11 Febbraio 2025

Impossibilità, per la transazione intervenuta successivamente e senza specifica pattuizione sul punto, di porre nel nulla il precedente accordo intervenuto tra soci e contenente il riconoscimento di un beneficio economico a favore di uno degli stessi

di Ilaria Tironi, Dottoressa in legge Scarica in PDF

Sent., Trib. Milano, sez. quindicesima – Tribunale delle imprese – specializzata Impresa “B” Civile, 30 maggio 2024, n. 6361.

Parole chiave: Cessione del capitale sociale – accordi tra soci – beneficio a favore dell’ex socio – interpretazione del contratto – criterio letterale – volontà delle parti – principio di buona fede.

Massime: “L’accordo che prevede il riconoscimento di un beneficio economico a favore di un ex socio, con la finalità di remunerare l’ex socio per il contributo da lui apportato alla crescita del valore aziendale, deve essere interpretato alla luce del principio di buona fede e dei criteri improntati al rispetto del senso letterale del testo e alla corretta ricostruzione della volontà delle parti, con il risultato che, la transazione generale conclusa successivamente all’accordo tra le parti non estingue il beneficio previsto dallo stesso, se non espressamente menzionato

Nel contesto di un’operazione di cessione del capitale sociale, a fronte di un accordo che prevede il riconoscimento di un beneficio economico avente ad oggetto una percentuale del valore di una quota a favore di  un ex socio, con lo scopo di remunerarlo per il contributo da lui apportato alla crescita del valore aziendale,  la quantificazione di tale beneficio deve avvenire prendendo a riferimento il valore della quota alla data di conclusione dell’operazione, in quanto la stessa integra il momento in cui il valore della quota riflette anche il contributo apportato dal socio, non potendo essere invece considerato il valore della stessa in un momento successivo”.

CASO

La vicenda oggetto della pronuncia si colloca nel contesto di un’operazione di cessione dell’intero capitale sociale di una società holding di partecipazioni in società attive nell’industria della moda e brand portfolio company (cioè, costituita con lo scopo di acquisire, in proprietà od in licenza, marchi della moda da promuovere e sviluppare) e dell’accordo, disciplinato dai soci della stessa, al fine di disciplinare i rapporti tra loro in vista dell’operazione di cessione.

Tale accordo, tra le altre cose, conteneva anche una clausola relativa alla quota del 50% detenuta da un socio e relativa ad un marchio che, essendo stato gestito nell’ambito della holding oggetto dell’operazione, era andato incontro ad una grande crescita in termini di valore.

Tale clausola, avente la finalità di riconoscere agli altri soci il contributo ad essi spettante a seguito della proficua gestione del marchio, prevedeva due scenari alternativi: (a) la quota poteva rientrare anch’essa nell’operazione, previa cessione da parte del socio alla holding;  in questo caso, il corrispettivo della cessione avrebbe ricompreso anche il valore della quota in oggetto, il quale sarebbe così stato ripartito tra i soci; oppure (b) la quota sarebbe rimasta esclusa dal perimetro dell’operazione,  con l’obbligo, però, per il socio che la deteneva, di assegnare il 46,5% della quota all’altro socio ovvero, qualora tale soluzione non fosse stata percorribile, di riconoscergli nella stessa percentuale il beneficio economico che lo stesso avrebbe ottenuto dalla cessione della quota, al netto degli oneri fiscali e dei costi sostenuti da quest’ultimo.

L’accordo tra i soci prevedeva, inoltre, che gli stessi, alla conclusione dell’operazione, si obbligassero a rinunciare a tutte le reciproche contestazioni relative alla gestione della holding, mediante la sottoscrizione di un accordo transattivo.

 Al momento di conclusione dell’operazione, quindi, la stessa si perfeziona senza che vi rientri la quota oggetto dell’accordo e, successivamente, i soci sottoscrivono la transazione di cui sopra.

Successivamente, il socio proprietario della quota cede il 30% della stessa alla società acquirente dell’operazione (di cui è diventato amministratore unico), con la conseguenza che, a questo punto, l’altro socio agisce per ottenere il 46% del beneficio ottenuto dal primo a seguito della cessione del 30% della quota. L’altro socio, convenuto in giudizio, eccepisce allora il superamento di quanto stabilito nell’accordo concluso con l’attore per via dell’intervenuta transazione tra le parti.

SOLUZIONE

Il Tribunale di Milano, incaricato di dirimere la controversia, stabilisce che l’accordo concluso tra le parti non può essere interpretato nel senso di ritenere che la stipulazione della transazione da esso prevista sia in grado di travolgerne  gli altri effetti, dal momento che tale interpretazione  sarebbe contraria alla lettera delle clausole contrattuali e alla stessa volontà delle parti, intesa a raggiungere un accordo in grado di remunerare tutti i soci per il loro contributo relativo alla gestione del brand.

Lo stesso Tribunale, però, pur riconoscendo il diritto dell’attrice a vedersi corrisposto il pagamento del 46% del beneficio che la convenuta ha ottenuto dalla cessione della quota, riconosce che, ai fini della quantificazione della somma dovuta alla stessa dalla convenuta, non è possibile riferirsi al prezzo di vendita della quota. Bisogna considerare, infatti, che il marchio, negli anni intercorsi tra l’operazione e  la cessione della quota, era andato incontro ad un ulteriore incremento del proprio valore, con la conseguenza che, qualora si fosse riconosciuto all’attrice la percentuale secca del prezzo, la stessa si sarebbe avvantaggiata , a costo zero, di tutti gli investimenti, i costi, gli oneri e quant’altro la società convenuta avesse  sostenuto in relazione al marchio successivamente al closing dell’operazione. Conseguentemente, Il Tribunale ha ritenuto che la somma da corrispondere all’attrice andasse calcolata sulla base del valore della quota alla data di conclusione dell’operazione.

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