È inammissibile l’opposizione all’esecuzione una volta chiusa l’espropriazione forzata, anche in caso di omessa notifica del pignoramento al debitore
di Stefania Volonterio, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, Sez. III Civile, ord. 21 aprile 2022, n. 12690, Pres. Rubino, Rel. Fanticini
Provvedimento di assegnazione dei crediti pignorati – Opposizione all’esecuzione – Opposizione agli atti esecutivi – Dichiarazione d’inefficacia del decreto ingiuntivo – (Cod. Proc. Civ. artt. 553, 615, 617, 644 – Disp. Att. Cod. Proc. Civ. art. 188)
[I] “La contestazione del diritto a procedere ad esecuzione forzata può essere svolta fintanto che tale diritto è minacciato o viene esercitato dal creditore, non già dopo che il processo esecutivo si è definitivamente concluso con l’assegnazione del credito pignorato (o, nell’esecuzione mobiliare e immobiliare e nell’espropriazione di cose presso terzi, con la distribuzione del ricavato della vendita)” (massima redazionale)
[II] “L’ordinanza di assegnazione del credito emessa ai sensi dell’art. 553 cod. proc. civ. chiude il processo di espropriazione presso terzi, sicché il debitore non può più avvalersi dello strumento dell’opposizione all’esecuzione, perché questa è ormai esaurita” (massima redazionale)
[III] “L’inammissibilità del suindicato rimedio non impedisce al debitore di insorgere avverso i perduranti effetti pregiudizievoli di un’ordinanza di assegnazione del credito che non trovi più il suo fondamento in un valido ed efficace titolo esecutivo o che non sia più giustificata per essere stato integralmente soddisfatto il credito assegnato. Lo strumento da impiegare nelle ipotesi descritte è costituto dall’ordinaria azione di cognizione, non già per ottenere inammissibilmente (perché al di fuori del sistema delle opposizioni esecutive) la revoca o l’annullamento dell’ordinanza ex art. 553 cod. proc. civ., bensì per far accertare che, in ragione delle circostanze (modificative o estintive) sopravvenute alla conclusione del processo esecutivo, il terzo pignorato non è più tenuto ad effettuare pagamenti al creditore assegnatario del credito e, se del caso, per ottenere la restituzione delle somme già incassate” (massima redazionale)
CASO
Un soggetto riceveva nel 2015, dal proprio ente pensionistico, la notizia del fatto che, con provvedimento ex art. 553 c.p.c. risalente al 2012, un suo creditore aveva ottenuto l’assegnazione di parte del suo credito pensionistico.
Il (presunto) debitore, sostenendo di non aver mai ricevuto né la notifica del decreto ingiuntivo che risultava essere stato posto a fondamento della procedura esecutiva (e risalente al 1992), né quella del successivo pignoramento presso il terzo (l’ente pensionistico), nel 2015 ricorreva al Tribunale ai sensi dell’art. 188 disp. att. c.p.c. e nel 2016, ottenuta la declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo così richiesta, proponeva una opposizione, che esplicitamente qualificava come all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., dinanzi al giudice di fronte al quale si era a suo tempo svolta la procedura esecutiva, “al fine di veder pronunciata la nullità o l’inefficacia dell’ordinanza di assegnazione del credito” (che, come detto, risaliva al 2012).
Il Tribunale adito riqualificava l’opposizione siccome proposta ai sensi dell’art. 617 c.p.c., ritenendo che “avverso l’ordinanza di assegnazione emessa nell’ambito di procedura esecutiva l’unico rimedio esperibile è quello di cui all’art. 617 c.p.c.”, e, in forza di questa riqualificazione, dichiarava l’opposizione inammissibile per tardività (come visto sopra, infatti, l’opposizione veniva proposta nel 2016, mentre risultava che il debitore fosse venuto a conoscenza della procedura esecutiva quantomeno nel 2015, ossia con la comunicazione ricevuta dall’ente pensionistico).
Il debitore opponente proponeva quindi ricorso per cassazione, sostenendo l’errore nel quale era incorso il tribunale nel riqualificare l’opposizione de qua, considerando che le ragioni da lui spese rientravano nel novero di quelle poste a base di una opposizione all’esecuzione e non di una opposizione agli atti esecutivi. Inoltre, il debitore opponente lamentava l’omesso esame, da parte del giudice di primo grado, della domanda con la quale egli aveva chiesto anche la condanna del creditore alla restituzione di quanto percepito in forza del pignoramento presso l’ente previdenziale.
SOLUZIONE
La Suprema Corte conferma l’inammissibilità, nel caso di specie, dell’opposizione ex art. 615 c.p.c. ma, ritenendo fondata la doglianza sulla erronea qualificazione dell’azione da parte del giudice dell’opposizione, ai sensi del quarto comma dell’art. 384 c.p.c. corregge la motivazione della pronuncia di primo grado.
Ritiene infatti la Corte che, in base a consolidati principi, “la contestazione del diritto a procedere ad esecuzione forzata può essere svolta fintanto che tale diritto è minacciato o viene esercitato dal creditore, non già dopo che il processo esecutivo si è definitivamente concluso con l’assegnazione del credito pignorato (o, nell’esecuzione mobiliare e immobiliare e nell’espropriazione di cose presso terzi, con la distribuzione del ricavato della vendita)”.
Pertanto, e sempre conformemente a costante giurisprudenza, l’ordinanza di cui all’art. 553 c.p.c. “chiude il processo di espropriazione presso terzi, sicché il debitore non può più avvalersi dello strumento dell’opposizione all’esecuzione, perché questa è ormai esaurita”.
Tuttavia, aggiunge la Corte, ciò non determina la definitiva soggezione del debitore agli effetti di una ordinanza di assegnazione “che non trovi più il suo fondamento in un valido ed efficace titolo esecutivo (come nel caso prospettato dall’odierno ricorrente)”, perché il debitore potrà ottenere tutela mediante “una ordinaria azione di cognizione”, ma “non già per ottenere inammissibilmente (perché al di fuori del sistema delle opposizioni esecutive) la revoca o l’annullamento dell’ordinanza ex art. 553 cod. proc. civ., bensì per far accertare che, in ragione delle circostanze (modificative o estintive) sopravvenute alla conclusione del processo esecutivo, il terzo pignorato non è più tenuto ad effettuare pagamenti al creditore assegnatario del credito e, se del caso, per ottenere la restituzione delle somme già incassate”.
Dopo di che, la Corte accoglie allora l’altra doglianza del debitore, e cioè quella di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado sulla sua domanda, sempre svolta nell’ambito dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., di restituzione da parte del creditore di quanto incassato in forza dell’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c..
Ritiene infatti la Corte che il debitore opponente abbia comunque “esercitato proprio quell’azione ordinaria” indicata dalla stessa Corte, come visto poc’anzi, quale unico rimedio a disposizione del debitore una volta sfumata la possibilità di esercitare le opposizioni di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c., azione ordinaria proprio “tesa a far valere la circostanza sopravvenuta alla conclusione del processo esecutivo e a recuperare dai creditori assegnatari del credito gli importi medio tempore versati dal terzo pignorato”, con ciò rinviando al tribunale per la decisione su questa domanda.
QUESTIONI
La pronuncia della Suprema Corte è, rispetto al caso portato alla sua attenzione, aderente a principi ormai consolidati: una volta che il processo esecutivo si è chiuso – e la sua chiusura è determinata, nella forma del pignoramento presso terzi, con l’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. , le opposizioni ex art. 615 e 617 c.p.c. non hanno più il loro naturale “oggetto” che è, appunto, un processo esecutivo in corso.
E’ tuttavia necessaria una precisazione su un punto che, probabilmente in ragione degli amplissimi tempi nei quali si è dipanata la vicenda de qua (ordinanza ex art. 553 c.p.c. del 2012 e opposizione del 2016), è rimasto sottinteso nella pronuncia della Corte: il rimedio del giudizio ordinario presuppone che sia ormai anche decorso il termine per impugnare l’ordinanza ex art. 553 c.p.c.. Si deve infatti ricordare che questo provvedimento, che certo chiude il processo esecutivo, non gode però di un regime di inimpugnabilità: dopo un articolato dibattito giurisprudenziale e dottrinale, si può dire che questa ordinanza è impugnabile ai sensi dell’art. 617 c.p.c. (nel termine ivi previsto) se se ne fanno valere vizi propri o relativi ad atti esecutivi che l’hanno preceduta, oppure con l’appello (pure nel termine previsto dalla legge) qualora il suo contenuto, esulando da quello suo proprio, decida questioni che integrano l’oggetto tipico di un procedimento di cognizione (si veda sulla tema, ad esempio, Cass. 5489/2019).
Pertanto, il procedimento ordinario sarà l’unico rimedio a tutela del soggetto ingiustamente esecutato laddove siano anche decorsi i termini per impugnare ex art. 617 c.p.c. o con appello l’ordinanza di assegnazione dei crediti.
Così ricostruita la questione, la pronuncia è, come detto, lineare e coerente con il sistema.
Sullo sfondo rimangono tuttavia alcune questioni che meritano riflessione.
Si pensi, ad esempio, alle conseguenze del potere del giudice di riqualificazione delle azioni e in particolare, come nel caso in esame, delle opposizioni esecutive. Una tale riqualificazione, infatti, potrebbe essere operata, ad esempio, anche dal giudice dell’impugnazione, con decisivi riflessi sull’ammissibilità del rimedio impugnatorio scelto e che è diverso, per strumento e termini, per i provvedimenti che definiscono le due opposizioni (si veda, sul punto, Cass. 3404/2004).
Altro spunto di riflessione nasce in merito al procedimento disciplinato dall’art. 188 disp. att. c.p.c., procedimento speciale volto ad ottenere la declaratoria di inefficacia di un decreto ingiuntivo che non è mai stato notificato alla parte ingiunta ai sensi e per gli effetti dell’art. 644 c.p.c. (e che è stato proprio il rimedio vittoriosamente utilizzato nel caso valutato dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in commento). Da sempre questo procedimento viene descritto da dottrina e giurisprudenza siccome rapido e semplificato (esso dovrebbe constare, infatti, di una sola udienza volta a verificare se una valida notifica c’è stata o non c’è stata) ma, dovendo queste caratteristiche auspicate dal legislatore fare i conti con gli attuali tempi della giustizia, si può notare come in esso manchi la previsione della possibilità di chiedere ed ottenere un provvedimento, già all’atto di proposizione del ricorso e inaudita altera parte, di sospensione dell’efficacia esecutiva che il decreto ingiuntivo può aver ottenuto. Con ciò la parte pare privata, con il procedimento ex ary. 188 dip. att. c.p.c., della possibilità di ottenere in tempi rapidi un blocco all’attività esecutiva che nel frattempo potrebbe anche essersi avviata in suo danno. Tuttavia, deve rilevarsi che, in questa ipotesi, e cioè di procedura esecutiva pendente, l’esecutato potrà avvalersi dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., con l’istanza di sospensiva ivi prevista, essendo pacifica l’esperibilità di questo rimedio in alternativa al citato procedimento ex art. 188 disp. att. c.p.c. (così, ad esempio, Cass. 9050/2020).
Se invece, come nel caso del quale si è occupata la Corte nella sentenza in commento, l’esecuzione dovesse essersi già positivamente conclusa (sul presupposto che anche di essa il debitore non abbia avuto notizia), pare invece che la parte risulti sfornita di rimedi che, ad esempio, sospendano la perdurante esecuzione dell’ordinanza ex art. 553 c.p.c.. In tal caso, alla parte non resterà che intraprendere un’azione ordinaria con finalità restitutorie, come accaduto nel caso in oggetto, e attendere l’esito del giudizio per vedersi ristorata di quanto nel frattempo le è stato pignorato.
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