anche il profilo delle modalità del pagamento che deve essere eseguito con mezzo fisiologico ed ordinario (in senso conforme a quest’ultima interpretazione cfr. Tribunale Milano, sez. II, 7 giugno 2010; Tribunale Milano, sez. II, 3 maggio 2012, n. 5115 Tribunale Roma, sez. fallimentare, 28 gennaio 2014, n. 2085; Tribunale Monza, sez. III, 24 aprile 2012)
Altra questione dibattuta riguarda la fonte degli usi: non è infatti chiaro se il richiamo contenuto nell’art. 67 l. fall. faccia riferimento alle prassi del settore commerciale in cui le parti operano, ovvero al concreto regolamento negoziale convenuto tra le parti o ancora vadano considerati entrambi tali elementi ai fini del giudizio di conformità.
La giurisprudenza di merito ha finora privilegiato il concreto rapporto tra le parti (cfr. Tribunale Salerno, sez. III, 18/06/2013, n. 1559; Tribunale Roma, sez. fallimentare, 24/01/2014, n. 1821; Tribunale Roma, sez. fallimentare, 10/09/2014) anche se si registrano pronunce che attribuiscono rilevanza alle prassi di settore (cfr. Tribunale Milano, sez. II, 18/07/2011 che ammette il riferimento a dette prassi “in mancanza di una particolare consuetudine invalsa inter partes o in presenza di atti di pagamento unici o sporadici”).
Con la pronuncia in commento la Corte di legittimità interviene per la prima volta sulla questione ed afferma che la soluzione più appagante, fra quelle prospettate dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito, è quella che riferisce i termini d’uso – da intendersi “non solo come tempi ma anche come complessive modalità di pagamento” – al concreto rapporto negoziale tra le parti ed esclude ogni rilevanza alla prassi del settore economico in questione.
Si tratta di un’interpretazione estremamente restrittiva che rende l’esenzione prevista dall’art. 67, comma 3, lett. a), l.fall. applicabile alle sole ipotesi in cui possa essere data la prova dell’esistenza di pregressi e uniformi rapporti contrattuali tra le parti mentre l’esclude in radice quando il pagamento, pur essendo conforme alle prassi del settore commerciale di provenienza sia del solvens che dell’accipiens, non si collochi nell’ambito di un rapporto stabile.
Il principio affermato dalla cassazione rischia di limitare l’efficacia dell’esenzione ad ipotesi marginali e appare in contrasto con le esigenze di tutela della sicurezza dei traffici che sta alla base delle modifiche introdotte dal d.l. 14 marzo 2005 n. 35.