Indicazione degli eredi legittimi quali beneficiari di una polizza vita, la posizione delle Sezioni Unite
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza n. 11421 del 30 aprile 2021
Nel contratto di assicurazione sulla vita la designazione generica degli “eredi” come beneficiari, in una delle forme previste nell’articolo 1920, comma 2, c.c., comporta l’acquisto di un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione da parte di coloro che, al momento della morte del contraente, rivestano tale qualità in forza del titolo della astratta delazione indicata all’assicuratore per individuare i creditori della prestazione.
Nel contratto di assicurazione sulla vita la designazione generica degli “eredi” come beneficiari, in difetto di una inequivoca volontà del contraente in senso diverso, non comporta la ripartizione dell’indennizzo tra gli aventi diritto secondo le proporzioni della successione ereditaria, spettando a ciascuno dei creditori, in forza della “eadem causa obligandi”, una quota uguale dell’indennizzo assicurativo, il cui pagamento ciascuno potrà esigere dall’assicuratore nella rispettiva misura.
Allorché uno dei beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita premuore al contraente, la prestazione, se il beneficio non sia stato revocato o il contraente non abbia disposto diversamente, deve essere eseguita a favore degli eredi del premorto in proporzione della quota che sarebbe spettata a quest’ultimo.
Disposizioni applicate
Articoli 457, 467, 468, 1362, 1412, 2° comma, 1920, 1921 e 1923 cod. civ
[1] Con l’ordinanza interlocutoria n. 33195 del 16/12/2019 venivano sottoposte alle Sezioni Unite le seguenti questioni:
a. se in materia di assicurazione sulla vita in favore di un terzo, in presenza della diffusa formula contrattuale (…) genericamente riferita ai “legittimi eredi”, detta espressione sia meramente descrittiva di coloro che, in astratto, rivestono la qualità di eredi legittimi o se debba intendersi, invece, che sia riferita ai soggetti effettivamente destinatari dell’eredità;
b. se la designazione degli eredi in sede testamentaria possa interferire, in sede di liquidazione di indennizzo, con la individuazione astratta dei legittimi eredi;
c. se, in tale seconda ipotesi, il beneficio indennitario debba ricalcare la misura delle quote ereditarie spettanti ex lege o se la natura di “diritto proprio” sancita dalla norma (cfr. art. 1920, ultimo comma, c.c.) imponga una divisione dell’indennizzo complessivo fra gli aventi diritto in parti uguali.
La vicenda che ha dato luogo a tale ordinanza può essere così riassunta.[1]
Alla morte di Tizio, sorgeva un conflitto tra il di lui fratello Caio e la Compagnia assicuratrice con la quale il defunto aveva sottoscritto diverse polizze vita, nelle quali i beneficiari erano genericamente identificati negli “eredi legittimi”.
Soggetti individuati dalla legge quali aventi diritto ad una quota di eredità erano, oltre a Caio, i nipoti Primo, Secondo, Terzo e Quarto (figli dell’altra sorella premorta, Sempronia).
La tesi sostenuta da Caio mirava ad ottenere una liquidazione in base alle regole della successione legittima (in tal modo egli avrebbe ricevuto 1/2 della liquidazione, dovendosi la restante metà suddividersi tra i nipoti). La controparte, invece, riteneva che la liquidazione non dovesse seguire le regole del diritto successorio, ma fosse necessario procedere alla ripartizione in quote uguali tra tutti gli aventi diritto (ossia per 1/5 ciascuno).
Il primo grado di giudizio vedeva vittoriosa la compagnia assicurativa, mentre la Corte di Appello dava ragione a Caio.
La società assicuratrice ricorreva, pertanto, in Cassazione, la quale, riscontrando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale, emetteva l’ordinanza di cui sopra.
[2] Dall’analisi condotta accuratamente dalle Sezioni Unite emerge, innanzitutto, come il contrasto richiamato dall’ordinanza interlocutoria si sostanziasse, in realtà, in un pronunciato del 2015[2] in aperto contrasto con l’orientamento che poteva dirsi fino a quel momento prevalente e che, successivamente, ha caratterizzato nuovamente le decisioni delle sezioni semplici.
L’approfondita disamina delle diverse posizioni assunte dalla Cassazione conduce a quello che può definirsi un punto fermo nel panorama giurisprudenziale: non è in discussione la natura del diritto che il terzo, appartenente alla generica categoria degli «eredi» individuati ai sensi dell’art. 1920 c.c., acquista per effetto della designazione, né alla fonte di tale acquisto. Il diritto, infatti, spetta iure proprio e non iure successionis e la sua fonte è da individuarsi nel contratto, piuttosto che nella delazione o accettazione ereditarie.
Ciò su cui si deve ragionare è la “sussistenza, o meno, di un criterio immanente di interpretazione presuntiva, in forza del quale la clausola dell’assicurazione sulla vita, che preveda quali beneficiari gli eredi dello stipulante, comporti anche un rinvio alle quote di ripartizione dell’eredità secondo le regole della successione legittima o testamentaria”.
[3] Venendo alle risposte fornite ai quesiti posti, le Sezioni Unite dichiarano espressamente, in ordine ai primi due, di voler riaffermare l’interpretazione già seguita al riguardo dalla prevalente giurisprudenza della Corte.
Proprio in ragione della considerazione che la designazione del beneficiario dei vantaggi di un’assicurazione sulla vita è atto inter vivos con effetti post mortem – da cui discende l’effetto dell’immediato acquisto di un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione -, “la generica individuazione quali beneficiari degli «eredi [legittimi e/o testamentari]» ne comporta l’identificazione soggettiva con coloro che, al momento della morte dello stipulante, rivestano tale qualità in forza del titolo della astratta delazione ereditaria prescelto dal medesimo contraente, indipendentemente dalla rinunzia o dall’accettazione della vocazione”.
A giudizio degli Ermellini, il termine “eredi” fornisce per l’assicuratore “un criterio univoco di individuazione del creditore della prestazione, e perciò prescinde dall’effettiva vocazione”.
Essi si spingono, poi, ad affermare che “l’eventuale istituzione di erede per testamento compiuta dal contraente assicurato dopo aver designato i propri «eredi [legittimi]» quali beneficiari della polizza non rileva, pertanto, né come nuova designazione per attribuzione della somma assicurata, né come revoca del beneficio, agli effetti dell’art. 1921 c.c., ove non risulti una inequivoca volontà in tal senso, operando su piani diversi l’intenzione di disporre mortis causa delle proprie sostanze e l’assegnazione a terzi del diritto contrattuale alla prestazione assicurativa”.
In ordine al terzo quesito posto al loro esame, le Sezioni Unite statuiscono che “la natura inter vivos del credito attribuito per contratto agli «eredi» designati quali beneficiari (…) esclude l’operatività riguardo ad esso delle regole sulla comunione ereditaria, valevoli per i crediti del de cuius, come anche l’automatica ripartizione dell’indennizzo tra i coeredi in ragione delle rispettive quote di spettanza dei beni caduti in successione. La qualifica di «eredi» rivestita al momento della morte dello stipulante sopperisce, invero, con valenza meramente soggettiva, alla generica determinazione del beneficiario, in base al disposto del secondo comma dell’art. 1920 c.c., che funziona soltanto al fine di indicare all’assicuratore chi siano i creditori della prestazione, ma non implica presuntivamente, in caso di pluralità di designati, l’applicazione tra i concreditori delle regole di ripartizione dei crediti ereditari. [3]
(…) In forza della designazione degli «eredi» quali beneficiari dell’assicurazione sulla vita a favore di terzo, la prestazione assicurativa vede quali destinatari una pluralità di soggetti in forza di una eadem causa obligandi, costituita dal contratto. Rispetto alla prestazione divisibile costituita dall’indennizzo assicurativo, come in ogni figura di obbligazione soggettivamente complessa (…), ove non risulti diversamente dal contratto, a ciascuno dei beneficiari spetta una quota uguale”.
[4] La Suprema Corte, infine, prende in esame un ulteriore aspetto: cosa accade in caso di premorienza del beneficiario?
Al riguardo, si afferma che, dovendosi riconoscere natura di attribuzione iure proprio al beneficiario, viene in considerazione il disposto dell’art. 1412 cod. civ., il cui secondo comma dispone che “la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purché il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente“, “, con conseguente trasmissibilità agli eredi del terzo premorto della titolarità dei vantaggi dell’assicurazione.[4]
“Dunque, con la regola che implica l’identificazione degli «eredi» designati con coloro che abbiano tale qualità al momento della morte del contraente coopera la regola della trasmissibilità del diritto ai vantaggi dell’assicurazione in favore degli eredi del beneficiario premorto, quale conseguenza dell’acquisto già avvenuto in capo a quest’ultimo”.
La sentenza epigrafata, sul punto, conclude che “la premorienza di uno degli eredi del contraente, già designato tra i beneficiari dei vantaggi dell’assicurazione, comporta, quindi, non un effetto di accrescimento in favore dei restanti beneficiari, ma, stando l’assenza di una precisa disposizione sul punto ed in forza dell’assimilabilità dell’assicurazione a favore di terzo per il caso di morte alla categoria del contratto a favore di terzi, un subentro per “rappresentazione” in forza dell’art. 1412, secondo comma, c.c. (senza che la comune denominazione delle fattispecie obliteri le evidenti differenze di ambito soggettivo ed oggettivo correnti tra detta norma e l’istituto previsto dall’art. 467 c.c.). Beninteso, il contraente potrebbe avere altrimenti espresso in sede di designazione una diversa volontà per il caso di premorienza di uno dei beneficiari, come potrebbe, a seguito della stessa, revocare il beneficio con le forme e nei limiti di cui all’art. 1921 c.c.”.
Applicando tale principio al caso concreto, i Giudici di legittimità cassano la pronuncia di secondo grado, ritenendo che non abbia considerato che la generica individuazione degli «eredi legittimi» quali beneficiari dei contratti di assicurazione conclusi dal defunto comportava l’identificazione soggettiva con coloro che, al momento della morte dello stipulante, rivestivano tale qualità in forza del titolo della astratta delazione ereditaria. La individuazione degli «eredi legittimi» quali beneficiari non poteva riguardare la sorella premorta, perché la stessa era mancata prima ancora della sottoscrizione delle polizze. Poiché alcun diritto proprio aveva acquistato Sempronia, non vi era spazio per applicare il secondo comma dell’art. 1412 c.c., ovvero per ravvisare una trasmissione per “rappresentazione” agli eredi di questa dei vantaggi dell’assicurazione nella medesima quota che sarebbe spettata a quella.
“Come già al momento delle designazioni, al momento della morte (…) rivestivano la qualità astratta di «eredi legittimi» sia Tizio, sia i quattro discendenti di Sempronia subentrati nel luogo e nel grado della loro ascendente, e perciò da intendere essi stessi come «eredi», tanto più agli effetti di cui all’art. 1920, secondo comma, c.c., e cioè al fine di individuare i creditori della prestazione assicurativa”.
[5] Siano concesse allo scrivente delle brevi e non esaustive considerazioni personali in merito ad alcune criticità che la sentenza in commento non pare risolvere compiutamente.
Innanzitutto, non sembra rinvenirsi risposta all’interrogativo circa l’interpretazione della non infrequente clausola di indicazione dei beneficiari con la generica dizione “eredi legittimi e/o testamentari”. Le Sezioni Unite, infatti, chiariscono esclusivamente che in caso di designazione degli “eredi legittimi” un’eventuale nomina ad erede a mezzo di testamento non avrebbe incidenza sull’attribuzione del diritto alla liquidazione della polizza, che rimarrebbe di esclusivo appannaggio di coloro che la legge riconoscerebbe quali legittimi successori in caso di assenza del testamento.
Ma che dire dell’ipotesi in cui il contratto faccia riferimento ad entrambe le fonti della delazione ereditaria in presenza della doppia congiunzione “e/o”?
Nulla quaestio, infatti, se il contratto prevede la solo congiunzione “o”; la scelta, in tal caso, è già operata dallo stipulante: la volontà di questi è di riservare il beneficio a coloro che risulteranno nominati eredi nel testamento o, in caso di mancanza di esso, agli eredi legittimi.
La designazione degli eredi legittimi “e” testamentari, invece, dovrebbe portare ad un’attribuzione del diritto alla liquidazione tra tutti i soggetti individuati dalla legge e dal testamento, in quote uguali tra loro.
La previsione della doppia opzione “e/o” non può che comportare un’incertezza che sarebbe preferibile evitare.
Un maggiore approfondimento meriterebbe, poi, la questione da ultimo affrontata nella sentenza in oggetto. Gli Ermellini, come visto, sostengono che in caso di premorienza del beneficiario designato – anche genericamente con l’indicazione “eredi legittimi” – il diritto alla liquidazione si trasmette agli eredi di questi; e, in particolare, parlano di “trasmissione per rappresentazione agli eredi” del premorto. Orbene, sembra rinvenirsi una certa confusione in tale ragionamento. E non pare sufficiente a chiarire, la precisazione contenuta nella sentenza in commento, laddove si afferma: “senza che la comune denominazione delle fattispecie obliteri le evidenti differenze di ambito soggettivo ed oggettivo correnti tra detta norma (art. 1412 n.d.r.) e l’istituto previsto dall’art. 467 c.c.”. Emerge da tale puntualizzazione che le stesse Sezioni Unite avevano ben chiara la presenza di possibili confusioni, ma non hanno ritenuto di dover maggiormente approfondire tale aspetto, rimettendo il compito all’interprete.
Rappresentazione e trasmissione sono istituti ben diversi. La trasmissione comporta la successione in un diritto a favore degli eredi (tutti) del titolare; la rappresentazione comporta il subingresso di determinati soggetti (che non coincidono necessariamente con gli eredi del premorto) in un rapporto giuridico successorio. Un esempio, assimilabile al caso di specie, può chiarire tale distinzione: alla morte di Tizio, eredi di questi sarebbero il fratello Caio e i nipoti, figli della sorella premorta Sempronia, per rappresentazione. Se, al momento della morte di Tizio, fosse stato ancora in vita il marito di Sempronia, costui sarebbe stato erede della moglie (giammai di Tizio). In forza del ragionamento delle Sezioni Unite, dovrebbe concludersi che beneficiari della polizza sarebbero, oltre al fratello ancora in vita, gli eredi della sorella premorta e, quindi, non solo i figli, ma anche il marito (e non in parti uguali, bensì secondo le quote a ciascuno spettanti ex lege sulla successione di Sempronia). O, qualora Sempronia avesse fatto testamento, gli eredi testamentari di questa. E tutto ciò, solo nel caso in cui quest’ultima fosse sì premorta al proprio fratello, ma dopo la sottoscrizione dei contratti di assicurazione; altrimenti, opererebbe una sorta di “chiamata” diretta dei soli nipoti.
L’argomentare della Cassazione non convince appieno.
Il principio di diritto enunciato dalla Sezioni Unite può, certamente, trovare applicazione laddove l’indicazione del beneficiario sia nominativa. In tal caso, infatti, è possibile individuare un soggetto, sin dal momento di sottoscrizione del contratto, titolare di quel diritto del terzo disciplinato dall’art. 1412, secondo comma, c.c..
È la stessa Suprema Corte, infatti, ad affermare che qualora i beneficiari siano individuati negli eredi legittimi, gli stessi sono da identificarsi con coloro che, in linea teorica e con riferimento alla qualità esistente al momento della morte dello stipulante, siano i successibili per legge, indipendentemente dalla loro effettiva chiamata all’eredità.[5]
Se tale è l’assunto di principio che pare, dalla costante giurisprudenza della Cassazione, essere indubitabile, dovrebbe coerentemente discendere che l’eventuale premorienza, indipendentemente dal momento in cui si verifica, non possa rilevare sull’individuazione dei beneficiari, dovendosi cristallizzare la situazione fattuale proprio al momento dell’apertura della successione. Ragionare diversamente significherebbe sostenere che gli “eredi legittimi” debbano essere identificati in coloro che rivestirebbero tale qualità al momento della sottoscrizione del contratto. Solo in tal modo potrebbe parlarsi di trasmissione di un diritto già acquisito.
Nell’esempio sopra riportato, non può certo dirsi che il marito di Sempronia rivestirebbe la qualifica di erede legittimo di Tizio al momento della sua morte; né, tantomeno, lo sarebbe la sorella di questi: eredi legittimi sarebbero i discendenti di costei, per rappresentazione.
Lo scrivente rende conto che così ragionando si giunge ad una conclusione difficilmente compatibile con il dettato dell’art. 1412, secondo comma, cod. civ. sopra citato, ed è questo il punto su cui ci si deve riservare una più approfondita analisi.
Vi è da dire come tutte le questioni ancora aperte e le indubbie difficoltà che discendono da una designazione generica dei beneficiari di una polizza vita, portino ad una inevitabile conclusione: un’indicazione nominativa è quanto mai opportuna.
[1] Per un maggiore approfondimento in merito all’ordinanza n. 33195 del 16/12/2019 si rinvia a: C. DE ROSA, Designazione dei “legittimari eredi” quali beneficiari della polizza vita in EC Legal, newsletter del 28/04/2020
[2] Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 19210 del 29/09/2015.
[3] La pronuncia in commento prosegue precisando che “al contrario, il silenzio serbato dal contraente sulla suddivisione del capitale assicurato tra gli eredi potrebbe spiegarsi come indizio della sua volontà di utilizzare l’assicurazione sulla vita per il caso morte con finalità indennitaria, o come alternativa al testamento comunque sottratta al divieto ex art. 458 c.c., in maniera da beneficiare tutti indistintamente senza soggiacere alle proporzioni della successione ereditaria.
Rimane ovviamente ferma la libertà del contraente, nel designare gli eredi quali beneficiari dei vantaggi dell’assicurazione, di indicare gli stessi nominativamente o di stabilire in quali misure o proporzioni debba suddividersi tra loro l’indennizzo, o comunque di derogare all’art. 1920 c.c. (arg. dall’art. 1932 c.c.). L’indagine sull’effettiva intenzione del contraente, ovvero sullo scopo che lo stesso voleva perseguire mediante la generica designazione degli eredi beneficiari, rimane tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito”.
[4] Gli Ermellini puntualizzano che “in tal caso, l’acquisto del diritto alla prestazione assicurativa in favore degli eredi del beneficiario premorto rispetto allo stipulante opera, peraltro, iure hereditatis, e non iure proprio, e quindi in proporzione delle rispettive quote ereditarie, trattandosi di successione nel diritto contrattuale all’indennizzo entrato a far parte del patrimonio del designato prima della sua morte, nella medesima misura che sarebbe spettata al beneficiario premorto, secondo la logica degli acquisti a titolo derivativo”.
[5] In tal senso, si veda anche, tra le molte: Cass. Civ, Sez. 6, Ordinanza n. 25635 del 15/10/2018
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