Inflazione e legittimità del canone a scaletta nei contratti di locazione commerciale
di Valerio Sangiovanni, Avvocato Scarica in PDFCorte di Cassazione, Sez. 3, n. 23145 del 25 luglio 2022, Pres. Frasca, Rel. Gorgoni
Parole chiave
Contratto di locazione – Locazione commerciale – Canone a scaletta – Legittimità
Massima: “Nei contratti di locazione commerciale, le parti hanno il potere di determinare liberamente la misura del canone, anche prevedendo un canone differenziato e crescente per frazioni successive di tempo”.
Disposizioni applicate
Art. 79 L. n. 392/1978 (patti contrari alla legge), art. 32 L. n. 392/1978 (aggiornamento del canone)
CASO
Viene concluso fra le parti un contratto di locazione commerciale. Il testo del contratto prevede un determinato canone mensile, ma stabilisce altresì che detto canone venga aumentato di anno in anno, predeterminando ex ante l’ammontare esatto dell’incremento che dovrà avvenire di anno in anno. A un certo punto del rapporto, il conduttore si convince della illegittimità degli aumenti annuali del canone e chiede la restituzione delle cifre pagate in eccesso rispetto al canone base, cosicché sorge un contenzioso fra le parti. Sia il Tribunale di Napoli che la Corte di Appello di Napoli ritengono che l’incremento annuale del canone sia legittimo e rigettano dunque la domanda del conduttore volta a ottenere la restituzione dei canoni pagati in eccesso rispetto al canone base.
SOLUZIONE
La questione giunge all’attenzione della Corte di Cassazione, la quale conferma le sentenze di merito: l’aumento del canone previsto, di anno in anno, nell’originario contratto è una legittimazione pattuizione che può essere contenuta in un contratto di locazione commerciale.
QUESTIONI
La locazione “è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo verso un determinato corrispettivo” (art. 1571 c.c.). La legge per il resto non spiega come e quando debba essere pagato il corrispettivo. Nell’ambito delle locazioni di immobili, tuttavia, è frequente la pattuizione di un canone che deve essere pagato con cadenza mensile.
Nella maggior parte dei casi, il canone è una cifra mensile fissa: se, ad esempio, viene pattuito per un esercizio commerciale un canone di € 2.000 al mese, detto canone dovrà essere pagato per sei anni ogni mese senza alcun incremento. La questione è se sia possibile prevedere, già nell’originario contratto di locazione, che il canone aumenti di anno in anno (oppure ogni due o tre anni). Si tratta della figura del canone c.d. “a scaletta”. Istintivamente verrebbe da rispondere positivamente: per quale ragione non dovrebbe essere possibile, in un ordinamento basato sulla libera economia di mercato, pattuire ab origine che il canone aumenti a determinate scadenze?
In realtà, la questione non è così semplice, in quanto l’art. 79 comma 1 L. n. 392/1978 prevede la inderogabilità di tutte le disposizioni della medesima legge a danno del conduttore: “è nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni delle presente legge”. Si tratta della disposizione di chiusura della legge sull’equo canone che ne sancisce l’inderogabilità. Ma il problema si trasferisce allora sui contenuti della L. n. 392: esiste un qualche articolo della medesima legge che vieta di pattuire un canone a scaletta?
La L. n. 392/1978, per quanto paradossale possa apparire, disciplina pochissimo il tema del pagamento del canone. Si rinviene l’art. 5, il quale disciplina però la sola questione dell’inadempimento del conduttore. L’altra disposizione rilevante è l’art. 32 comma 1 sull’aggiornamento del canone, secondo cui “le parti possono convenire che il canone di locazione sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore per eventuali variazioni del potere di acquisto della lira”. Il tema dell’inflazione oggi è tornato, purtroppo, di attualità. L’art. 32 comma 2 chiarisce che “le variazioni in aumento del canone … non possono essere superiori al 75 per cento di quelle … dell’indice dei prezzi al consumo”. La ratio della norma è quella di evitare che, sfruttando l’inflazione, il proprietario approfitti per alzare il canone in misura maggiore dell’inflazione. Addirittura, in un’ottica di tutela del conduttore, si prevede che solo una parte dell’inflazione (massimo il 75%) possa essere caricata al conduttore. Un filone giurisprudenziale, nel valutare il combinato disposto dell’art. 79 e dell’art. 32 L. n. 392/1978, ne ha tratto la conseguenza che l’unica modalità per prevedere aumenti del canone durante il rapporto sia ai sensi dell’art. 32, ovvero per la necessità di adeguare il canone all’inflazione. Altre variazioni sarebbero illegittime, in quanto vi osterebbe l’art. 79 che impedisce modifiche contrattuali a danno del conduttore.
In questo contesto si colloca l’ordinanza in commento n. 23145/2022. La Corte di Cassazione chiarisce che sussiste il potere delle parti, del contratto di locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione, di determinare liberamente la misura del canone. La Cassazione chiarisce che sussistono più opzioni: 1) la pattuizione di un canone fisso; 2) la pattuizione di un canone legato al fatturato dell’esercizio commerciale; 3) la pattuizione di un canone crescente nel corso del tempo. L’unico limite posto all’autonomia privata – aggiunge la Suprema Corte – è che la clausola persegua il solo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, perché essa – eludendo i limiti imposti dall’art. 32 L. n. 392/1978 – risulterebbe nulla ex art. 79 della medesima legge.
Va detto che il ragionamento della Corte di Cassazione si presta a qualche rilievo critico. Un aumento del canone è un fatto, di per sé, neutrale rispetto alle ragioni che lo determinano: se il canone, ad esempio, è di € 2.000 per i primi tre anni e di € 2.500 per i secondi tre anni di durata del rapporto, poco importa per quali ragioni (adeguamento all’inflazione o aumento in termini assoluti che prescindono dall’inflazione) sia prevista nel contratto originario una pattuizione di aumento del canone. Distinguere fra aumenti del canone dovuti all’adeguamento all’inflazione e aumenti del canone dovuti ad altri ragioni è un ragionamento formale. La Cassazione dovrebbe avere il coraggio di dire che il canone è liberamente pattuibile in misura crescente nel tempo, anche se ciò può implicare – di fatto – una sorta di abrogazione implicita dell’art. 32 L. n. 392/1978.
Si immagini che il canone sia previsto in contratto di € 2.000 per il primo anno e di € 2.500 per il secondo anno. Se l’inflazione fosse del 10%, la misura massima dell’incremento potrebbe essere del 75% del 10% (ossia di € 150). Ciò implicherebbe l’automatica nullità della clausola per violazione dell’art. 32 L. n. 392/1978, nell’esempio fatto, in quanto è previsto un aumento di € 500 (e non solo di € 150). Per evitare un risultato del genere – seguendo le indicazioni della Corte di cassazione – bisognerebbe specificare nel contratto che l’incremento del canone nel secondo anno non è legato all’aumento dell’inflazione: così sarebbe giustificato. Ma si tratta di un formalismo (una sorta di tuziorismo), che non cambia la sostanza del problema: il canone è aumentato. Le ragioni non interessano a nessuno.
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