Iura novit curia, non contestazione in Appello, contraddittorio
di Stefano Nicita Scarica in PDFCass. civ., Sez. II, 24.08.2015, n. 17075
Pres. Mazzacane – Est. Matera.
Procedimento civile – Giudice – Ultra ed extrapetita – Jura novit curia – Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – Contraddittorio – Appello – Conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione – Acquiescenza.
(C.p.c. artt. 101, 112, 161, 329; C.c. artt. 817, 1027, 1058, 1071, 1102, 1362)
[1] La corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., riguarda il “petitum” che va determinato con riferimento a quello che viene domandato, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire ed alle eccezioni che in proposito siano state sollevate dal convenuto; non riguarda, invece, la qualificazione giuridica del rapporto controverso o dei fatti allegati dalle parti. Di conseguenza non viola l’art. 112 c.p.c. il giudice che dà ai fatti posti a fondamento della domanda una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti, avendo egli il potere-dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti ed i fatti che formano oggetto della contestazione (nella fattispecie, il giudice del merito aveva attribuito natura di servitù alla posizione qualificata dal convenuto come diritto d’uso).
IL CASO
[1] Nel 2002, i proprietari di un appartamento convengono avanti al Tribunale di Milano un condomino vantando la titolarità, per acquisto mortis causa, del diritto reale di “servitù d’uso perpetuo ed esclusivo” su un determinato posto macchina sito nel cortile condominiale e chiedono il rilascio del bene, occupato “senza titolo”, dal convenuto.
Il convenuto resiste eccependo di avere sul posto auto in questione un “diritto d’uso” conseguente all’acquisto dell’appartamento (di sua proprietà fin dal 1986).
Nel 2005, il Tribunale di Milano accoglie la domanda attorea, qualifica il diritto oggetto del contendere quale “diritto reale di servitù di uso perpetuo ed esclusivo” del bene condominiale e dispone il rilascio del bene da parte dell’occupante.
Nel 2009, la Corte di Appello di Milano, sulla base della qualificazione giuridica individuata dal giudice di prime cure e non contestata dalle parti, ritiene applicabile la norma dell’art. 1071 c.c. sull’indivisibilità delle servitù. Invero, la servitù era stata afferente ad un unico lotto (fondo dominante) costituito da n. 11 appartamenti, poi diviso e attribuito a diversi proprietari. Di conseguenza, sia l’appellante che gli appellati, quali proprietari di parti del lotto originario, devono considerarsi egualmente e congiuntamente titolari del diritto di servitù sul posto macchina (e, quindi, del diritto di usarne), il cui esercizio avrebbero dovuto regolare consensualmente insieme agli altri eventuali titolari.
LA SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte, rigetta il ricorso e conferma le statuizioni della Corte d’Appello, precisando in motivazione (per quanto d’interesse nella presente nota) di uniformarsi all’orientamento maggioritario in materia del principio del jura novit curia, secondo quanto riportato nella massima (Conf. Cass. 13 giugno 2002 n. 8479, in Arch. Civ., 2003, 458 ; Cass. 06 agosto 2004 n. 15186, in Mass. Giur. It., 2004; Cass. 24 marzo 2011 n. 6757, in CED Cassazione, 2011; Cass. 22 agosto 2013 n. 19424, in CED Cassazione, 2013).
LA QUESTIONE
[1] La sentenza in commento è rilevante sotto diversi aspetti.
Da una parte, la pronuncia segue il solco tradizionale, secondo cui il giudice ha il “potere-dovere” di inquadrare autonomamente gli atti ed i fatti che formano oggetto delle domande e delle eccezioni proposte, senza alcun vincolo rispetto alla qualificazione data dalle parti (Mandrioli, Diritto processuale civile, 20a ed., I, Torino, 2009, 104; MONTELEONE, Diritto processuale civile, 2a ed., Padova, 2000, 248; Consolo, Domanda giudiziale, in Digesto civ., VII, Torino, 1991. V. in giurisprudenza: Cass. 31 marzo 2006 n. 7620, in CED Cassazione, 2006; Cass. 04 marzo 2005 n. 4744, in CED Cassazione, 2005; Cass. 21 giugno 2004 n. 11470, in Mass. Giur. It., 2004), non esistendo nemmeno necessità tecnica per le parti di indicare espressamente le norme giuridiche applicabili (Cass. 22 febbraio 2005 n. 3573, in CED Cassazione, 2005. Cfr. Pizzorusso, Iura novit curia, I, Ordinamento italiano, in EG, XVIII, Roma, 1989, 1).
Naturalmente, il giudice resta pur sempre vincolato, ex art. 112 c.p.c., al principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato in relazione alla domanda proposta (petitum) e ai fatti posti a suo fondamento (causa petendi).
D’altro canto, la pronuncia in esame costituisce utile stimolo ad indagare sugli attuali contorni giuridici del rapporto tra il principio di jura novit curia e il generale principio del contraddittorio, oggi regolato dall’art. 101 c.p.c., comma 2.
A ben guardare, già in passato (prima dell’inserimento del comma 2 dell’art. 101 c.p.c. ad opera della L.n. 69/2009), la Cassazione aveva statuito essere “nulla la sentenza che si fonda su una questione rilevata di ufficio e non sottoposta dal giudice al contraddittorio delle parti” (Cass. 21 novembre 2001 n.14637, in Giust. civ., 2002, I, 1611, con nota di Luiso, Questione rilevata di ufficio e contraddittorio: una sentenza «rivoluzionaria»?, e in Giur. it., 2002, 1363, con nota di Chiarloni, La sentenza «della terza via» in cassazione: un altro caso di formalismo delle garanzie?. Cfr. anche Cass., Sez. un., 25 luglio 2002 n. 10955, in Giur. It., 2003, 662, con nota di Canavese e in Gius, 2003, 4, 407, con nota di Travaglino). La ragione fondante di tale assunto è da rinvenirsi nel rispetto dei principi costituzionali (art. 24 Cost.) “al fine di evitare le c.d. pronunce a sorpresa o la c.d. terza via” (Cfr. Cass. 23 maggio 2014 n. 11453, in CED Cassazione, 2014. Cfr., poi, risalente dottrina: DENTI, Questioni rilevabili d’ufficio e contraddittorio, in RDP, 1968, 271; Ferri, Contraddittorio e poteri decisori del giudice, Rimini, 1984, 64).
C’è da chiedersi, a questo punto, se il giudice, sebbene dotato di piena autonomia nel riqualificare il fatto (come detto, rispetto all’art. 112, c.p.c.), non sia tenuto al rispetto del disposto dell’art. 101 c.p.c. anche quando fornisca “d’ufficio” una diversa qualificazione giuridica del fatto (o altre di questioni c.d. «di puro diritto»). Nel caso in esame, la Corte non fornisce indicazioni “esplicite” su tale quesito, limitandosi a dichiarare incensurabile la qualificazione del diritto controverso come servitù, sull’assunto che la sentenza di primo grado in parte qua non era stata impugnata (ciò va detto, in piena osservanza della norma degli artt. 161 – c.d. principio della conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione – e 329 c.p.c. – c.d. acquiescenza): trova quindi applicazione il criterio per cui la qualificazione giuridica della fattispecie, determinata autonomamente dal giudice in base al principio jura novit curia, va espressamente contestata in sede d’Appello altrimenti non sarà, poi, più suscettibile di discussione né impugnabile nel ricorso in Cassazione.