Indici sintomatici dell’esistenza di un fido “di fatto”
di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDFSecondo una parte significativa della giurisprudenza (App. Napoli 28.12.2016; Trib. Milano 11.1.2017 e 15.2.2017; Trib. Teramo 8.2.2017; Trib. Massa 21.12.2017; Trib. Taranto 6.3.2018 e 11.4.2018; App. Milano 24.7.2018; Trib. Cremona 22.10.2018; Trib. Firenze 29.11.2018; Trib. Padova 9.11.2018; App. Bari 3.8.2020; Trib. Torino 8.1.2021; Trib. Ascoli Piceno 21.1.2021; Trib. Pistoia 30.3.2021 n. 298) anche in difetto di una espressa pattuizione scritta si deve ritenere sussistente tra le parti un contratto di apertura di credito (c.d. fido “di fatto”) in presenza di taluni indici sintomatici, ad esempio allorché il correntista abbia a lungo operato costantemente con saldo passivo, comportamento che non avrebbe evidentemente potuto tenere in assenza del consenso della banca, specie laddove non risulti che quest’ultima abbia mai intimato rientri né assunto qualunque altra iniziativa negativa nei confronti del cliente (ad es. segnalazioni negative in Centrale dei rischi).
In sostanza, in casi del genere la banca mostra di voler considerare il conto in questione non già propriamente scoperto, ma semplicemente passivo; e ciò sull’implicito ma univoco presupposto del riconoscimento di un affidamento in linea di puro fatto.
In definitiva, nell’affidamento di fatto la passività è consapevolmente gestita dalla banca, non involontariamente subita.
L’esistenza di un c.d. affidamento di fatto è stata riscontrata dalla giurisprudenza alla presenza di indizi sintomatici del seguente tenore:
– sistematica, non occasionale e tollerata operatività con “saldo passivo” del correntista: «via via che il tempo passa, senza solleciti di rientro provenienti dalla banca, la situazione tende a consolidarsi, il rapporto obbligatorio acquista crescente stabilità»
– mancato avvio azioni di recupero dell’esposizione debitoria: «neppure consta che la banca abbia mai intimato il rientro o rifiutato l’esecuzione di ordini sul saldo debitore, diffidato l’attrice dal fare ulteriori atti dispositivi sul c/c a debito»;
– estratti conto in cui sono riportati tassi differenziati (entro ed extra-fido); applicazione al c/c delle condizioni economiche (misura dei tassi d’interesse) previste negli e/c per lo “scoperto nei limiti del fido” e l’apertura di credito o, ancora, l’espresso riconoscimento negli e/c e negli scalari di uno “scoperto nei limiti del fido” e di una “apertura di credito fiduciaria”;
– addebito di spese di istruttoria fido/apertura di credito, revisione di pratica fido;
– applicazione della commissione di massimo scoperto (remunerazione per l’utilizzazione di somme di denaro extra-fido); al riguardo, possono essere valorizzati anche gli atti giudiziari difensivi di controparte, laddove sostengano la legittima applicazione della commissione di massimo scoperto (o non contestino la circostanza dell’affidamento del conto corrente);
– invio lettera di revoca dell’affidamento poi disattesa dal successivo comportamento della banca, che ha seguitato a tollerare (e gestire) l’operatività del correntista con saldo passivo.
Ai fini della dimostrazione della sussistenza e dell’entità dei fidi accordati ed utilizzati “di fatto” sono state, infine, opportunamente valorizzate le risultanze della Centrale dei Rischi Bankitalia (accordato/utilizzato), che possono assumere valenza di prova privilegiata di natura confessoria dell’esistenza di un affidamento di fatto (App. Torino 26.7.2017; Trib. Firenze 29.11.2018; Trib. Milano 29.11.2017; Trib. Massa 21.12.2017; Trib. Torino 8.1.2021).