Impugnazione della pronuncia di cessazione della materia del contendere e della condanna alle spese
di Giulia Ricci Scarica in PDFCass., sez. VI, 25 gennaio 2018, ord. n. 1851, Pres. Manna, Rel. Scarpa
Impugnazioni – Impugnazione parziale – Cessazione della materia del contendere – Presupposti – Giudicato interno.
(Cod. proc. civ., art. 329)
[1] L’impugnazione della pronuncia di cessazione della materia del contendere richiede l’espressa censura del suo presupposto, rappresentato dalla carenza di interesse alla decisione di merito. In mancanza, poiché la dichiarazione della cessazione della materia del contendere ha carattere preliminare, il suo passaggio in giudicato ex art. 329, comma 2 c.p.c. preclude l’impugnazione delle altre parti della medesima sentenza.
Impugnazioni – Ricorso in cassazione – Cessazione della materia del contendere – Condanna alle spese – Soccombenza virtuale – Ammissibilità.
(Cod. proc. civ., artt. 91, 360)
[2] La condanna alle spese processuali contenuta nella sentenza che ha pronunciato la cessazione della materia del contendere è ricorribile in cassazione soltanto per motivi inerenti la violazione del criterio della soccombenza virtuale o per l’illogicità della motivazione.
CASO
[1-2] Un ex amministratore di condominio notificava decreto ingiuntivo al condominio per il pagamento di un credito a titolo di rimborso di spese anticipate nell’interesse di quest’ultimo. Dopo la notificazione del decreto ingiuntivo, il condominio pagava la somma e proponeva opposizione, con cui eccepiva la natura parziaria dell’obbligazione dei condomini; il Tribunale accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo. La sentenza veniva impugnata in appello, ove il giudice di secondo grado accertava l’avvenuto pagamento e pronunciava la cessazione della materia del contendere; quanto alle spese, la Corte d’appello riteneva fondata la pretesa del ricorrente e condannava il condominio al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio. Avverso tale sentenza il condominio ricorreva in cassazione, contestando nel merito la statuizione inerente l’unitarietà del credito e la decisione sulle spese.
SOLUZIONE
[1-2] Il ricorso è stato rigettato, in quanto la pronuncia della cessazione della materia del contendere, non essendo stata oggetto di specifica impugnazione, è passata in giudicato ex art. 329, comma 2, c.p.c., con conseguente preclusione dell’impugnazione di altre parti della sentenza; la decisione sulle spese è stata confermata in quanto conforme al principio della soccombenza virtuale.
QUESTIONE
[1] L’ordinanza in epigrafe muove dal rilievo del passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione, basata sull’accertamento del pagamento del credito ingiunto successivamente alla notificazione del decreto ingiuntivo (contra, nel senso che il presupposto della cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione ricorre quando le parti concordino sull’effetto estintivo del pagamento eseguito dal debitore ingiunto, v. Cass., 22 maggio 2008, n. 13085; Cass., 13 giugno 1997, n. 5336; sull’istituto della c.m.c., v. Scala, La cessazione della materia del contendere nel processo civile, Torino, 2001, pp. 184 ss.; sulla distinzione tra adempimento volontario e adempimento conflittuale al decreto ingiuntivo avverso il quale sia stata proposta opposizione, v. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, Milano, 2012, pp. 158 ss.; Maruffi, L’adempimento dell’obbligo azionato in sede monitoria, in Riv. dir. proc., 2016, pp. 1161).
La formazione del giudicato interno ex art. 329, comma 2, c.p.c. sulla pronuncia di cessazione della materia del contendere presuppone l’interpretazione secondo cui tale statuizione è autonoma e preliminare rispetto alle altre parti della sentenza, in quanto accerta il venir meno del potere decisorio del giudice per carenza di interesse delle parti ad ottenere una pronuncia nel merito (cfr. Cass., sez. un., 28 settembre 2000, n. 1048). Per tale motivo i giudici di legittimità hanno affermato che la dichiarazione di cessazione della materia del contendere dev’essere specificamente contestata in relazione alla sussistenza del suo presupposto (in tal senso v. anche Cass., 13 luglio 2016, n. 14341; Cass., 28 maggio 2012, n. 8448), mentre non è sufficiente ad impedire la formazione del giudicato l’impugnazione con cui la parte censuri esclusivamente la violazione di norme inerenti il merito della controversia.
[2] La peculiare struttura del giudizio di legittimità comporta che la decisione sulle spese nella pronuncia di cessazione della materia del contendere può essere censurata tramite ricorso in cassazione soltanto sotto i profili dell’illogicità della motivazione o della violazione del criterio di soccombenza virtuale (Cass., 14 luglio 2003, n. 10998; Cass., 27 settembre 2002, n. 14023).
È consolidato l’orientamento della giurisprudenza secondo cui nella pronuncia di cessazione della materia del contendere la decisione sulle spese processuali a) deve riguardare l’intero giudizio, senza distinzione tra le fasi monitoria e di opposizione (v. Cass., 13 giugno 1997), e b) deve rispettare il criterio della soccombenza virtuale, secondo cui il giudice deve valutare quale sarebbe stata la parte soccombente se non fosse sopravvenuto il fatto che ha determinato la carenza di interesse (v. ex multis Cass., 11 febbraio 2015, n. 2719; Cass. 21 giugno 2004 n. 11494, che ha tuttavia ammesso ragioni di totale o parziale compensazione; in dottrina, Scala, La cessazione, cit., pp. 287 ss.; contra, a favore del principio di causalità nella decisione sulle spese, v. Cass., 30 maggio 2000, n. 7182; Garbagnati, Cessazione della materia del contendere e giudizio di Cassazione, in Riv. dir. proc., 1982, 614 ss.).