Insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare
di Giulia Ferrari, Avvocato Scarica in PDFCass. Civ., sez. I, 17 febbraio 2020, n. 3872 – Pres. Didone – Rel. Pazzi
Parole chiave: fallimento, termini di decadenza, domanda di insinuazione al passivo, domanda di insinuazione tardiva, credito sopravvenuto, credito sorto nel corso della procedura, indebito.
MASSIMA
La domanda di insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare, ancorché non soggetta al termine di decadenza previsto dall’art. 101, commi primo ed ultimo, L. Fall., deve essere proposta nel termine di un anno dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare, in armonia con l’intero sistema di insinuazione che è attualmente in essere sulla scorta dei principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 24 della Costituzione
Disposizioni applicate: R.D. 16 marzo 1942, n. 267: art. 101; Costituzione art. 3 e art. 24
CASO
Con ricorso ex art. 101 L. Fall., del 24 settembre 2013, la società per azioni Beta formulava domanda di insinuazione al passivo del fallimento Alfa del proprio credito per ripetizione di indebito, che vantava nei confronti della procedura, poichè aveva erroneamente accreditato sul conto della fallita in data 5 febbraio 2009, quando la compagine era già stata dichiarata insolvente, un rimborso di conto fiscale, che poi era stato acquisito dalla curatela fallimentare.
Il Giudice delegato dichiarava inammissibile la domanda, in quanto ritenuta non provata la circostanza della non imputabilità del ritardo con cui l’insinuazione era stata proposta. La società Beta proponeva opposizione avanti il Tribunale di Ancona che rigettava il ricorso. Il Collegio dell’opposizione, preso atto che il credito restitutorio era sopravvenuto rispetto alla procedura concorsuale, ha ritenuto che, pur in assenza di una norma che disciplini i tempi dell’insinuazione del creditore sopravvenuto, lo stesso avrebbe dovuto attivarsi in un termine ragionevole rispetto alle sue esigenze difensive ma comunque adeguato in relazione alle esigenze di celerità della procedura di accertamento del passivo. Su tali premesse ha ritenuto più che tardiva la domanda di insinuazione presentata dalla società Beta il 23 settembre 2013, rispetto al momento in cui il diritto di credito era sorto, individuabile quanto meno dal rifiuto di rimborso espresso dal Curatore nel giugno del 2009. Avverso il decreto proponeva ricorso in Cassazione la società Beta.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione con la sentenza in commento ha rigettato il ricorso proposto dalla società Beta avverso il decreto menzionato, affermando che le domande di insinuazione dei crediti sopravvenuti, pur sfuggendo ai termini decadenziali di 12 (sino a 18) mesi dal deposito del provvedimento di esecutività dello stato passivo, di cui all’art. 101 commi 1 e 4 L. Fall., debbono essere presentate nel termine di un anno a decorrere dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione allo stato passivo, in coerenza e armonia con i principi generali dell’ordinamento e dei principi costituzionali di parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost. e del diritto di azione in giudizio di cui all’art. 24 Cost.
QUESTIONI
Nella pronuncia in esame, la Suprema Corte affronta, inter alia, nuovamente il controverso tema relativo ai termini di decadenza per la proposizione di domanda di insinuazione al passivo di crediti sorti dopo la dichiarazione di fallimento, colmando la lacuna normativa determinata dall’assenza di un criteri codificati, attraverso l’interpretazione e l’armonizzazione dei principi di sistema e costituzionali.
L’argomentare degli Ermellini prende le mosse dal richiamo al principio, già affermato in arresti precedenti (ex multis cfr. Cass. 16218/2015), secondo il quale alla domanda di ammissione al passivo del “creditore sopravveniente” non si applica il termine decadenziale di 12 (o sino a 18) mesi dal deposito di esecutività dello stato passivo, di cui all’art. 101 commi 1 e 4 L. Fall. Tale principio trova ragione nel fatto che i c.d. nuovi crediti possono sorgere, nei casi previsti dalla legge, nel corso di tutta la procedura e quindi anche dopo il decorso dei termini decadenziali sopra richiamati, ovvero anche prima, ma a ridosso degli stessi, che se ritenuti vincolanti, comprimerebbero o renderebbero privo di tutela il creditore sopravvenuto. A tale carenza di tutela, prosegue la Corte, non può costituire rimedio la tesi secondo la quale “costituendo il carattere sopravvenuto del credito stesso ragione di non imputabilità del ritardo nell’insinuazione, quest’ultima sarebbe comunque ammissibile ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 101 legge. Fall.” (Cass. 16218/2015) in quanto imputabilità del ritardo e sopravvenienza del credito non sono infatti situazioni sovrapponibili in modo perfetto.
Se l’applicazione tout court dei termini decadenziali dell’art. 101 L. Fall. potrebbero determinare una coercizione dei diritti del creditore sopravvenuto non compatibile con il principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) e del diritto di azione in giudizio (art. 24 della Costituzione, d’altro canto non si può ammettere l’insussistenza di un limite temporale alla domanda di insinuazione che pregiudicherebbe i principi di celerità e concentrazione a cui è uniformato il procedimento di verifica del passivo.
La suprema Corte, con un approccio che si potrebbe definire sostanzialistico e “razionale”, aveva già tentato di operare un bilanciamento tra le due esigenze contrapposte. In alcuni precedenti, richiamati dalla pronuncia in commento, gli Ermellini avevano infatti ritenuto “eccessivo, in assenza di una specifica motivazione, un intervallo temporale di due anni” tra insorgenza del credito e la proposizione della domanda di insinuazione (cfr. Cass. 19679/2015).
Affinando tale approccio, in un recente arresto, richiamato nella sentenza in commento, la Corte aveva confermato che “la disciplina applicabile per l’insinuazione di tali crediti non può essere che ricavata in via sistematica, con riguardo ai principi generali dell’ordinamento e facendo perno, in particolare sui richiamati principi costituzionali dell’art. 3 Cost. e dell’art. 24 Cost.” e pertanto “per portare i crediti sopravvenuti ad una posizione adeguatamente accostabile” a quella degli altri creditori, la domanda di ammissione deve essere presentata entro il termine di un anno da quando il creditore ha maturato le condizioni di partecipazione al passivo. (cfr. Cass. 18544/2019).
Dando continuità a tale orientamento, i Giudici di legittimità, nel caso in esame, hanno ritenuto tardiva, in quanto non compatibile con i principi di sistema sopra richiamati, l’iniziativa promossa dal creditore sopravvenuto, assunta a distanza di 4 anni dal venir meno della causa incolpevole impeditiva dell’azione, costituita, nel caso di specie, dal rifiuto di rimborso da parte del Curatore fallimentare. La Suprema Corte conclude le proprie argomentazioni enunciando il seguente principio di diritto: “l’insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare non è soggetta al termine di decadenza previsto dall’articolo 101 commi primo ed ultimo L. Fall., tale insinuazione tuttavia incontra comunque un limite temporale da individuarsi in coerenza armonia con l’intero sistema di insinuazione che è attualmente in essere e sulla scorta dei principi costituzionali di parità di trattamento di cui all’articolo 3 Cost. e del diritto di azione in giudizio di cui all’articolo 24 Cost. nel termine di un anno, espressivo dell’attuale sistema in materia, decorrente dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare”.