Intervento volontario del litisconsorte necessario pretermesso e accettazione del giudizio nello stato in cui si trova
di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDFCass., ord., 22 ottobre 2018, n. 26631 Pres. Giusti – Rel. Criscuolo
Litisconsorzio necessario – Sentenza emessa a contraddittorio non integro – Appello – Intervento in causa del litisconsorte pretermesso – Rimessione della causa in primo grado – Esclusione (C.p.c. artt. 102, 344, 354; C.c. art. 2932)
[1] Nell’ipotesi in cui il litisconsorte necessario pretermesso intervenga volontariamente in appello, accettando la causa nello stato in cui si trova, il giudice di appello non può rilevare d’ufficio il difetto di contraddittorio, né è tenuto a rimettere la causa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., ma deve trattenerla e decidere sul gravame.
CASO
[1] Nel giudizio promosso, ai sensi dell’art. 2932 c.c., per l’esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare di vendita immobiliare, l’attore, promissario acquirente, dichiarava di volersi avvalere di una clausola per persona da nominare, designando quale acquirente per la quota del 50 % la propria moglie. Avverso la sentenza con cui il Tribunale di Roma, in accoglimento di tale domanda, aveva disposto il trasferimento, in capo ai due coniugi e nella misura del 50 % pro capite, dell’unità immobiliare contesa, i promittenti venditori, soccombenti in prime cure, proponevano appello, deducendo la nullità del provvedimento siccome emesso in assenza di uno dei promissari acquirenti, ergo a contraddittorio non integro: e la Corte adita, ad onta della sopravvenuta costituzione, in appello, del litisconsorte pretermesso, ha recepito quella doglianza, decretando così l’annullamento della sentenza impugnata e ordinando la rimessione della causa in primo grado a norma dell’art. 354, 1° comma, c.p.c.
La pronuncia del giudice di seconda istanza era fatta segno di ricorso per cassazione, con il quale, preliminarmente, si faceva valere l’efficacia sanante dell’intervento in appello del litisconsorte pretermesso; e in seconda battuta, si escludeva che tra i coniugi, nella fattispecie, fossero davvero ravvisabili gli estremi del litisconsorzio necessario.
SOLUZIONE
[1] Con la pronuncia che qui si annota, il giudice di legittimità ha accolto il ricorso portato nella circostanza al suo esame. Alla base di tale decisione è stata la valutazione di fondatezza espressa nei confronti del primo dei motivi su rassegnati, fondato sul rilievo della condotta della parte individuata come litisconsorte pretermesso, la quale, nel costituirsi per la prima volta in appello, si è limitata a chiedere la conferma della sentenza di primo grado, senza lamentare alcun pregiudizio a causa della subita pretermissione né introducendo elementi di novità tali da privare le parti di facoltà non altrimenti già pregiudicate. Muovendo nel solco di un consolidato filone della sua giurisprudenza (per il quale v. infra), la S.C. ha allora affermato che a fronte di un siffatto comportamento, ben lungi dal rilevare d’ufficio il difetto di contraddittorio e rimettere per questo motivo la causa in primo grado, il giudice d’appello avrebbe dovuto pronunciare nel merito del gravame, «risultando altrimenti violato il principio fondamentale della ragionevole durata del processo, il quale impone al giudice di impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione della controversia». Inevitabile è stata pertanto la cassazione della sentenza, di tenore meramente rescindente, adottata dal giudice di seconde cure, con annesso rinvio della causa ad altra sezione della medesima Corte d’appello, in vista di quella statuizione di merito sul gravame che, in precedenza, era stata indebitamente elusa.
QUESTIONI
[1] La sentenza in epigrafe costituisce puntuale applicazione di un tradizionale insegnamento della giurisprudenza di legittimità, come quello per cui, ove il litisconsorte necessario che sia volontariamente intervenuto nel giudizio d’appello dichiari di accettare la causa nello stato in cui si trova instando per la decisione di merito sull’interposto gravame, il giudice adito è tenuto a provvedere in tal senso, senza poter disporre nel senso, della rimessione della causa in primo grado, indicato in via generale dall’art. 354, 1° comma, c.p.c. per le ipotesi di omessa integrazione del contraddittorio nel giudizio di primo grado.
Nella più recente elaborazione giurisprudenziale, la regola è posta in relazione, come suo naturale corollario, al principio, di rango costituzionale, della ragionevole durata del processo (cfr. Cass. 6 novembre 2014, n. 23701; e sull’onda di questa, oltre alla pronuncia in commento, Cass., 14 dicembre 2016, n. 25774, e Cass. 7 aprile 2017, n. 9065, entrambe in motiv.). Ma senz’altro più convincente appare la giustificazione che se ne dava in precedenza (v. da ultima Cass. 31 luglio 2013, n. 18356, in motiv.), come portato della natura meramente relativa della nullità che colpirebbe gli atti processuali posti in essere prima della regolarizzazione del contraddittorio, destinati, perciò, a risultare convalidati in caso di omessa o intempestiva eccezione della nullità medesima ad opera del litisconsorte pretermesso all’atto della sua costituzione in giudizio. Sicché, come si è osservato in dottrina, se è ovvio che la rimessione al primo giudice, nella fattispecie de qua, mira a consentire la rinnovazione del giudizio nel contraddittorio del terzo pretermesso, «appare evidente che essa si rivelerebbe assolutamente priva di causa laddove, risultando ormai sanata, per un fenomeno di convalidazione soggettiva, l’invalidità di tutte le attività compiute in assenza del litisconsorte intervenuto in appello, non vi fosse, una volta riassunto il processo dinanzi al giudice a quo, alcunché da rinnovare» (G. Balena, La rimessione della causa al primo giudice, Napoli, 1984, 211).
[2] L’accoglimento del primo motivo di ricorso ha determinato l’assorbimento del secondo motivo, facendo sì che la Suprema Corte non dovesse confrontarsi con la questione, ivi sollevata, relativa all’effettiva sussistenza, nel caso di specie, di una situazione di litisconsorzio necessario tra i coniugi, siccome fondata sul regime di comunione legale cui i medesimi erano astretti. Gli esiti di questo confronto non sarebbero stati affatto a rime obbligate. E’ vero che sul punto consta un importante precedente delle Sezioni unite, le quali, con riguardo ad azione proposta dal promissario acquirente contro il promittente venditore che, coniugato in regime di comunione legale, aveva stipulato il contratto preliminare senza il consenso dell’altro coniuge, ebbero ad affermare la necessità dell’integrazione del contraddittorio nei confronti di quest’ultimo (Cass., sez. un., 24 agosto 2007, n. 9752, Contratti, 2008, 337, con nota di M. Dossetti). Rispetto a questa, la fattispecie decisa dalla presente Cass. n. 26631/2018 presenta, però, una fondamentale differenza e, precisamente, che ad agire ai sensi dell’art. 2932 c.c. non è stato il promissario acquirente contro uno dei coniugi, promittente venditore, bensì il contrario, ossia uno dei coniugi, promissario acquirente, contro il promittente venditore, sicché, in forza delle regole della comunione legale, l’eventuale acquisto del bene oggetto del preliminare a séguito dell’accoglimento della domanda sarebbe ridondato a beneficio del coniuge rimasto estraneo al giudizio in maniera fondamentalmente non dissimile da come sarebbe stato in ipotesi di sua partecipazione alla lite: e questo avrebbe reso difficile il riscontro, nel caso, dei tipici estremi della sentenza inutiliter data, come, viceversa, sarebbe stato lecito attendersi se realmente, di litisconsorzio necessario tra entrambe le parti della coppia, si fosse trattato.