12 Gennaio 2021

Inosservanza delle disposizioni sulla composizione dell’organo giudicante: rimessione della causa in primo grado se la parte è privata di un grado di giudizio

di Valentina Baroncini, Avvocato e Ricercatore di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. I, 15 dicembre 2020, n. 28640, Pres. Scotti – Est. Caradonna

[1] Impugnazioni – Rimessione della causa in primo grado – Violazione delle norme sulla composizione dell’organo giudicante (artt. 50-quater, 161, 354 c.p.c.)

L’inosservanza delle disposizioni sulla composizione dell’organo che abbia privato il ricorrente di un grado di giudizio di merito, impedendogli la deduzione del vizio di composizione del giudice quale motivo di impugnazione davanti ad altro giudice di merito, determina la rimessione della causa al primo giudice per un nuovo esame della domanda.

CASO

[1] Un soggetto presentava domanda di protezione internazionale e umanitaria innanzi alla Commissione territoriale competente per il relativo riconoscimento.

La richiesta veniva rigettata, e il provvedimento negativo emesso dalla Commissione veniva impugnato dinnanzi alla sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale del Tribunale di Caltanissetta limitatamente alla parte in cui non veniva riconosciuto il diritto del ricorrente alla protezione umanitaria.

Il ricorso veniva rigettato con decreto, il quale era fatto oggetto di ricorso per cassazione di cui, in particolare, verrà esaminato il primo motivo. Con esso, il ricorrente lamentava violazione dell’art. 3 del d.l. 17 febbraio 2017, n. 13 (conv. in l. 13 aprile 2017, n. 46) in relazione all’art. 360, nn. 2) e/o 3), c.p.c., nella misura in cui la controversia era stata trattata dal tribunale in composizione collegiale e con applicazione del rito camerale previsto dal menzionato d.l. n. 13/2017, culminante in un decreto non reclamabile; secondo il ricorrente, infatti, poiché tale rito era da considerarsi riservato alle domande di protezione “tipiche”, ossia concernenti il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria (c.d. protezione internazionale), la causa – avente ad oggetto la domanda di protezione umanitaria – avrebbe dovuto essere trattata dal tribunale in composizione monocratica e con applicazione, in particolare, del rito sommario, definito con ordinanza impugnabile ex art. 702-quater c.p.c.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte ritiene tale motivo di ricorso fondato affermando due distinti principi di diritto.

In primo luogo, la Cassazione ha rilevato come «il rito applicabile alle controversie che hanno ad oggetto esclusivamente la domanda di protezione umanitaria, presentate dopo l’entrata in vigore del d.l. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni dalla l. 18 aprile 2017, n. 46 e prima dell’entrata in vigore del d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla l. 1 dicembre 2018, n. 132, è quello ordinario di cui agli artt. 281-bis e ss. c.p.c. o, a scelta del ricorrente e ricorrendone i presupposti, il procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c.».

Rilevato come, nel caso di specie, il giudizio non si fosse svolto con applicazione del rito previsto ex lege, la Corte ha proseguito affermando che «l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione dell’organo che abbia privato il ricorrente di un grado di giudizio di merito, impedendogli la deduzione del vizio di composizione del giudice quale motivo di impugnazione davanti ad altro giudice di merito [come, per l’appunto, avvenuto nella fattispecie decisa], determina la rimessione della causa al primo giudice per un nuovo esame della domanda».

Conseguentemente, la Suprema Corte ha cassato il decreto impugnato rinviando la causa al Tribunale di Caltanissetta, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, in composizione monocratica, per una nuova decisione sulla domanda di protezione umanitaria.

QUESTIONI

[1] Il provvedimento della Corte si sostanzia in una ricognizione del quadro normativo vigente in materia di competenza e rito applicabile alle controversie vertenti in materia di protezione internazionale e umanitaria, allo scopo di verificare quali siano le regole concretamente applicabili nel caso di specie.

La peculiarità della fattispecie in esame, peraltro, risiede nel fatto che, in prima battuta, il ricorrente ha presentato domanda sia per il riconoscimento della protezione internazionale, sia per il riconoscimento della protezione umanitaria; ma, una volta ottenuto il provvedimento negativo della competente Commissione territoriale, ha limitato l’oggetto dell’impugnazione proposta dinanzi alla sezione specializzata del Tribunale di Caltanissetta alla sola domanda di protezione umanitaria (non rinnovando, dunque, la richiesta di protezione internazionale).

Le normative rilevanti in materia, rappresentate dal d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 e dal già menzionato d.l. n. 13/2017, di modifica del primo, nella versione antecedente alle modifiche poi apportate dal d.l. 4 ottobre 2018, n. 113 e applicabile ratione temporis al caso di specie, provvedevano infatti a individuare competenze e riti differenti a seconda che la domanda presentata inerisse alla richiesta di protezione internazionale (ossia, al riconoscimento dello status di rifugiato) ovvero a quella di protezione umanitaria.

La competenza in materia di protezione internazionale, infatti, veniva incardinata dinanzi al tribunale, sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale, in composizione collegiale e con applicazione del rito camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c., culminante in un decreto non reclamabile.

Viceversa, la competenza in materia di protezione umanitaria era da ritenersi appartenente al tribunale in composizione monocratica, con applicazione del rito ordinario ovvero, a scelta del ricorrente, del rito sommario di cui agli artt. 702-bis ss. c.p.c., in entrambi i casi con la garanzia del doppio grado del giudizio di merito.

Su tale suddivisione si è bene espressa anche la Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che «l’accennata formulazione normativa ha così creato una distinzione tra le azioni volte al riconoscimento della protezione internazionale (finalizzate al riconoscimento dello status di rifugiato ovvero della protezione sussidiaria) e le azioni volte al riconoscimento della (sola) protezione umanitaria; il legislatore, pur avendo attribuito per tutte tali controversie la competenza alle sezioni specializzate, ha tuttavia scelto riti diversi, ossia per il giudizio di protezione internazionale, uno speciale rito camerale, e per il giudizio relativo alla protezione umanitaria, il rito ordinario dinanzi al Tribunale in composizione monocratica» (così, Cass., 5 aprile 2019, n. 9658).

La stessa pronuncia del 2019 ha inoltre chiarito quali siano competenza e rito applicabile nel caso in cui siano proposte congiuntamente le domande di protezione internazionale e umanitaria: in tale eventualità si applica per tutte le domande il rito camerale davanti alla sezione specializzata del tribunale in composizione collegiale, in ragione della connessione esistente tra dette domande e della prevalenza della composizione collegiale del tribunale in forza del disposto dell’art. 281-nonies c.p.c., tenuto altresì conto del carattere unitario dell’accertamento dei presupposti dei vari tipi di tutela, dell’esigenza di evitare contrasto di giudicati e del principio della ragionevole durata del processo.

Nel caso di specie, il soggetto istante ha impugnato il provvedimento negativo pronunciato dalla competente Commissione limitatamente alla parte in cui lo stesso rigettava la richiesta di protezione internazionale: l’oggetto del successivo giudizio, quindi, deve ritenersi limitato a questa domanda, come appena visto di competenza del tribunale in composizione monocratica e con applicazione del rito ordinario ovvero sommario: in ogni caso, con garanzia del doppio grado di giudizio.

Erroneamente, tuttavia, la domanda è stata trattata dalla sezione specializzata con applicazione del rito camerale ex art. 737 ss. c.p.c., culminante, per espressa previsione legislativa, con un decreto non reclamabile: ciò che, conseguente, ha privato il ricorrente di un grado di giudizio di merito.

Su tale punto si è espressa la giurisprudenza di legittimità, che ha fissato alcuni principi proprio sulle conseguenze derivanti dall’inosservanza delle regole appena esposte. Per quanto specificamente interessa ai fini del presente commento, si è affermato che «l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale costituisce, per effetto del rinvio operato dall’art. 50-quater c.p.c., al successivo art. 161 c.p.c., primo comma, un’autonoma causa di nullità della decisione, che si converte in motivo di impugnazione, con la conseguenza che rimane ferma la validità degli atti che hanno preceduto la pronuncia della sentenza nulla e resta esclusa la rimessione degli atti al primo giudice, ove quello dell’impugnazione sia anche giudice del merito; quando peraltro il procedimento applicato dal giudice di merito abbia di fatto privato il ricorrente di un grado di giudizio, impedendogli la deduzione del vizio di composizione del giudice quale motivo di impugnazione davanti ad altro giudice di merito, l’accoglimento del ricorso per cassazione deve comportare la remissione della causa al primo giudice per un nuovo esame della domanda [corsivo nostro]» (il riferimento è a Cass., 26 febbraio 2020, n. 5232; conf., Cass., 3 marzo 2020, n. 5858).