12 Novembre 2024

Impedimento del giudice alla sottoscrizione della sentenza 

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. III, 30 ottobre 2024, n. 28038, Pres. De Stefano, Est. Valle

[1] Atti processuali – Provvedimenti – Contenuto della sentenza – Sottoscrizione – Impedimento del presidente del collegio.

L’attestazione della impossibilità di firma da parte di un giudice (nella specie del presidente del collegio giudicante) per impedimento (nella specie per cessazione del rapporto di impiego) è incensurabile, poiché la fede privilegiata, di cui all’art. 2700 c.c., assiste l’attestazione dell’impedimento in esame ma non anche il giudizio ad essa connesso dal quale scaturisce, se positivo, la legittimità della mancata sottoscrizione della sentenza da parte del magistrato impedito, e nondimeno lo stesso giudizio non può essere sindacato in sede di impugnazione, essendo ad esso intrinseco un margine di discrezionalità, direttamente attribuito dalla legge.

CASO

[1] Il provvedimento che si commenta scaturisce da un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo dichiarato improcedibile per violazione del termine di cui all’art. 641 c.p.c. dal Tribunale di Vicenza, la cui decisione veniva confermata, all’esito del giudizio di secondo grado, dalla Corte d’Appello di Venezia.

Occorre rilevare che la sentenza conclusiva del giudizio di seconde cure recava, al suo interno, l’attestazione dell’impossibilità di sottoscrizione da parte del presidente del collegio giudicante in ragione dell’intervenuta cessazione del rapporto di impiego.

Il debitore opponente proponeva, avverso tale pronuncia, ricorso per cassazione denunciando, per quanto di interesse ai fini del presente commento, la nullità della sentenza impugnata (art. 360, n. 4), c.p.c.), in relazione agli artt. 132, 2°co. n. 5) e 3°co., c.p.c., e 15, 2°co., d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, con riferimento alla legittimità dell’attestazione dell’impedimento del presidente del collegio giudicante in appello a sottoscrivere la sentenza.

SOLUZIONE

[1] La Cassazione giudica infondato tale motivo di ricorso richiamando, a supporto della propria decisione, il precedente di Cass., 9 luglio 2003, n. 10797, secondo il quale l’attestazione della impossibilità di firma da parte di un giudice per impedimento sarebbe incensurabile, poiché “la fede privilegiata, di cui all’art. 2700 c.c. assiste l’attestazione dell’impedimento in esame ma non anche il giudizio ad essa connesso dal quale scaturisce, se positivo, la legittimità della mancata sottoscrizione della sentenza da parte del magistrato impedito, e nondimeno lo stesso giudizio non può essere sindacato in sede di impugnazione, essendo ad esso intrinseco un margine di discrezionalità, direttamente attribuito dalla legge”.

Secondo la decisione in commento, pertanto, non vi sono spazi per il sindacato di legittimità sulla ritualità e veridicità dell’attestazione dell’impedimento a sottoscrivere il provvedimento da parte del presidente del collegio giudicante d’appello, quand’anche riferita – come nella specie – al solo rilievo del collocamento in quiescenza del magistrato, evidentemente valutato nel suo complesso come impossibilitato, di conseguenza, a firmare.

QUESTIONI

[1] La questione affrontata dalla Suprema Corte attiene alla possibilità di censurare in sede di legittimità la veridicità dell’attestazione dell’impedimento a sottoscrivere la sentenza di secondo grado da parte del presidente del collegio giudicante d’appello, nel caso di specie integrato dall’intervenuta cessazione del rapporto di impiego.

Sul punto è utile ricordare che l’art. 132 c.p.c., disciplinante il contenuto della sentenza, richiede, tra gli altri requisiti, che la stessa riporti «la sottoscrizione del giudice» (2°co., n. 5), preoccupandosi poi (3°co.) di regolamentare la sottoscrizione della sentenza in caso di composizione collegiale dell’organo giudicante: nel dettaglio si ricorda che la sentenza emessa dal giudice collegiale è sottoscritta soltanto dal presidente e dal giudice estensore.

Sempre il 3°co. della norma, poi, regolamenta il caso – occorso in quello di specie – in cui il presidente del collegio, «per morte o per altro impedimento» non possa sottoscrivere: in tal caso, la sentenza è sottoscritta dal componente più anziano del collegio, «purché prima della sottoscrizione sia menzionato l’impedimento».

L’impedimento che giustifica il difetto di sottoscrizione deve essere assoluto e definitivo ovvero tale da protrarsi per un periodo indeterminato e di estesa durata, quale non può essere, ad esempio, l’assenza dal servizio del magistrato nel periodo feriale (Cass., 12 ottobre 1987, n. 7552) o per congedo (Cass., 8 giugno 1956, n. 1973), mentre può consistere nel collocamento a riposo (Cass., 19 marzo 2012, n. 4326; ma contra si veda Cass., 29 ottobre 2002, n. 15249), nelle dimissioni, nel trasferimento ad altra sede o altro incarico (Cass., 16 giugno 2003, n. 9616).

In tale filone, possiamo richiamare anche il precedente di Cass., 12 febbraio 2016, n. 2866, la quale ha chiarito che laddove il presidente del collegio giudicante, successivamente all’emissione della sentenza, venga a cessare dal servizio, sussiste l’obbligo di sottoscrizione del componente anziano del collegio. Tale arresto, anzi, si spinge anche oltre: al di là di ribadire che laddove il presidente del collegio che ha emesso la sentenza successivamente cessi dal servizio, non è nulla (né tanto meno inesistente) la sentenza sottoscritta dal giudice componente anziano del collegio giudicante, che annoti di avere sottoscritto in vece del presidente “impedito”, la pronuncia afferma come non sia necessario, da parte del componente anziano, indicare la causa dell’impedimento, essendo sufficiente che egli ne attesti l’esistenza, con una statuizione non censurabile nei successivi gradi di giudizio, non risultando al riguardo prevista alcuna possibilità di impugnazione.

Altri arresti hanno viceversa affermato che l’impedimento deve essere menzionato, dal componente più anziano del collegio, prima della sottoscrizione, esplicitando (seppur genericamente) la natura dell’impedimento, contestualmente all’apposizione della firma sostitutiva (Cass., 2 novembre 2010, n. 22278); sarebbe nulla, viceversa, la menzione effettuata dopo la sottoscrizione sostitutiva (Cass., 18 settembre 1991, n. 9723).

Una volta ritualmente apposta la menzione dell’impedimento, la stessa, come ribadito dal provvedimento che si commenta a fondamento del rigetto del motivo di ricorso proposto, risulta assistita da fede privilegiata ex art. 2700 c.c. solo in relazione all’attestazione dell’impedimento medesimo, ma non in relazione al giudizio ad essa connesso, dal quale scaturisce, se positivo, la legittimità della mancata sottoscrizione da parte del magistrato impedito; tuttavia, lo stesso giudizio, se erroneo, non può essere sindacato in sede di impugnazione, essendo ad esso intrinseco un margine di discrezionalità, direttamente attribuito dalla legge (in termini, la già citata Cass., n. 10797/2003).

Resta ovviamente fermo che nel caso in cui la sentenza sia sottoscritta dal solo estensore, la stessa debba considerarsi affetta (non da inesistenza ex art. 161, 2°co., c.p.c., ma) da nullità sanabile ex art. 161, 1°co., c.p.c., trattandosi “di sottoscrizione insufficiente e non mancante, la cui sola ricorrenza comporta la non riconducibilità dell’atto al giudice” almeno secondo l’orientamento inaugurato da Cass., sez. un., 20 maggio 2014, n. 11021.

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