Innovazione o modifica da giardino a parcheggio condominiale: non basta la maggioranza semplice dei condomini
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCass. Civ., VI-2 Sez. Civ., Ordinanza n. 10077 del 10 Aprile 2019- Pres. Pasquale D’Ascola – Rel. Cons. Stefano Oliva
Art. 1120 c.c. – Art. 1136 c.c.
Riforma 11 dicembre 2012 n.220
“In tema di condominio negli edifici, la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all’entità e qualità dell’incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune, nel senso che per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto [1]. ”
“ Costituisce innovazione qualsiasi intervento modificativo eseguito sulle parti comuni di un edificio o su impianti o cose comuni che ne alteri l’entità materiale operandone la trasformazione, ovvero ne modifichi la destinazione di fatto, nel senso che detti beni, a seguito delle opere eseguite su di essi, presentino caratteristiche oggettive, abbaino una consistenza materiale o comunque siano utilizzati per fini diversi da quelli precedenti all’intervento, di guisa che le opere predette precludono la concreta utilizzazione della cosa comune in modo conforme alla sua naturale e precedente fruibilità [2] .”
FATTO
La questione in esame vede l’impugnazione, da parte di due condomini, delle delibere assembleari che prevedevano la trasformazione del giardino comune, in area da destinare a parcheggio di autoveicoli. I due ricorrenti invocavano l’invalidità delle delibere, sostenendo la contrarietà all’art. 1120, 2 co., c.c., ed in quanto assunte senza il rispetto delle maggioranze previste per legge.
Il condominio si costituiva e resisteva alla domanda, chiedendone il rigetto.
Il Tribunale respingeva domanda attorea.
I soccombenti, a questo punto, proponevano appello innanzi alla Corte territoriale, la quale ribadiva come anche il regolamento condominiale prevedesse la destinazione a parcheggio di tutte le aree scoperte comuni e non ravvisava alcun tipo di innovazione nelle delibere contestate, le quali risultavano pienamente legittime.
I condomini allora ricorrevano in Cassazione ritenendo errata l’applicazione del regolamento condominiale e contestualmente degli art. 1120 e 1136 c.c.
Il condominio non svolgeva attività difensiva in sede di legittimità.
SOLUZIONE
La Corte riteneva fondati i motivi di ricorso ritenendo, ratione temporis, applicabile l’art 1120 c.c., ante riforma del 2012 n. 220 poiché le deliberazioni condominiali risalivano al 2009, quindi accoglieva i motivi di ricorso dei condomini, cassava la decisione impugnata, rinviando la causa alla Corte territorialmente competente.
QUESTIONI
Il fulcro dell’intera questione ruotava intorno al significato assunto dal concetto di innovazione in ambito condominiale e sull’interpretazione ermeneutica fornita dalla Suprema Corte alle clausole del regolamento condominiale in questione.
Gli ermellini nella disamina del caso, partivano proprio con l’esplicare la consolidata differenza tra modifica ed innovazione, la quale si sostanzia sulla qualità dell’incidenza della nuova opera e sulla destinazione della cosa comune; dovendosi intendere per innovazione, solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria.
Come previsto dal primo comma del 1120 c.c., anche ante riforma del 2012 n.220, richiede l’applicazione del 1136, 5 co., c.c., per le deliberazioni che hanno ad oggetto un’innovazione, devono essere adottate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell’edificio.
Si ritiene di dover specificare che la riforma del 2012 n.220, entrata in vigore nel giugno 2013, pur avendo recepito gli orientamenti più consolidati della Corte di Cassazione in materia condominiale, avendo ampiamente modificato la nozione di condominio includendovi il super condominio ( ex art. 1117-bis c.c.) e modificando la destinazione d’uso delle parti condominiale, inserendo l’art. 1117-ter, non ha intaccato la disciplina sulle maggioranze richieste per le innovazioni previste nel 1136 c.c.
Nel caso in esame l’oggetto delle delibere impugnate verteva sulla trasformazione del giardino condominiale in parcheggio, rimuovendo muretti, abbattendo piante e livellando il suolo delle parti interessate ai lavori, così riportato in sentenza della Corte d’Appello. Le operazioni innanzi riportate non erano semplici modifiche, finalizzate a sopperire ad una insufficienza strutturale o a migliorarne il suo utilizzo per i condomini, come erroneamente sostenuto dalla Corte territoriale, ma risultavano essere delle vere e proprie innovazioni, poiché avrebbero cambiato radicalmente la concreta destinazione d’uso del giardino, trasformandolo in parcheggio auto.
Proprio per questo gli ermellini, citando precedenti pronunce, come nel caso della ristrutturazione di un impianto fognario bisognoso di interventi strutturali[3] o della bonifica di un terreno compiuta da uno dei comproprietari[4], hanno voluto sottolineare la differenza portante tra l’intervento di ristrutturazione o miglioria e l’innovazione in senso tecnico-giuridico : individuandolo nella conservazione della precedente destinazione d’uso.
Inoltre, viene riportato nell’ordinanza in esame, un principio cardine dell’ordinamento che i giudici di Cassazione hanno voluto ribadire, in modo chiaro e univoco, inerente il significato di innovazione all’interno della compagine condominiale: “qualsiasi intervento modificativo eseguito sulle parti comuni di un edificio o su impianti o cose comuni che ne alteri l’entità materiale operandone la trasformazione, ovvero ne modifichi la destinazione di fatto, nel senso che detti beni, a seguito delle opere eseguite su di essi, presentino caratteristiche oggettive, abbiano una consistenza materiale o comunque siano utilizzati per fini diversi da quelli precedenti all’intervento, di guisa che le opere predette precludono la concreta utilizzazione della cosa comune in modo conforme alla sua naturale e precedente fruibilità[5]”.
Applicando tali principi alla fattispecie in esame, il lavoro approvato con le delibere impugnate avrebbe inciso radicalmente sulla destinazione d’uso del giardino trasformandolo, anche se tale fattispecie era prevista dal regolamento condominiale ed i lavori risultavano essere “solo” di abbattimento muretti, livellamento del suolo e spostamento punti di illuminazione, si richiedeva l’approvazione delle opere mediante determinate maggioranze previste dal codice, e quindi gli ermellini hanno ritenuto di dover applicare l’art. 1120 c.c., comma 2^, ante riforma del 2012 n. 220, ratione temporis, al caso in esame poiché le delibere risalgono al 2009, accogliendo le ragioni di ricorso dei ricorrenti e cassando la sentenza impugnata.
[1] Cass. Sez. 2, Sent. n. 11936/1999; Cass. Sez. 2, Sent. n. 5101/1986; Cass. Sez. 2, Sent. n. 15460/2002.
[2] Cass. Sez. 2, Sent. n.8622/1998
[3] Cass. Sez. 2, Sent. n.16639/2007
[4] Cass. Civ. 6-2, Ord. n. 5726/2015
[5] Nota 2