Impignorabilità di stipendi e pensioni: le novità del D.L. 83/2015
di Viviana Battaglia Scarica in PDFIl d.l. 27 giugno 2015, n. 83, recante “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”, convertito con modifiche in legge 6 agosto 2015, n. 132, ha riformato gli artt. 545 e 546 c.p.c., introducendo significative novità in tema di pignoramento di stipendi e pensioni. Recependo le indicazioni della giurisprudenza anche costituzionale, il legislatore è intervenuto essenzialmente su due fronti: il primo concerne la determinazione della quota di pensione assolutamente impignorabile; il secondo riguarda il pignoramento dei conti correnti su cui confluiscano emolumenti retributivi e pensionistici.
Volte a garantire il c.d. minimo vitale al debitore, le novità sono certamente apprezzabili ma sollevano nuovi problemi applicativi.
1. La quota mensile di pensione assolutamente impignorabile.
L’art. 13, lett. l) del d.l. n. 83/2015 ha novellato l’art. 545 c.p.c., rubricato “Crediti impignorabili”, aggiungendo tre nuovi commi (7°, 8° e 9°).
Il primo dispone che “Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge.
Viene così risolto un problema postosi da tempo all’attenzione della giurisprudenza, vale a dire la determinazione del c.d. minimum vitale impignorabile a garanzia del pensionato.
Al riguardo giova rammentare che la Corte costituzionale, con sentenza n. 506/2002, invitava il legislatore a “individuare in concreto l’ammontare della (parte di) pensione idoneo ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del pensionato, come tale legittimamente assoggettato al regime di assoluta impignorabilità”. Per più di dieci anni, però, l’invito rimaneva disatteso, con la conseguenza che era il Giudice dell’esecuzione a determinare di volta in volta, con valutazione insindacabile in sede di legittimità (sempre che la stessa fosse adeguatamente motivata: v., da ultimo, Cass. 18 novembre 2014, n. 24536), la quota di pensione assolutamente impignorabile.
Il 7° comma dell’art. 545 c.p.c. individua una volte per tutte la quota in discorso, ragguagliandola alla “misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà”.
Precisiamo che l’assegno sociale (istituito con l’art. 3, c. 6, l. n. 335/1995) viene quantificato annualmente con circolare dell’INPS e che per il 2015 la misura mensile dello stesso è di € 448,51. Per l’anno in corso, dunque, ai sensi dell’art. 545, 7° co, c.p.c., la quota mensile della pensione assolutamente impignorabile è pari ad € 672,77, mentre la restante parte potrà essere pignorata nei limiti di cui allo stesso art. 545, ai commi 3°, 4° e 5° (e cioè ordinariamente nella misura di un quinto o fino alla metà qualora si agisca per crediti alimentari o concorrano diverse cause di credito).
La nuova disposizione appare molto opportuna, determinando in modo chiaro la parte di reddito pensionistico non assoggettabile a pignoramento ed estendendo il limite a tutte le pensioni o indennità equipollenti.
2. I limiti al pignoramento di stipendi e pensioni accreditati su conto corrente
Fortemente innovativa la previsione di cui al nuovo comma 8° dell’art. 545 c.p.c., ai sensi del quale “Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge.
Il legislatore ha così introdotto un regime di impignorabilità anche con riguardo alle giacenze presenti sui conti correnti nei quali confluiscano stipendi e pensioni.
Nel sistema previgente tali giacenze potevano essere pignorate per intero, prevalendo l’orientamento secondo cui le somme provenienti da crediti di lavoro e trattamenti pensionistici, una volta percepite dal debitore ed affluite nel conto corrente di quest’ultimo, perdono la loro originaria qualificazione, confondendosi nella massa di liquidità che costituisce il patrimonio dell’obbligato, e sono perciò interamente aggredibili dai creditori (cfr., ex multis, Cass. 4 ottobre 2010, n. 2946 e Cass. 9 ottobre 2012, n. 17178). A ciò aggiungasi che, in virtù del d.l. n. 201/2011 (“Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”), come convertito dalla l. n. 214/2011, stipendi e pensioni di importo superiore a mille euro mensili devono essere necessariamente erogati mediante accredito su conti correnti bancari o postali.
Il risultato ultimo era che i limiti alla pignorabilità di stipendi e pensioni operavano solo se il creditore avesse eseguito il pignoramento direttamente alla fonte, cioè presso il datore di lavoro del debitore o l’ente previdenziale; possibilità, questa, circoscritta alle ipotesi di emolumenti inferiori a mille euro mensili. Viceversa, in tutti gli altri casi (accredito obbligatorio su conto corrente), detti limiti non trovavano applicazione, con evidente ed irragionevole disparità di trattamento (cui, per la verità, parte della giurisprudenza di merito aveva tentato di rimediare: cfr. Trib. di Sulmona 20 marzo 2013; Trib. di Savona 2 gennaio 2014 e Trib. di Civitavecchia 11 marzo 2015, per i quali permane la natura privilegiata del rateo pensionistico, anche quando la relativa somma venga depositata su un conto corrente o libretto bancario, purché la natura del credito sia immediatamente riconoscibile per denominazione e importo e all’attivo non vi siano voci diverse dall’accredito della pensione o prelievi subito dopo il deposito della somma).
Com’era prevedibile, la quaestio è approdata alla Corte costituzionale, la quale, con la recente sentenza 15 maggio 2015, n. 85, ha affermando che “se il credito per il saldo del conto corrente, nonostante sia stato alimentato da rimesse pensionistiche, non gode, allo stato della legislazione, della impignorabilità parziale relativa ai crediti da pensioni, ciò non può precludere in radice la tutela dei principali bisogni collegati alle esigenze di vita del soggetto pignorato” e che “in tale contesto, la individuazione e le modalità di salvaguardia della parte di pensione necessaria ad assicurare al beneficiario mezzi adeguati alle sue esigenze di vita è riservata alla discrezionalità del Legislatore, il quale non può sottrarsi al compito di razionalizzare il vigente quadro normativo in coerenza con i precetti dell’art. 38 Cost.”.
L’invito della Consulta è stato raccolto dal legislatore che, con il nuovo comma 8 dell’art. 545, ha previsto espressamente dei limiti al pignoramento dei conti correnti su cui confluiscano trattamenti retributivi e pensionistici, distinguendo due ipotesi:
a) se l’accredito è anteriore al pignoramento, vige un regime di impignorabilità assoluta per un importo pari a tre volte l’assegno sociale;
b) se, invece, l’accredito è coevo o successivo al pignoramento, stipendi e pensioni sono pignorabili nei limiti di cui ai precedenti commi 3°, 4°, 5° e 7°.
Con quest’ultima previsione, peraltro, è stato chiarito un importante dato – invero già acquisito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., ex multis, Cass. 10 settembre 2009, n. 19501) – e cioè che il credito può essere pignorato anche se non ancora sorto al momento della notifica dell’atto ex art. 543 c.p.c., ben potendo venire in essere al momento in cui il terzo renda la propria dichiarazione, ovvero nel successivo momento in cui venga accertato il suo obbligo.
A completamento della riferita disciplina, l’art. 13, lett. m) del d.l. n. 83/2015 ha aggiunto all’art. 546, 1° co, c.p.c. il seguente periodo: “nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore di somme a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, gli obblighi del terzo pignorato non operano, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento, per un importo pari al triplo dell’assegno sociale; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, gli obblighi del terzo pignorato operano nei limiti previsti dall’articolo 545 e dalle speciali disposizioni di legge”.
In buona sostanza, il terzo non dovrà vincolare le somme quando, all’atto del pignoramento, nel conto corrente del debitore escusso si rinvenga un saldo attivo pari o inferiore al triplo dell’assegno sociale, mentre per gli accrediti coevi o posteriori alla notifica del pignoramento il terzo dovrà vincolare le rimesse retributive o pensionistiche nei limiti di legge.
Ricordiamo infine che, ai sensi del nuovo art. 545, 9° co, c.p.c., “Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio”. Ciò significa che, qualora vengano pignorate somme eccedenti i limiti previsti dall’art. 545 c.p.c., il debitore non dovrà proporre l’opposizione all’esecuzione per far valere l’impignorabilità, ben potendo eccepirla informalmente davanti al giudice dell’esecuzione ove questi ometta di rilevarla d’ufficio.
3. Questioni
Come già anticipato, le norme di nuova introduzione sono certamente apprezzabili perché volte a garantire a lavoratori e pensionati il c.d. minimo vitale. Tuttavia esse pongono alcuni problemi teorico-pratici di non agevole soluzione.
Il riferimento corre, in particolare, al nuovo regime di impignorabilità dei conti correnti su cui vengano accreditati trattamenti retributivi e pensionistici.
Anzitutto, dal tenore delle relative disposizioni (art. 545, 8° co, e 546, 1° co) sembra che il regime in parola trovi applicazione per tutti i conti correnti dove confluiscano stipendi e pensioni, indipendentemente dal fatto che su questi transitino anche redditi di diversa natura.
In questi casi, nonostante la natura del credito sia agevolmente riconoscibile per denominazione e importo (soccorrendo all’uopo gli estratti conto), con l’accreditamento delle somme si determina confusione con il patrimonio del debitore, essendo il denaro bene fungibile per eccellenza.
Stando così le cose, ove il debitore effettui prelievi, bonifici o altre movimentazioni subito dopo l’accredito, come può il terzo pignorato individuare la quota di stipendio o pensione da sottoporre a vincolo di indisponibilità? È facile ipotizzare che qualunque valutazione in tal senso sarà oggetto di contestazioni da parte del debitore escusso, che lamenterà il mancato rispetto dei limiti di pignorabilità di cui all’art. 545 c.p.c.
Si tratta di problemi, che solo la prassi giurisprudenziale potrà chiarire e risolvere.
6 Giugno 2017 a 23:03
Complimenti della professionalità.
Cordiali saluti
Giovanni
28 Novembre 2017 a 7:34
questo artivcolo mi è veramente piaciuto. ve ne sono ancora altri così sul 545 cpc?
2 Maggio 2018 a 9:01
Complimenti, chiaro e preciso.