Impugnazione dei piani di riparto (parziali e finale) nella liquidazione coatta amministrativa d’imprese assicurative: profili critici
di Luca Andretto, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. I, 25 luglio 2024, n. 20862 – Pres. Cristiano – Rel. Pazzi
Parole chiave
Liquidazione coatta amministrativa – Imprese di assicurazione e riassicurazione – Ripartizione dell’attivo – Riparti parziali – Impugnazione – Riparto finale – Analogia – Opposizione allo stato passivo – Composizione del tribunale – Collegiale – Inosservanza – Nullità
Massima: “In tema di liquidazione coatta amministrativa, i riparti parziali sono impugnabili facendo applicazione analogica della procedura prevista per il riparto finale, secondo le modalità previste dall’art. 213, comma 3, LF, mentre nella liquidazione coatta amministrativa delle assicurazioni i riparti parziali sono impugnabili secondo le modalità previste dagli artt. 98 e 99 LF., in ragione del combinato disposto degli artt. 261, comma 3, e 254, comma 2, D.Lgs. n. 209/2005″. (massima ufficiale)
Riferimenti normativi
Codice di Procedura Civile, artt. 50 bis, 50 quater, 161; Legge Fallimentare, artt. 26, 98, 99, 113, 212, 213; D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, artt. 245, 254, 260, 261.
CASO
Nel contesto della liquidazione coatta amministrativa di un’impresa assicurativa, disciplinata dalla normativa speciale contenuta negli artt. 245 ss., D.Lgs. n. 209/2005, un creditore propone reclamo al piano di riparto parziale depositato dal commissario liquidatore. Il Tribunale di Roma si pronuncia sul reclamo in composizione monocratica, accogliendolo parzialmente. L’organo commissariale interpone ricorso per cassazione, censurando l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione del tribunale e lamentando la conseguente nullità del provvedimento impugnato ai sensi degli artt. 50 bis ss. CPC.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione accoglie il motivo di ricorso.
Nella parte iniziale della sentenza, trova posto un’articolata argomentazione sull’impugnabilità dei riparti parziali nella liquidazione coatta amministrativa. Nel corso della procedura, tanto la norma generale di cui all’art. 212 LF (oggi art. 312 CCII), quanto quella speciale di cui all’art. 260, D.Lgs. n. 209/2005, consentono al commissario liquidatore sia di distribuire acconti ai creditori, sia di eseguire riparti parziali, senza però regolamentarne il regime impugnatorio. Con riguardo al riparto finale, invece, i successivi artt. 213, comma 3, LF (oggi art. 313, comma 3, CCII) e 261, comma 3, D.Lgs. n. 209/2005, consentono espressamente agli interessati di proporre le loro contestazioni mediante ricorso al tribunale. La Corte muove dalla tradizionale distinzione tra acconti e riparti parziali, configurando i primi come erogazioni provvisorie e revocabili, i secondi come attribuzioni definitive ed irretrattabili, al pari di quelle oggetto del riparto finale (viene in proposito richiamata Corte Cost., 14 aprile 2006, n. 154, in www.giurcost.org; cfr. altresì Trib. Milano, 20 luglio 2006, in Fallimento, 2007, 220; Trib. Roma, 22 aprile 1986, in Fallimento, 1987, 68). Ne viene tratta la conclusione che, in assenza di una disciplina puntuale, l’impugnazione dei riparti parziali debba seguire in via analogica il modulo procedimentale previsto per l’impugnazione del riparto finale, del quale essi condividono la natura.
Il nucleo centrale della sentenza – che trova riflesso nella sua massima – è dedicato all’individuazione del modulo procedimentale applicabile al caso di specie. La norma generale di cui all’art. 213, comma 3, LF (oggi art. 313, comma 3, CCII) dichiara applicabili, nei limiti della compatibilità, le disposizioni dettate dall’art. 26 LF (oggi art. 124 CCII) in ordine ai reclami contro i decreti del giudice delegato, su cui il tribunale decide in sede camerale e in composizione collegiale (cfr. artt. 50 bis, comma 2, CPC e 26, comma 13, LF, oggi art. 124, comma 12, CCII). La norma speciale di cui all’art. 261, comma 3, D.Lgs. n. 209/2005, invece, dichiara applicabile il precedente art. 254 in tema di opposizione allo stato passivo, il cui comma 2, a sua volta, rimanda alla disciplina dettata per il fallimento dagli artt. 98 e 99 LF (oggi per la liquidazione giudiziale dagli artt. 206 e 207 CCII). Ne viene tratta la conclusione che, nella liquidazione coatta amministrativa d’imprese assicurative, l’impugnazione dei piani di riparto (parziali e finale) non segue il modulo procedimentale del reclamo in sede camerale, come nella generalità delle procedure di liquidazione coatta amministrativa, bensì – singolarmente – il modulo procedimentale dell’opposizione allo stato passivo.
Nella parte finale della sentenza, per un verso, la Corte dichiara ammissibile il ricorso per cassazione in quanto rimedio esperibile, ai sensi dell’art. 99, comma 12, LF (oggi art. 207, comma 14, CCII), avverso le decisioni del tribunale sulle opposizioni allo stato passivo. Per altro verso, posto che sulle opposizioni allo stato passivo il tribunale è tenuto a decidere in composizione collegiale (cfr. artt. 50 bis, comma 1, n. 2, CPC e 99, comma 11 LF, oggi art. 207, comma 13, CCII), la Corte ritiene che altrettanto debba valere, nella liquidazione coatta amministrativa d’imprese assicurative, per la decisione sulle impugnazioni dei piani di riparto. Ravvisa, perciò, ai sensi degli artt. 50 quater e 161, comma 1, CPC, la nullità del provvedimento impugnato per inosservanza delle disposizioni sulla composizione del giudice e, in accoglimento del motivo di ricorso, dispone il rinvio della causa al Tribunale di Roma in composizione collegiale.
QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA
Dalla sentenza emerge, in sintesi, che l’impugnazione dei piani di riparto (parziali e finale):
- nella generalità delle procedure di liquidazione coatta amministrativa segue la forma del reclamo in sede camerale regolato dall’art. 26 LF (oggi art. 124 CCII);
- nella procedura di liquidazione coatta amministrativa d’imprese assicurative, invece, segue la forma dell’opposizione allo stato passivo regolata dagli artt. 98 e 99 LF (oggi artt. 206 e 207 CCII).
La differenza tra i due moduli procedimentali non attiene al giudice competente, che è sempre il tribunale, né alla sua composizione, che è in ambo i casi collegiale. La differenza attiene, piuttosto, al regime impugnatorio della decisione resa dal tribunale.
La Corte di Cassazione ha altrove chiarito che, “nella disciplina concorsuale, l’unico grado di merito a cognizione piena risulta da configurazioni normative espresse, com’è ad esempio per le impugnazioni avverso le pronunce assunte dal tribunale in punto di accertamento dello stato passivo, vigendo per la generalità delle altre statuizioni interne il doppio parallelo regime della riesaminabilità, rispettivamente, da parte del tribunale ovvero della corte d’appello” (Cass. civ., sez. I, 20 giugno 2022, n. 19889, ord., in www.dirittodellacrisi.it; Cass. civ., sez. I, 24 luglio 2017, n. 18226, ord., in Fallimento, 2017, 1140). Anche nella generalità delle procedure di liquidazione coatta amministrativa, pertanto, la decisione resa dal tribunale a seguito di contestazioni ai piani di riparto può essere impugnata esclusivamente mediante reclamo alla corte d’appello, restando esclusa l’esperibilità immediata del ricorso per cassazione (cfr. Cass. civ., sez. I, 20 settembre 2012, n. 15949, in www.ilcaso.it).
Il rimedio impugnatorio esperibile contro la decisione resa dal tribunale a seguito di opposizione allo stato passivo fallimentare, invece, per espressa previsione normativa (cfr. art. 99, comma 12 LF, oggi art. 207, comma 14, CCII), è il ricorso per cassazione. Nel caso in esame, perciò, la Corte ritiene ammissibile il ricorso per cassazione con cui è stata immediatamente impugnata la decisione del Tribunale di Roma sulla contestazione al piano di riparto nell’ambito della liquidazione coatta amministrativa di un’impresa assicurativa. A tal fine, non viene neppure presa in considerazione la norma speciale di cui all’art. 255, D.Lgs. n. 209/2005, secondo la quale, nella liquidazione coatta amministrativa d’imprese assicurative, “Contro la sentenza del tribunale che decide sulle cause di opposizione [allo stato passivo] può essere proposto appello”. A ben vedere, la più recente giurisprudenza di legittimità si era chiaramente espressa nel senso dell’abrogazione tacita di quest’ultima norma (cfr. Cass. civ., sez. I, 11 giugno 2021, n. 16549, in www.dirittodellacrisi.it; Cass. civ., sez. I, 5 agosto 2021, n. 22836, ord., in sentenze.laleggepertutti.it; Cass. civ., sez. I, 23 novembre 2021, n. 36545, ord., in sentenze.laleggepertutti.it; Cass. civ., sez. I, 3 febbraio 2022, n. 3471, in www.ilcaso.it).
Secondo questa giurisprudenza, l’abrogazione tacita dell’art. 255, D.Lgs. n. 209/2005, sarebbe stata determinata dall’art. 194, comma 2, LF (privo di corrispondenza nel CCII): disposizione che, onde assicurare un nucleo di uniformità delle diverse discipline speciali regolatrici della liquidazione coatta amministrativa, stabiliva l’abrogazione delle norme incompatibili con la disciplina generale in tema (inter alia) di formazione dello stato passivo e di chiusura della procedura. Secondo l’innovativa lettura datane dalle pronunce più recenti, quest’articolo avrebbe determinato non solo, all’epoca della sua entrata in vigore, l’abrogazione espressa delle previgenti norme speciali incompatibili, ma altresì, nel corso del tempo, l’abrogazione tacita delle norme speciali sopravvenute, ogni qualvolta quelle stesse norme generali sono state sottoposte a revisione. In particolare, con la riforma degli artt. 98, 99 e 209 LF attuata dal D.Lgs. n. 5/2006 e dal D.Lgs. n. 169/2007, dovrebbero ritenersi “necessariamente abrogate tutte le previsioni delle leggi speciali non compatibili col procedimento di formazione dello stato passivo così unitariamente definito nelle linee essenziali”, tra cui l’art. 255, D.Lgs. n. 209/2005 (entrato in vigore il 1° gennaio 2006), col suo ormai anacronistico riferimento all’appello (cfr. Cass. civ., sez. I, 11 giugno 2021, n. 16549, cit.).
Il profilo critico è dato dal fatto che, per coerenza sistematica, dovrebbe ritenersi allo stesso modo tacitamente abrogato l’art. 261, comma 3, D.Lgs. n. 209/2005 (entrato in vigore il 1° gennaio 2006), nella parte in cui, rinviando al precedente art. 254, stabilisce che nella liquidazione coatta amministrativa d’imprese assicurative le contestazioni al piano di riparto finale – e, quindi, anche quelle ai piani di riparto parziali – seguano la forma dell’opposizione allo stato passivo regolata dagli artt. 98 e 99 LF (oggi artt. 206 e 207 CCII), anziché quella del reclamo in sede camerale regolato dall’art. 26 LF (oggi art. 124 CCII). In particolare, tale abrogazione tacita dovrebbe ritenersi parimenti determinata dall’art. 194, comma 2, LF, per effetto della riforma degli artt. 26 e 213 LF attuata dagli stessi D.Lgs. n. 5/2006 e D.Lgs. n. 169/2007.
Ove si condivida questa lettura, la conclusione necessitata sarebbe che, pure nel contesto della liquidazione coatta amministrativa d’imprese assicurative, il modulo procedimentale applicabile alle impugnazioni dei piani di riparto (parziali e finale) sia quello del reclamo in sede camerale regolato dall’art. 26 LF, sicché la decisione del tribunale potrebbe essere a sua volta impugnata esclusivamente mediante reclamo alla corte d’appello, restando esclusa l’esperibilità immediata del ricorso per cassazione. Nel caso di specie, pertanto, pur essendo astrattamente fondata la censura di nullità della decisione assunta dal Tribunale di Roma in composizione monocratica anziché collegiale, essa avrebbe dovuto costituire oggetto di reclamo alla Corte d’Appello di Roma, mentre la Corte di Cassazione avrebbe, per coerenza, dovuto dichiarare l’inammissibilità del ricorso irritualmente radicato davanti ad essa.
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