21 Dicembre 2015

Il vizio di motivazione della sentenza come motivo di ricorso per Cassazione: gli ultimi sviluppi normativi e giurisprudenziali

di Michele Ciccarè Scarica in PDF

Si ripercorrono le ultime modifiche legislative che hanno interessato il motivo di ricorso per Cassazione n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., ed in relazione a ciò si dà conto delle odierne prospettive circa la censurabilità, dinanzi alla Suprema Corte, della motivazione fornita dal giudice in sentenza.

  1. La modifica legislativa del 2012 ed il suo ambito applicativo
    L’art. 54, co. 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, ha nuovamente riformato il testo dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., con applicazione nei confronti di ogni sentenza pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ovvero dall’11 settembre 2012 (cfr. art. 54, co. 3, d.l. 83/2012).

    Stando dunque all’attuale testo legislativo, le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere oggetto di ricorso per cassazione «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».

    Si tratta, evidentemente, di un sostanziale ritorno alla disposizione originaria del codice di rito, la quale permetteva il sindacato di legittimità «per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».

    Viceversa, la pregressa formulazione, introdotta con d.lgs. 5 maggio 1948, n. 483 (così come ratificato dalla l. 14 luglio 1950, n. 581), consentiva l’accesso al giudizio dinanzi alla Suprema Corte «per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione», dapprima relativamente ad un «punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio», e successivamente, ovvero a partire dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, «circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio».

    Parallelamente, l’art. 54, co. 1, lett. a), d.l. 83/2012, ha escluso la possibilità di proporre ricorso per cassazione ai sensi del (novello) n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., nei casi in cui il giudice d’appello abbia confermato la decisione di primo grado – vuoi dichiarando l’appello inammissibile ex artt. 348 bis e ter vuoi emanando sentenza – per le «stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata» (cfr. art. 348 ter, co. 4 e 5, c.p.c.).

    Infine, l’art. 54, co. 3 bis, d.l. 83/2012, stabilisce che «le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546». Orbene, tale esclusione coinvolge solo le disposizioni di modifica relative al procedimento d’appello, con la finalità di preservare la specialità del giudizio tributario di merito; non già la riforma afferente la disciplina del giudizio di legittimità dinanzi alla Suprema Corte (sul punto Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053). 

  1. La censurabilità della motivazione ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., ante riforma del 2012
    Nella sua ultrasessantenne applicazione, il motivo di ricorso n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., ha rappresentato la “patria” del cd. vizio logico della sentenza emanata dal giudice, essenziale per accedere al sindacato indiretto della quaestio facti della controversia, dovendosi intendere il controllo di logicità come verifica degli aspetti discrezionali del giudizio (già Redenti, Diritto processuale civile, Milano, 1957, II, 445; cfr. Bove, Giudizio di fatto e sindacato della corte di cassazione: riflessioni sul nuovo art. 360 n. 5 c.p.c., in www.judicium.it).

    Secondo la giurisprudenza stratificatasi sul tema, lo scrutinio di legittimità a norma dell’art. 360, n. 5, ante riforma del 2012, consisteva nella verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto, la quale implica un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito (Cass., 9 novembre 2012, n. 19544; Cass., 4 febbraio 2010, n. 2615; Cass., 26 maggio 2005, n. 11197), nel limite in cui ciò non si risolva in mere censure circa l’apprezzamento dei fatti o delle prove da egli fornito (Cass., 18 maggio 2012, n. 7863; Cass., 15 marzo 2012, n. 4149; Cass., 14 ottobre 2010, n. 21215; Cass., 14 aprile 1987, n. 3715).

    Ciò in quanto la motivazione – e di conseguenza la sua correttezza e logicità – rappresenta una componente di importanza fondamentale nell’esercizio della giurisdizione pubblica (recentemente anche Cass., 7 gennaio 2014, n. 91).

  1. La portata innovativa della riforma del 2012
    Stando alla giurisprudenza di legittimità a sezioni unite avutasi sul punto, l’odierno ambito applicativo dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., concerne esclusivamente «l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia)».

    Viceversa, l’omesso esame di elementi istruttori, di per sé, non appare idoneo ad integrare la condizione di applicazione della norma; sempre che il fatto storico rappresentato sia comunque stato preso in considerazione dal giudice (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053, cit.).

    Dunque, l’omesso esame ai sensi e per gli effetti del nuovo art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., ricorre quando il giudice, pur rispettando l’esatto perimetro del thema decidendum, non effettui alcuna considerazione del fatto controverso e decisivo, ovvero della sua rappresentazione nel processo, con la conseguenza che esso potrà risultare anche dal raffronto tra la sentenza ed il fascicolo di causa (Capponi, L’omesso esame del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. secondo la Corte di cassazione, in www.judicium.it).

    A tal fine, peraltro, il ricorrente dovrà indicare ex art. 366, co. 1, n. 6, c.p.c. – e successivamente depositare ex art. 369 c.p.c., co. 2, n. 4 – gli atti o i documenti da cui risulta il fatto storico omesso, dovendo inoltre dimostrare che tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti nonché risulti decisivo per le sorti della controversia.

    Così ricostruito il nuovo perimetro applicativo del motivo di ricorso contraddistinto al n. 5, si assiste inevitabilmente ad una notevole restrizione del controllo sui vizi della motivazione in sede di legittimità, ad oggi eventualmente denunciabili mediante l’utilizzo del motivo di ricorso n. 4, «nullità della sentenza o del procedimento» (Piccininni, I motivi di ricorso in Cassazione dopo la modifica dell’art. 360 n. 5 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2013, 407), ovvero facendo leva sul motivo di ricorso n. 3, anche al fine di stimolare una ritrovata funzione nomofilattica della Suprema Corte nei casi di violazione o falsa applicazione di norme di diritto in tema di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali (Sassani, Legittimità, nomofilachia e motivazione della sentenza: l’incontrollabilità in cassazione del ragionamento del giudice, in www.judicium.it; Id., Riflessioni sulla motivazione della sentenza e sulla sua (in)controllabilità in cassazione, in Corr. giur., 2013, 6, 849).

    In particolare, stando agli sviluppi giurisprudenziali, la rilevanza del vizio di motivazione della sentenza, quale oggetto di sindacato di legittimità, sembrerebbe ad oggi ridotta ai soli casi in cui il vizio si converta in una violazione di legge costituzionalmente rilevante.

    Ciò accade quando il vulnus al diritto di motivazione sia idoneo ad invalidare la sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., co. 1, n. 4, c.p.c. (Cass., sez. un., 22 settembre 2014, n. 19881; v. anche il contributo di Ravenna, La Corte di cassazione torna a pronunciarsi sul nuovo vizio di motivazione ex art. 360, comma 1°, n. 5 c.p.c., in www.judicium.it).

    Tali ipotesi, dunque, che continueranno a trovare spazio in sede di legittimità ex art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. (Cass., 21 settembre 2015, n. 18449; Cass., sez. un., 9 aprile 2015, n. 7070; Cass., 26 giugno 2015, n. 13189; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21257; Cass., 9 giugno 2014, n. 12928), si configurano quando la motivazione:
    a) è inesistente dal punto di vista grafico, ovvero risulta meramente apparente. La giurisprudenza ritiene che queste situazioni si verificano quando il giudice omette l’indicazione degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, oppure detti elementi sono stati indicati senza un’approfondita disamina logico – giuridica (Cass., 12 febbraio 2015, n. 2778; Cass., 3 marzo 2014, n. 4892; Cass., 20 gennaio 2014, n. 1075; in precedenza Cass., 18 settembre 2009, n. 20112; Cass., 27 gennaio 2006, n. 1756; Cass., 25 febbraio 1998, n. 2067; Cass., 24 febbraio 1995, n. 2114).
    b) si caratterizza per il contrasto irriducibile fra le affermazioni contenute in motivazione, ovvero risulta oggettivamente incomprensibile. Questa evenienza presuppone un’inconciliabilità tra le varie argomentazioni poste dal giudice a base della decisione, con il risultato che esse si elidono a vicenda rendendo impossibile l’individuazione dell’iter logico – giuridico seguito (Cass., 17 settembre 2013, n. 21148; Cass., 14 ottobre 2010, n. 21215).

    Per quanto riguarda il tema del travisamento della prova quale motivo di ricorso per Cassazione ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., si rimanda al contributo a cura di Picozzi, La Cassazione delinea i confini del travisamento della prova.

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