2 Novembre 2015

Inattività delle parti nel rito del lavoro

di Virginia Petrella Scarica in PDF

Cass., sez. lav., 17 settembre 2015, n. 18226

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Impugnazioni civili – Rito del lavoro – Inattività delle parti –  Udienza ex art. 437 c.p.c. – Applicabilità dell’art. 348 c.p.c. all’appello nel rito del lavoro
(C.p.c., artt. 181, 348, 359, 437 c.p.c.)

[1] La disciplina dell’inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile, con riguardo sia al giudizio di primo grado che a quello di appello, si applica anche alle controversie individuali di lavoro, non ostandovi la specialità del rito, né i principi cui esso si ispira. Ne consegue che, ai sensi dell’art. 348 c.p.c., co. 1, anche in tali controversie, la mancata comparizione dell’appellante all’udienza di cui all’art. 437 c.p.c. non consente la decisione della causa nel merito, ma impone la fissazione di nuova udienza, da comunicare nei modi previsti, nella quale il ripetersi di tale difetto di comparizione comporta la dichiarazione di improcedibilità dell’appello

CASO
[1] La pronuncia trae le mosse da un contenzioso in materia di risoluzione del rapporto di lavoro tra un istituto di credito ed un mediatore finanziario in costanza di periodo di prova, che vedeva la soccombenza del ricorrente in primo grado, per legittimità del recesso della banca datrice di lavoro, e, successivamente, la conferma in secondo grado della pronuncia di prime cure, mediante decisione all’udienza di discussione ex art. 437 c.p.c., nonostante l’assenza del difensore del lavoratore, ricorrente in appello. Il lavoratore soccombente ricorreva per la cassazione della sentenza di secondo grado deducendone, tra l’altro, la nullità per violazione dell’art. 348, da ritenersi applicabile anche all’appello secondo il rito del lavoro e, di conseguenza, all’ipotesi di mancata comparizione del ricorrente all’udienza di discussione ex art. 437 c.p.c.

SOLUZIONE
[1] 
Il Supremo Collegio, nella motivazione di accoglimento del suesposto motivo del ricorso, richiama un orientamento consolidato e prevalente dalle cui risultanze il giudice di appello si era invece discostato (cfr. Cass., sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 2816; Cass., sez. lav., 4 marzo 2011, n. 5238, Cass., sez. lav., 9 marzo 2009, n. 5643, Cass., sez. lav., 19 maggio 2003, n. 7837, Cass., sez. lav., 22 agosto 2003, n. 12358). Tale orientamento consolidato ritiene che la disciplina dell’inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile, con riguardo sia al giudizio ordinario di primo grado che a quello di appello, si applica anche alle controversie individuali di lavoro, non ostandovi la specialità del rito, né i principi cui esso si ispira. Ne consegue che la mancata comparizione delle parti all’udienza di discussione non consente la decisione della causa nel merito, ma impone la fissazione di una nuova udienza, nella quale il ripetersi dell’indicato difetto di comparizione comporta la cancellazione della causa dal ruolo.

La Corte specifica che la corretta conseguenza dell’inattività delle parti è la improcedibilità dell’appello, ma solo se il ricorrente in appello non si presenta per due udienze consecutive, ovvero se siano entrambe le parti a disertare la prima udienza. In quest’ultimo caso, si procederà alla cancellazione della causa dal ruolo.

Tale soluzione è accolta giudicando la norma di cui all’art. 348 c.p.c. come di portata generale in assenza di deroga espressa da parte della sintetica disciplina dell’appello nel rito del lavoro.   

QUESTIONI
[1] 
La pronuncia in commento si pone dichiaratamente in linea con l’orientamento maggioritario in materia di conseguenze dell’inattività delle parti nel giudizio di appello secondo il rito del lavoro (v. giurisprudenza citata supra).

Si fa notare che nella diversa ipotesi di diserzione dall’udienza da parte di entrambi i contraddittori ugualmente non viene ritenuta corretta la decisione della causa del merito, dovendo invece disporsi la cancellazione della causa dal ruolo, come precisato da Cass., sez. lav., 22 agosto 2003, n. 12358 e ribadito anche da Cass., 12 febbraio 2015, n. 2816, entrambe richiamate nella motivazione della sentenza in commento.

La disciplina dell’inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile con riguardo sia al giudizio di primo grado che a quello di appello, di cui agli artt. 181, 359 e 348 c.p.c., secondo l’interpretazione della giurisprudenza dominante, trova applicazione anche nelle controversie individuali di lavoro regolate dalla l. 11 agosto 1973, n. 533, non essendo di ostacolo a ciò la specialità del rito da questa introdotto, né i principi cui essa si ispira.

L’orientamento citato non ha poi mancato di evidenziare che l’art. 348 c.p.c. è disposizione posta nell’interesse esclusivo dell’appellante, non rilevando le eventuali ragioni di celere definizione del giudizio dell’appellato.

L’improcedibilità dell’appello può essere dichiarata anche d’ufficio (Cass., sez. lav., 4.3.2011, n. 5238; Cass., sez. lav., 6 marzo 2007, n. 5125).

Deve rimarcarsi, tuttavia, che nella giurisprudenza anteriore all’anno 1993 prevaleva l’indirizzo opposto, accolto dalla pronuncia cassata dalla sentenza in commento, secondo il quale, in caso di mancata presentazione dell’appellante all’udienza di discussione ex art 437 c.p.c. l’appello deve essere deciso nel merito (cfr. Cass., sez. lav., 5 aprile 1990, n. 2845; Cass., sez. lav., 6 marzo 1990, n. 1744; Cass., sez. lav., 9 aprile 1988, n. 2816).

Per maggiori approfondimenti in dottrina, cfr. Proto Pisani, Controversie individuali di lavoro, Torino 1993, 119, che sosteneva anche dopo la riforma del 1990 la correttezza dell’orientamento risalente da ultimo richiamato. In argomento anche Montesano-Vaccarella, Manuale di diritto processuale del lavoro, Napoli, 1996, 310.