Inadempimento del preliminare che non fissa il termine per la stipula del contratto definitivo
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. II, 23 agosto 2019, n. 21647 – Pres. Manna – Rel. Gorjan
Parole chiave: Contratto preliminare – Mancata fissazione del termine per la stipula del contratto definitivo – Inadempimento – Necessità di ricorrere al giudice per la fissazione del termine di adempimento – Insussistenza
[1] Massima: Se il contratto preliminare non stabilisce il termine per la stipula del contratto definitivo, per accertare l’inadempimento di una parte non è sempre necessario chiedere al giudice di fissare il termine ai sensi dell’art. 1183, comma 2, c.c., dovendosi valutare se il tempo trascorso tra la conclusione del preliminare e la richiesta di adempimento è oggettivamente congruo in relazione al caso specifico.
Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1183, 1351, 1454, 2932.
CASO
Il promissario acquirente di un immobile conveniva in giudizio il promittente venditore per ottenere, ai sensi dell’art. 2932 c.c., il trasferimento in suo favore della proprietà dell’alloggio oggetto del preliminare rimasto inadempiuto, il quale prevedeva che il prezzo sarebbe stato versato dietro concessione di un mutuo bancario.
Il convenuto si difendeva addebitando al promissario acquirente il rifiuto di addivenire alla stipula (avendo egli lasciato cadere nel vuoto la diffida ad adempiere formalizzata dal promittente venditore) e chiedendo, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto preliminare e il risarcimento del danno.
Il Tribunale di Roma respingeva tutte le domanda, ma la corte di appello riformava la sentenza e pronunciava il trasferimento dell’immobile ex art. 2932 c.c. in favore del promissario acquirente, reputando inapplicabile l’art. 1454 c.c., dal momento che le parti non avevano stabilito un termine per l’adempimento, non era stato chiesto al giudice di fissare il termine ai sensi dell’art. 1183, comma 2, c.c. ed era da escludersi, sulla scorta di quanto previsto dal preliminare (e, in particolare, dalla clausola che stabiliva che il pagamento del prezzo sarebbe avvenuto dietro concessione di un finanziamento), che fosse stata concordata tra le parti la immediata esigibilità delle prestazioni.
Avverso la pronuncia di secondo grado, il promittente venditore proponeva ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo che il giudice di secondo grado avesse erroneamente applicato, nel caso di specie, la regola dettata dall’art. 1183, comma 2, c.c., anziché quella, prevista dal comma 1, in base alla quale, in assenza di pattuizione del termine per l’adempimento dell’obbligazione, quest’ultima è immediatamente esigibile.
QUESTIONI
[1] I giudici di legittimità hanno dato ragione al promittente venditore, affermando che il giudice di seconde cure è incorso in errore laddove ha ritenuto che, stabilendo il contratto preliminare che il corrispettivo della compravendita sarebbe stato pagato all’esito della concessione di un mutuo bancario, non fosse applicabile il comma 1 dell’art. 1183 c.c. (in virtù del quale “Se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente”), bensì la regola stabilita dal comma 2 (che prevede il ricorso al giudice per la fissazione del termine che non sia stato stabilito in contratto).
Sebbene il principio affermato dalla sentenza che si annota sia condivisibile, è opportuno svolgere alcune considerazioni per comprendere meglio i principi sottesi alla soluzione adottata.
Se, infatti, può convenirsi con l’assunto secondo il quale la fissazione di un termine per il versamento del corrispettivo della compravendita non vale necessariamente a individuare quello entro cui deve essere stipulato il contratto definitivo (essendo ben possibile che le parti, nella loro autonomia contrattuale, optino per il pagamento tanto anticipato quanto posticipato rispetto al rogito, anche se questa seconda ipotesi è piuttosto infrequente), il comma 1 dell’art. 1183 c.c. stabilisce, subito dopo avere affermato il principio dell’immediata esigibilità della prestazione per la cui esecuzione non è previsto un termine, che “Qualora tuttavia, in virtù degli usi o per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell’esecuzione, sia necessario un termine, questo, in mancanza di accordo delle parti, è stabilito dal giudice”.
Il secondo comma dell’art. 1183 c.c., invece, prevede che quando il termine è rimesso alla volontà di una parte, l’altra può adire il giudice perché lo fissi.
Allorché viene concluso un contratto preliminare, è giocoforza ritenere che i contraenti abbiano voluto differire a un momento cronologicamente diverso e successivo la stipula del definitivo, posto che, se così non fosse, avrebbero senz’altro concluso direttamente quest’ultimo (la giurisprudenza, infatti, ha chiarito che il contratto preliminare e il contratto definitivo si differenziano per il diverso contenuto della volontà dei contraenti, che è diretta, nel primo caso, a impegnare le parti a prestare in un momento successivo il loro consenso al trasferimento della proprietà e, nel secondo caso, ad attuare il trasferimento stesso senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà; si veda, per esempio, Cass. civ., sez. trib., 4 ottobre 2006, n. 21381). Pertanto, quando non sia previsto un termine, la regola dell’immediata esigibilità della prestazione deve essere applicata dopo avere interpretato il titolo nel suo complesso, al fine di escludere che possa essere più appropriato fare riferimento alla norma di cui al secondo periodo del comma 1 dell’art. 1183 c.c., quale conseguenza della struttura dell’operazione negoziale voluta e posta in essere dalle parti, ovvero della causa del contratto preliminare.
La dottrina ha individuato la ratio del principio di immediata esigibilità della prestazione nella finalità di non creare soluzioni di continuità tra i fatti giuridici e i loro effetti, per cui il differimento dell’esecuzione della prestazione rispetto al sorgere dell’obbligazione da cui deriva deve rappresentare un’eccezione che può essere voluta dalle parti o resa necessaria nelle ipotesi delineate dall’art. 1183 c.c.
D’altra parte, nella stessa giurisprudenza di legittimità si rinviene l’affermazione secondo cui il rigore del principio dell’immediata esigibilità della prestazione deve essere temperato in considerazione della possibilità di dedurre il termine dalla natura del rapporto, dagli usi, dal modo o dal luogo di esecuzione: sempre in tema di contratto preliminare, per esempio, Cass. civ., sez. II, 14 gennaio 2016, n. 465, ha censurato la statuizione dei giudici di appello che, riscontrando la mancata previsione di un termine per la stipula del rogito, l’avevano reputata esigibile in qualsiasi momento, giacché, ai sensi dell’art. 1183, comma 1, c.c., il creditore è legittimato a esigere immediatamente la prestazione salvo che in relazione agli usi, alla natura della prestazione ovvero al modo o al luogo dell’esecuzione e valutate tutte le circostanze del caso, appaia necessario individuare un termine, che, in mancanza di accordo delle parti, è fissato dal giudice.
Nel contempo, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la prestazione può esigersi immediatamente ai sensi dell’art. 1183 c.c., senza necessità che venga fissato un termine da parte del giudice e quand’anche il creditore non abbia proposto un’istanza diretta a tale scopo, laddove il ritardo nell’esecuzione appaia incompatibile con la volontà di adempiere, in ragione del decorso di un congruo e ragionevole lasso di tempo (Cass. civ., sez. VI, 11 settembre 2010, n. 19414; Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2009, n. 15796; Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2003, n. 1149).
Si possono, a questo punto, individuare due situazioni:
- il contratto non prevede un termine per l’esecuzione della prestazione di una parte, sicché l’altra la esige immediatamente (ossia in contestualità con la conclusione del contratto). In questo caso, si dovrà valutare se, nel caso specifico, un tanto possa reputarsi ammissibile, tenuto conto di quanto stabilito dal comma 1 dell’art. 1183 c.c. o se, al contrario, dovrà comunque individuarsi un termine da assegnare al debitore (per esempio, mentre non sorgono particolari problemi nel ravvisare l’immediata esigibilità del pagamento del prezzo della compravendita, vista la natura del rapporto e della prestazione, altrettanto non può dirsi per l’obbligo di stipulare il contratto definitivo scaturente dalla conclusione di un preliminare, per le ragioni già illustrate in precedenza);
- il contratto non prevede un termine per l’esecuzione della prestazione di una parte e l’altra, dopo un certo periodo di tempo, ne intima l’immediato (ossia contestuale alla richiesta) adempimento. In questo caso, l’attenzione si sposta sull’intervallo trascorso dalla conclusione del contratto fino all’intimazione, giacché se il debitore ha potuto fruire di un periodo congruo e ragionevole e salvo che ricorrano circostanze peculiari, non vi è motivo di escludere che egli possa – e debba – adempiere immediatamente (per cui, ritornando all’esempio di prima, non sarà tendenzialmente indispensabile ricorrere alla fissazione di un termine da parte del giudice non solo qualora venga chiesto il pagamento del prezzo, ma pure con riguardo alla prestazione del consenso necessario per la conclusione del contratto definitivo).
Un conto, infatti, è pretendere immediatamente la prestazione (perché la mancata fissazione del termine lo consente) subito dopo avere concluso il contratto; altro discorso è richiederne l’esecuzione pur sempre immediatamente (sempre perché consentito dalla mancanza di un termine individuato dalle parti), ma una volta decorso un certo periodo di tempo dalla nascita del rapporto obbligatorio.
Pertanto, in assenza di pattuito termine di adempimento della prestazione, per esigerla, in virtù della regola dettata dall’art. 1183, comma 1, c.c., non sono indispensabili né la diffida ad adempiere, né il ricorso al giudice, laddove quest’ultimo, chiamato a dirimere la controversia insorta tra le parti in conseguenza dell’inadempimento, possa apprezzare ex post la congruità o meno del tempo trascorso tra la pattuizione e la pretesa di adempimento rispetto ai parametri fattuali indicati dal medesimo art. 1183 c.c.
Nel caso di specie, peraltro, la corte di appello aveva considerato la pattuizione che prevedeva il pagamento del prezzo mediante accensione di un mutuo, per escludere l’immediata esigibilità della prestazione; fermo restando che nella sentenza non viene riportato l’esatto contenuto della clausola (sicché non è dato sapere in che termini la stessa si inseriva nel complessivo regolamento negoziale), vi sono quantomeno due ragioni per escludere una soluzione diversa da quella patrocinata dalla Corte di cassazione:
- la prestazione rilevante ai fini dell’azione ex 2932 c.c. proposta dal promittente venditore non è il pagamento del prezzo (che costituisce semmai adempimento dell’obbligazione scaturente dalla conclusione del contratto definitivo), ma la prestazione del consenso necessario per la stipula di quest’ultimo. Di conseguenza, a ben vedere, l’eventuale attribuzione al promissario acquirente della facoltà di determinare il termine di adempimento della prima non esplica, di per sé, alcun effetto sull’individuazione di quello entro cui deve essere eseguita la seconda;
- in ogni caso, una volta decorso un congruo e ragionevole lasso di tempo dalla conclusione del preliminare, l’azione ex 2932 c.c. è immediatamente e direttamente proponibile anche se la fissazione del termine per la stipula del contratto definitivo sia rimessa all’iniziativa di una parte e si ricada, quindi, nell’ipotesi considerata dal comma 2 dell’art. 1183 c.c. (Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2011, n. 1904; Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 2001, n. 15587).
Anziché ritenere pregiudiziale e necessaria la fissazione di un termine di adempimento (motivo per cui, in assenza di preventiva e apposita istanza, era stata reputata priva di effetti, ai sensi dell’art. 1454 c.c., la diffida alla stipula formalizzata dal promittente venditore e conseguentemente emessa la pronuncia di cui all’art. 2932 c.c.), il giudice di seconde cure avrebbe quindi dovuto valutare se, tra la data della conclusione del contratto preliminare e quella della diffida, era intercorso un congruo lasso di tempo: laddove, infatti, un tanto fosse stato riscontrato, non vi sarebbe stata ragione di escludere la piena operatività della regola dell’immediata esigibilità della prestazione e, così, accogliere la richiesta di declaratoria di risoluzione del contratto preliminare svolta dal promittente venditore.
La necessità di operare tale valutazione ha indotto la Corte di cassazione ad accogliere il ricorso, a cassare la sentenza impugnata e a rimettere il giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia