15 Marzo 2022

È incensurabile in Cassazione la valutazione delle prove raccolte compiuta dal giudice di merito

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. VI, 2 febbraio 2022, n. 3119, Pres. Lombardo – Est. Dongiacomo

[1] Sindacato del giudice di merito – Censurabilità in sede di legittimità – Limiti (artt. 132, 360 c.p.c.)

La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, se non per il vizio di omissione dell’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, tale che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia.

CASO

[1] Un soggetto domandava in primo grado la condanna del figlio alla restituzione, in suo favore, di una somma di denaro.

Avverso la sentenza di rigetto di tale domanda, l’attore proponeva appello, che veniva accolto dal giudice di seconde cure.

In particolare, la Corte d’Appello adita, dopo aver accertato, in fatto, che l’appellante aveva eseguito in favore del figlio due bonifici, apponendo, nella causale, l’espressione “prestito senza interesse”, ha ritenuto che lo stesso, in tal modo, avesse formalizzato la sua volontà (preesistente e persistente all’esecuzione dei due bonifici) di concedere al figlio quel denaro a titolo di mutuo, come, del resto, confermato dalle dichiarazioni rese sul punto dai testi escussi in giudizio (un commercialista e un consulente del lavoro); inoltre, in seguito all’accreditamento dei due bonifici sul conto corrente intestato al figlio, quest’ultimo era venuto a conoscenza del fatto che il padre gli avesse rivolto una proposta contrattuale di erogazione di una somma di denaro (coincidente alla somma accreditata) a titolo di mutuo senza interessi, per cui lo stesso, nel disporre di tale somma, avrebbe inequivocabilmente manifestato la propria volontà di accettare la proposta del padre, determinando così la conclusione tra loro di un contratto di mutuo senza interessi.

Inoltre, guardando a operazioni concluse in passato tra le parti, la Corte ha rilevato emergere sistematicamente come, quando il padre intendesse prestare del denaro al figlio, utilizzasse nella causale il termine “prestito”, operazioni cui ha sempre fatto seguito la restituzione delle somme ricevute dal beneficiario, mentre quando ha voluto erogare al figlio denaro per spirito di liberalità, lo ha fatto senza seguire particolari formalità.

Sulla base di tali premesse, la Corte ha ritenuto di qualificare la dazione di denaro effettuata dal padre al figlio come contratto di mutuo, e non come donazione, con conseguente obbligo in capo al figlio di restituire l’importo ricevuto.

Avverso tale sentenza, il figlio proponeva ricorso per cassazione, lamentando, per quanto qui interessa, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2813 c.c. e degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3), c.p.c., per avere la Corte d’Appello tratto elementi di prova dell’esistenza di un contratto di mutuo dalle dichiarazioni rese dai testimoni senza, però, considerare che gli stessi avevano riferito non su accadimenti reali ma su circostanze apprese dall’attore, e cioè de relato.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione giudica il ricorso proposto infondato.

Rilevano i giudici di legittimità che il ricorrente, pur avendo dedotto vizi di violazione di norme di legge sostanziale o processuale, ha lamentato, in sostanza, l’erronea ricostruzione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito.

La valutazione delle prove raccolte, però, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio, di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La Corte d’Appello, dopo aver valutato le prove documentali e testimoniali raccolte in giudizio, ha ritenuto, con apprezzamento in fatto (non censurato ex art. 360, n. 5), c.p.c.), che l’attore avesse versato al convenuto la somma di denaro a titolo di mutuo, e quindi con obbligo dello stesso di eseguirne la restituzione, con valutazione che non si presta, evidentemente, a censure.

La Suprema Corte, conseguentemente, ha rigettato il ricorso presentato.

QUESTIONI

[1] La Suprema Corte è chiamata a pronunciarsi sul tema della sindacabilità, in sede di legittimità, delle valutazioni compiute dal giudice di merito, con particolare riguardo alle prove raccolte.

In considerazione della funzione tradizionalmente attribuita alla Corte di Cassazione, quale giudice di legittimità, è noto come sia precluso, alla stessa, di procedere alla valutazione della soluzione data alle questioni di fatto, essendo il suo sindacato limitato agli errori di diritto.

Da ricondurre alle valutazioni inerenti ai fatti di causa – in quanto tali sottratte al sindacato di legittimità – sono pure, naturalmente, quelle attinenti alle valutazioni delle prove raccolte nel giudizio, ivi compreso il ragionamento inferenziale compiuto, laddove adeguatamente motivato.

A tal riguardo, la giurisprudenza di legittimità è assolutamente pacifica: per richiamare le più recenti, Cass., 23 maggio 2014, n. 11511 e Cass., 4 luglio 2017, n. 16467 hanno ribadito come la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi – così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione – involgano apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto a un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti.

Come consuetamente si afferma, compito della Cassazione non è, infatti, quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere a una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, dovendo soltanto controllare, ai sensi degli artt. 132, n. 4) e 360, n. 4), c.p.c., se i giudici di merito abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente, come chiarito da Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

In definitiva, la Corte di Cassazione deve verificare se il ragionamento probatorio dei giudici di merito, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e plausibile: ciò che, secondo il provvedimento in esame, è accaduto nel caso di specie.

In tema di presunzioni – e di correlativo ragionamento inferenziale -, peraltro, il sindacato riconosciuto alla Suprema Corte è stato recentemente chiarito da Cass., 30 giugno 2021, n. 18611 (su www.eclegal.it, con nota di V. Baroncini, Sulla censurabilità in Cassazione dell’utilizzo di presunzioni semplici), nel senso che “qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, c.p.c. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta; nondimeno, per restare nell’ambito della violazione di legge, la critica deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può svolgere argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità (criticando la ricostruzione del fatto ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione), vizio valutabile, ove del caso, nei limiti di ammissibilità di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.”.

L’unica possibilità, per la Cassazione, di effettuare un sindacato sulla valutazione di fatto compiuta dal giudice di merito, è limitata al vizio di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c. che, come già ricordato, consente di censurare l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: relativamente a tale vizio, la già richiamata Cass., sez. un., n. 8053 del 2014 ha specificato che la riformulazione di tale motivo di ricorso per cassazione, avvenuta con il del d.l. n. 83/2012, conv. in legge n. 134/2012, ha implicato la riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, per cui è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che risulti dal testo della sentenza e si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza stessa della motivazione, non avendo più rilievo il mero difetto di “sufficienza”.

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