12 Novembre 2024

Infortunio durante la lezione di educazione fisica: la Suprema Corte esclude la responsabilità dell’istituto scolastico

di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. III, ord., 25.07.2024, n. 20790 – Pres. Travaglino – Rel. Tassone

Responsabilità civile – Attività sportiva – Danno subìto dallo studente durante una lezione di educazione fisica consistente nella simulazione di una fase del gioco del rugby – Riconducibilità ad attività pericolosa ex art. 2050 c.c. – Esclusione – Fondamento

[1] In tema di danni conseguenti a un infortunio subìto da uno studente durante una lezione di educazione fisica, per configurare la responsabilità della scuola ai sensi dell’art. 2048  c.c., è necessario che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente e che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee ad evitare il fatto. Spetta allo studente provare l’illecito e alla scuola dimostrare l’inevitabilità del danno nonostante le cautele adottate.

[2] In ambito di responsabilità scolastica, non sono da considerarsi di per sé pericolosi gli esercizi di approccio all’attività del rugby durante l’ora di educazione fisica a scuola, dei quali va valorizzato l’aspetto intrinsecamente educativo, oltre che ludico, finalizzato alla valorizzazione del gioco di squadra ed alla fiducia nei compagni, all’attenzione alle regole ed al rispetto dell’avversario, alla formazione dei giovani per una maggiore sicurezza di sé nel raggiungimento degli obiettivi, conformemente alla ratio del nuovo ultimo comma dell’art. 33

 Cost. (inserito dall’art. 1, comma 1, della legge costituzionale 26 settembre 2023, n. 1), che recita “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme” ed evidenzia come lo sport debba essere praticato e coltivato come un prezioso alleato nell’educazione, nell’inclusione sociale e nel miglioramento del benessere complessivo di tutti i cittadini.

CASO

Una studentessa citava in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e l’Istituto scolastico, onde ottenerne la condanna al risarcimento del danno dalla stessa patito, in seguito ad un infortunio verificatosi durante la lezione di educazione fisica.

Era accaduto che, mentre l’alunna stava eseguendo un esercizio consistente nella simulazione di una partita di rugby con i compagni di scuola, in un cortile interno della palestra scolastica, si verificava una colluttazione con la squadra avversaria, che tentava di sottrarle la palla di mano, con la conseguenza che la studentessa veniva strattonata e, cadendo all’indietro, urtava con la nuca sul pavimento in cemento.

Nei primi due gradi di giudizio la domanda risarcitoria veniva respinta.

Avverso la sentenza di secondo grado, veniva proposto ricorso in cassazione, affidato a tre motivi.

Con il primo motivo, la ricorrente lamentava la violazione dell’art. 2048 c.c. per avere la corte di merito omesso di considerare che l’attività svolta, inserita come semplice gioco nell’ambito del programma di educazione fisica e volta ad avvicinare gli studenti al gioco del rugby, comportava tutti i rischi propri di tale sport, rispetto ai quali non erano state adottate tutte le precauzioni, volte ad evitare l’infortunio dell’alunna.

Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente lamentava l’erroneo inquadramento normativo della fattispecie, ricondotta dai giudici d’appello alla responsabilità extracontrattuale ex art. 2048 c.c., anziché a quella contrattuale ex art. 1218 c.c., come invece avrebbe dovuto essere, considerato che la studentessa era regolarmente iscritta presso l’istituto scolastico, al momento dell’infortunio.

Con il terzo motivo, la ricorrente lamentava l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia, vale a dire la disamina dello sport pratico, da ritenersi intrinsecamente pericoloso ai sensi dell’art. 2050 c.c.

SOLUZIONE

La Suprema Corte con l’ordinanza in commento ha affermato il principio secondo cui “In tema di danni conseguenti ad un infortunio sportivo subito da uno studente durante una gara svoltasi all’interno della struttura scolastica nell’ora di educazione fisica, ai fini della configurabilità della responsabilità della scuola ai sensi dell’art. 2048 c.c., è necessario: a) che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente partecipante alla gara, il quale sussiste se l’atto dannoso sia posto in essere con un grado di violenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato o con il contesto ambientale nel quale l’attività sportiva si svolge o con la qualità delle persone che vi partecipano, ovvero allo specifico scopo di ledere, anche se non in violazione delle regole dell’attività svolta, e non anche quando l’atto sia compiuto senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole della disciplina sportiva, né se, pur in presenza di una violazione delle regole dell’attività sportiva specificamente svolta, l’atto lesivo sia a questa funzionalmente connesso; b) che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee ad evitare il fatto. Ne consegue che grava sullo studente l’onere di provare l’illecito commesso da un altro studente, mentre spetta alla scuola dimostrare l’inevitabilità del danno, nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee ad evitare il fatto.

QUESTIONI

[1] La Suprema Corte, nel respingere il ricorso proposto dalla studentessa infortunata, ha escluso la responsabilità della scuola sia ai sensi dell’art. 2048 c.c., che sancisce la responsabilità degli insegnanti per il danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza, sia ai sensi dell’art. 2050 c.c., che disciplina l’ipotesi di responsabilità per l’esercizio di attività pericolosa.

I Giudici di legittimità, con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 2048 c.c., hanno ribadito – richiamando un precedente analogo (tra le altre, Cass. civ., 9983/2019) –  il proprio orientamento in tema di infortunio sportivo scolastico, cioè verificatosi all’interno dell’istituto, durante le ore di educazione fisica, affermando che «ai fini della configurabilità della responsabilità a carico della scuola ex art 2048 c.c. non è sufficiente il solo fatto di aver incluso nel programma di educazione fisica la disciplina sportiva e fatto svolgere tra gli studenti una gara sportiva, essendo altresì necessario che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente impegnato nella gara e che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee ad evitare il fatto».

In altre parole, occorrono sia un elemento positivo, cioè un danno che sia conseguenza del fatto illecito di altro studente impegnato nella gara, la cui prova rimane in capo al soggetto leso; sia un elemento negativo, cioè la mancata adozione, da parte dell’istituto scolastico, di tutte le misure idonee ad evitare il fatto.

Con particolare riferimento ad un infortunio derivante dallo svolgimento di un’attività sportiva, ove siano derivate lesioni personali ad un partecipante all’attività, a seguito di un fatto posto in essere da un altro partecipante, occorre distinguere se l’evento dannoso sia stato conseguenza di un comportamento illecito posto in essere con lo specifico scopo di cagionare un danno ingiusto ad un altro partecipante, ovvero se l’eventus damni sia stato privo dell’elemento soggettivo della volontarietà di arrecare un danno ingiusto e sia avvenuto a seguito di un’azione di gioco, eseguita dal soggetto responsabile nella normale dinamica della competizione sportiva.

Nella prima fattispecie, il comportamento tenuto dal responsabile, in quanto privo di un collegamento funzionale con la gara sportiva, è palesemente qualificabile come comportamento illecito, caratterizzato dall’elemento soggettivo della volontarietà di arrecare ad altri un danno ingiusto, e quindi di ledere l’incolumità dell’avversario.

Nella seconda ipotesi, invece, non sussiste un fatto illecito, essendo il comportamento tenuto dal soggetto responsabile funzionale alla competizione sportiva, dal momento che si inserisce nel normale svolgimento dell’attività di sport, difettando, pertanto, l’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave.

Ne consegue che è responsabile chi abbia commesso atti al precipuo fine di ledere, anche se la condotta sia stata posta in essere senza violare alcuna norma o regola di gioco; mentre non è responsabile se non ricorre una simile volontà di ledere, ovvero nell’ipotesi in cui, violando regole proprie dell’attività sportiva, la condotta lesiva sia a questa funzionalmente connessa.

Nella specie, i giudici di merito si erano attenuti ai suddetti principi, avendo accertato: che la partita rientrava nella normale attività didattica della scuola e che si era svolta interamente sotto il controllo diretto dell’insegnante; che il pavimento della palestra era in linoleum, materiale normalmente usato nelle palestre proprio in quanto idoneo ad attutire i colpi; che l’insegnante aveva preventivamente istruito i giocatori.

Pertanto, la Corte di merito aveva correttamente escluso la responsabilità della scuola, essendo l’incidente avvenuto con modalità tali da non poter essere impedito, e quindi per una ragionevole causa fortuita, legata alle fisiologiche modalità di gioco del rugby (“la condotta delle alunne che componevano la squadra avversaria a quella dell’attrice è stata repentina ed imprevedibile”) e avendo l’insegnante fatto quanto doveva per assolvere all’obbligo di vigilanza cui è tenuto ai sensi dell’art. 2048 c.c.

[2] Sotto il profilo della responsabilità di cui all’art. 2050 c.c., al cui disposto la ricorrente pretendeva di ricondurre la fattispecie, la Suprema Corte ha ribadito che l’attività sportiva non è, in generale, un’attività pericolosa, la quale – secondo l’interpretazione dell’art. 2050 c.c. – per essere tale deve essere di per sé potenzialmente dannosa, in ragione della pericolosità ad essa connaturata ed insita nel suo esercizio, a prescindere dal fatto dell’uomo, ovvero deve presentare passaggi di particolare difficoltà (come, ad esempio, è nel rafting).

Orbene, le attività propedeutiche ad uno sport come il rugby non possono considerarsi attività pericolose, sottoposte al vaglio della più stringente regola dell’art. 2050 cc (più favorevole per il danneggiato, attesa la obiettiva difficoltà della prova liberatoria), una volta predisposte – come avvenuto nel caso di specie – le opportune cautele e illustrato agli alunni le caratteristiche dell’esercizio.

Gli Ermellini, inoltre, hanno precisato che l’attività sportiva relativa al gioco del rugby non è riconducibile all’ambito di un’attività pericolosa, secondo il significato dell’art. 2050 c.c., anche in considerazione della natura della disciplina, che privilegia l’aspetto ludico ed educativo, finalizzato a valorizzare il gioco di squadra, il rispetto delle regole e dell’avversario, in conformità alla ratio dell’ultimo comma dell’art. 33 Cost.

Alle medesime conclusioni si giunge, secondo la Cassazione, anche esaminando la fattispecie secondo la regola della responsabilità contrattuale, la quale era pure stata fatta valere dalla studentessa ricorrente. Infatti, pur gravando sulla scuola e sull’insegnante la responsabilità da contatto sociale, tuttavia essi vanno esenti da tale responsabilità, una volta provata – come accaduto nella fattispecie – l’adozione di cautele idonee ad evitare il danno.

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