2 Aprile 2019

Il nuovo istituto della sospensione dalla successione

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Introduzione alla normativa

La legge n. 4 del 11 gennaio 2018 (entrata in vigore a partire dal 16 febbraio 2018) in materia di tutela nei confronti degli orfani per crimini domestici è intervenuta ad ampio raggio sul Codice Civile così come anche sui Codici Penale e di Procedura Penale.
La previsione civilistica di maggiore interesse è contenuta nell’art. 5 che introduce il nuovo articolo 463-bis del Codice Civile rubricato “Sospensione dalla successione”.

La nuova norma prevede che chi risulti essere indagato per l’omicidio volontario o il tentato omicidio del coniuge/unito civile, di un genitore o di un fratello/sorella, venga sospeso dalla successione della vittima fino al decreto di archiviazione o alla sentenza definitiva di proscioglimento.

La vicenda penale, naturalmente, farà il suo corso e impiegherà del tempo prima di giungere a una soluzione giurisdizionale. In questo frangente la legge 4/2018 prevede che, qualora ricorra una sospensione dalla successione, si debba provvedere a nominare un curatore dell’eredità giacente ai sensi dell’articolo 528 C.C., con il compito di amministrare la quota che sarebbe destinata all’indagato/imputato medio tempore (sul tema, segue un approfondimento specifico).

Prima o poi, giunge il verdetto: la causa penale viene decisa.

Qualora il soggetto “sospeso” dalla successione sia condannato, o intervenga un patteggiamento della pena, questi verrà definitivamente escluso dalla successione ex art. 463 cc, e quindi per indegnità a succedere.

Muta però la procedura che conduce all’indegnità: a fonte della ulteriore previsione dell’introduzione nel Codice di Procedura Penale del nuovo art. 537-bis, il giudice penale, in sede di condanna per uno dei fatti previsti dall’articolo 463 del Codice Civile o in sede di patteggiamento della pena ex art. 444 CPP, pronuncerà l’esclusione del soggetto dalla successione per indegnità.

La norma quindi sovverte le prospettive, seppur limitatamente a questi casi di indegnità: prima dell’entrata in vigore della l. 2/2018 l’indegno non veniva escluso dalla successione se non su richiesta espressa di parte ed a seguito di apposita sentenza. Finora, in altri termini, l’indegno non veniva escluso automaticamente dalla successione, essendo necessaria apposita sentenza fino alla quale egli poteva conseguire lo status di erede, appropriarsi della propria quota, e porre in essere atti di disposizione dei beni ereditari. Solo in seguito alla sentenza civile di indegnità il reo era tenuto a restituire quanto indebitamente goduto (con evidenti rischi di dissipazione del patrimonio ereditario medio tempore). Oggi la normativa prevede invece la dichiarazione automatica di indegnità, senza necessità di un doppio passaggio processuale.

Evidentemente la normativa è diretta a proteggere i figli o comunque la famiglia delle vittime, ed evitare che il carnefice possa addirittura giovarsi dell’eredità della persona defunta prima del sopraggiungere della sentenza di indegnità.

L’indegnità del genitore, in base all’art. 16 della nuova legge, consente, infine, il “Cambio del cognome per gli orfani di crimini domestici“. I figli della vittima dell’omicidio di cui all’art. 575, aggravato ai sensi dell’art. 577, comma 1, n. 1), e comma 2, c.p., possono, infatti, chiedere la modificazione del proprio cognome, ove coincidente con quello del genitore condannato in via definitiva (N. FOLLA, Orfani Di Crimini Domestici: Ora Una Legge Li Tutela, Li Sostiene E Rompe Il Silenzio Che Li Circonda, in Famiglia e Diritto 2018, 5, p. 517ss)

In caso, invece, di decreto di archiviazione o di sentenza definitiva di proscioglimento, il provvedimento di sospensione perderà ogni suo effetto, e il soggetto tornerà a poter decidere se accettare l’eredità e quindi ottenere il relativo arricchimento.

Gli spunti offerti dall’art. 463bis con riferimento alla natura giuridica dell’indegnità.

Secondo una possibile interpretazione, le descritte norme poterebbero a ritenere che il legislatore abbia implicitamente sposato la tesi dell’indegnità quale forma di incapacità a succedere.

Gli indici che portano a tale conclusione sarebbero i seguenti:

  • l’immediata sospensione di ogni diritto sulla successione, che impedisce quindi la delazione;
  • l’automatica esclusione senza necessità di una pronuncia giudiziale in tal senso.

Entrambi questi aspetti, cioè, avvicinano questa specifica fattispecie all’incapacità a succedere.

Inoltre, l’art. 537 bis nel codice di procedura penale, novellato dalla legge in commento, oggi prevede “Quando pronuncia sentenza di condanna per uno dei fatti previsti dall’articolo 463 del codice civile, il giudice dichiara l’indegnità dell’imputato a succedere”. Il termine “dichiara” si contrappone alla tradizionale ipotesi per cui la pronuncia di indegnità avrebbe carattere costitutivo.

Infine, se si aderisse all’opposta teoria dell’indegnità quale causa di esclusione della successione, si avrebbe un paradosso: nei confronti di un soggetto indagato per omicidio nei confronti del coniuge (o dell’unito) opererebbe la sospensione dalla sua successione, mentre nei confronti dello stesso soggetto già condannato per il medesimo reato al momento della apertura della successione, non opererebbe alcun correttivo: costui potrebbe accettare l’eredità e disporre dei beni fino alla sentenza di indegnità.

Secondo altra tesi, che pare preferibile, la norma dovrebbe essere interpretata in un diverso senso (G. TORRELLI, Dissertazione sulla natura giuridica dell’indegnità alla luce del nuovo art. 463 bis cod. civ., in www.ilblogdeldiritto.it).

Proprio per il fatto che l’indegnità, normalmente, ha natura costitutiva, e produce un’esclusione dalla successione, il legislatore ha voluto prevedere una serie di fattispecie nelle quali, data la gravità della condizione degli orfani delle vittime, occorre una tutela più rapida e incisiva, anche dal punto di vita civilistico. La sospensione del sospetto reo dalla successione sarebbe cioè priva di utilità in un sistema che già prevede che l’indegnità, quale forma di incapacità a succedere, impedisce immediatamente la delazione. In altre parole, non sarebbe stato necessario introdurre l’art. 463 bis, se già le norme sull’indegnità avessero prescritto una vera e propria incapacità a succedere.

Di conseguenza, interpretando la legge nel modo in virtù del quale possa produrre un qualche effetto, si deve concludere che stiamo parlando di un sotto-tipo di indegnità, connotato in maniera diversa rispetto alla normale indegnità ex 463 c.c., avente le medesime caratteristiche di una causa di incapacità a succedere.

La nomina del curatore ex art. 528 c.c. e il tema della giacenza pro quota

Veniamo infine ad un tema delicato: il curatore e l’eredità giacente.

Si è detto che, in attesa del provvedimento finale, dev’essere nominato un curatore in base alle norme sull’eredità giacente di cui all’art. 528 c.c.

Tale istituto trova luogo, secondo la fattispecie codicistica immaginata nel 1942, quando nessuno dei chiamati ha accettato l’eredità (ma sono tutti ancora in potere di farlo), e nessuno di questi è nel possesso dei beni ereditari. In tale situazione, su richiesta degli interessati, può essere nominato un curatore che avrà il compito di amministrare l’asse ereditario.

Ma il presupposto della mancata accettazione da parte del chiamato diviene complesso da verificarsi nel caso che all’eredità siano chiamati più soggetti, alcuni dei quali abbiano accettato.

La dottrina si è da tempo interrogata, cioè, sulla possibilità di avere la nomina di un curatore ex 528 c.c. anche nel caso in cui alcuni dei chiamati siano diventati eredi, mentre altri (che non sono nel possesso dei beni) non abbiano ancora assunto una decisione. Si parla in tal caso di “giacenza pro quota”.

La soluzione prevalente in dottrina e giurisprudenza, stante il tenore letterale dell’articolo 528 cod. civ., è nel senso di ritenere che l’accettazione o il possesso anche parziale di alcuni dei cespiti ereditari determinerebbe la carenza dei requisiti richiesti dalla norma.

Al riguardo la dottrina (G. DE MARZO, L’eredità giacente, 2019) segnala che la Suprema Corte (Cass. 6 giugno 1994 n. 5443) ha osservato che, nel concorso di più chiamati all’eredità, alcuni soltanto accettanti l’eredità stessa, non è legittimamente configurabile, con riguardo agli altri chiamati non accettanti, la fattispecie dell’eredità giacente pro quota (che giustifichi la nomina di un curatore ex artt. 528 – 532 cod. civ.), atteso che la funzione dell’istituto è quello della conservazione ed amministrazione del patrimonio ereditario nel suo complesso, e non in una sola sua parte, in attesa della definitiva devoluzione a chi ne abbia titolo.  La Cassazione (Cass 22 febbraio 2001 n. 2611) ha osservato che, sebbene il dato normativo non sia risolutore, depone nel senso indicato la considerazione dello stesso alla luce del sussidiario criterio interpretativo dell’intenzione del legislatore.

In altri termini, come chiarito, la tesi dominante in giurisprudenza conduce a escludere la configurabilità della giacenza pro quota.

Con l’entrata in vigore della normativa sulla sospensione della successione, la tematica va affrontata sotto una nuova ottica: è infatti evidente che la normativa, richiamando l’art. 528 c.c., impone la nomina del curatore dell’eredità giacente solo relativamente alla quota che spetterebbe al chiamato sospeso dalla successione. Si tipizza, cioè, una fattispecie di giacenza pro quota.

Si deve verificare, però, se questa norma debba portare a mettere in discussione le conclusioni a cui è giunta, piuttosto stabilmente, la giurisprudenza, oppure se si tratti di una fattispecie eccezionale, consentita proprio in virtù di una esplicita deroga normativa.

La risposta, a parere di chi scrive, è questa seconda. L’art. 463-bis c.c. prevede la nomina di un curatore, in base alle norme dell’art. 528 c.c.: il legislatore ha avuto la necessità di specificare che si doveva nominare il curatore, proprio perché non ricorrevano, nel caso di specie, tutti i presupposti dell’eredità giacente (se i presupposti ci fossero stati, il richiamo normativo sarebbe stato evidentemente superfluo!).

Si deve chiarire infatti che non solo la giacenza nel caso di sospensione della successione è “pro quota”, ma potrebbe mancare anche il secondo requisito, e cioè che nessuno dei chiamati sia nel possesso dei beni ereditari.

In conclusione si può affermare che la nuova normativa introduce una fattispecie straordinaria di giacenza pro quota, con nomina del curatore, senza che ricorrano però necessariamente i requisiti di cui all’art. 528 c.c. Con ciò, pertanto, non si minano le conclusioni a cui è giunta la giurisprudenza sulla generale inammissibilità, al di fuori del caso di cui all’art. 463bis c.c., di una giacenza pro quota.

In conclusione, il problema della pubblicità

Non è peraltro chiaro come possa esservi conoscibilità della sospensione dalla successione, né come possa operare l’opponibilità di tale sospensione nei confronti dei soggetti terzi. La norma si limita infatti a prevede che il pubblico ministero, compatibilmente con la segretezza delle indagini, dovrà comunicare senza ritardo alla cancelleria del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione l’avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, ai fini della sospensione di cui all’art. 463bis (A.ANNONI, Indegnità a succedere e sospensione dalla successione – nuovo art. 463bis del Codice Civile, in www.federnotizie.it). Dovremo attendere il formarsi di prassi applicative consolidate per poter verificare se tale notizia verrà inserita nel Registro delle Successioni o in altro albo apposito consultabile da terzi.

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