26 Ottobre 2021

Immissioni sonore intollerabili dei vicini e lesione del diritto alla vita privata e familiare

di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., 28.07.2021 n. 21649 ord. – Pres. Cosentino – Rel. Giannaccari

Proprietà – Limitazioni legali della proprietà – Rapporti di vicinato – Immissioni – Immissioni intollerabili – Assenza di pregiudizio alla salute – Risarcibilità del danno non patrimoniale – Condizioni

(art. 844 c.c.)

[1] Pur quando non rimanga integrato un danno biologico, non risultando provato alcuno stato di malattia, la lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria casa di abitazione, tutelato anche dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, nonché del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, integra una lesione che non costituisce un danno “in re ipsa”, bensì un danno conseguenza e comporta un pregiudizio ristorabile in termini di danno non patrimoniale.

CASO

La pronuncia in commento trae origine dalla domanda con cui gli attori avevano chiesto di accertare che la realizzazione di un secondo bagno (adiacente alla parete della propria camera da letto), da parte dei proprietari dell’appartamento confinante, provocava immissioni sonore intollerabili derivanti dagli scarichi del wc.

Il giudice di primo grado rigettava la domanda attorea.

La Corte d’Appello adita disponeva una CTU, in esito alla quale si accertava che il secondo bagno era, in effetti, stato realizzato su una parete adiacente alla camera da letto degli attori, sulla quale era posta la testiera del letto matrimoniale, e che le modeste dimensioni dell’appartamento degli attori non consentivano di adottare soluzioni alternative di impiego degli spazi.

La CTU accertava non solo un notevole superamento del limite della normale tollerabilità, ma anche uno spregiudicato utilizzo del bene in questione, posto che la cassetta di scarico del wc era stata posizionata nel muro divisorio, avente uno spessore massimo di cm 22, mentre avrebbe potuto trovare una collocazione diversa all’interno del locale bagno dei convenuti.

La Corte d’Appello aveva accertato che le immissioni recavano disturbo anche di notte e nelle prime ore del giorno, pregiudicando la normale qualità della vita e del riposo, proprio nella stanza destinata al medesimo.

Individuate dal CTU una serie di opere, atte a ridurre le immissioni, il Giudice di secondo grado ne ordinava l’esecuzione e, a fronte della lesione del diritto costituzionalmente garantito e tutelato dall’art. 8 della CEDU alla libera e piena esplicazione delle abitudini della vita familiare, condannava i convenuti alla realizzazione di opere atte alla riduzione delle immissioni, oltre che al risarcimento del danno.

I convenuti proponevano ricorso in Cassazione, affidato a due motivi di ricorso. 

SOLUZIONE

La soglia di normale tollerabilità dell’immissione rumorosa non ha carattere assoluto, ma dipende dalla situazione ambientale, dalle caratteristiche della zona e dalle abitudini degli abitanti, tutelando il diritto al riposo, alla serenità e all’equilibrio della mente, nonché alla vivibilità dell’abitazione, che il rumore e il frastuono mettono a repentaglio. L’accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili può determinare una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni sulla base delle nozioni di comune esperienza.

La valutazione diretta a stabilire se i rumori restino compresi oppure no nei limiti della norma deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell’uomo medio e, dall’altro, alla situazione locale, appropriatamente e globalmente considerata.

QUESTIONI

Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti facevano valere la violazione e la falsa applicazione degli artt. 844 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.  nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto il CTU, nella valutazione del superamento dei limiti di normale tollerabilità delle immissioni, non avrebbe tenuto conto dei rumori di fondo ed avrebbe effettuato le misurazioni sulla parete divisoria, con le finestre chiuse in un periodo di bassa stagione turistica.

Secondo i ricorrenti, nella suddetta valutazione, il Giudice di merito non avrebbe tenuto conto del fatto che l’abitazione si trovava in un luogo ad alta vocazione turistica, sia durante l’inverno, sia durante l’estate; ragione per cui le misurazioni avrebbero dovuto essere effettuate durante la stagione estiva e con le finestre aperte.

Gli Ermellini, nel rigettare il motivo di ricorso, hanno precisato che la disciplina delle immissioni molestie in alienum nei rapporti tra privati va individuata nell’art. 844 c.c., secondo cui è preclusa al proprietario di un fondo la possibilità di propagare immissioni nel fondo del vicino, se queste superano i limiti della normale tollerabilità. Tale soglia non ha tuttavia carattere assoluto ed infatti è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, che deve tenere conto delle particolarità della situazione concreta, con particolare riferimento al bilanciamento delle esigenze della proprietà privata con quelle della produzione. Stante tale norma, i parametri stabiliti dalle norme speciali a tutela dell’ambiente (volte alla protezione di esigenze della collettività, di rilevanza pubblicistica), pur fungendo da parametri minimali di partenza per stabilire l’intollerabilità delle immissioni che li eccedano, non sono vincolanti per il giudice che, nello stabilire la tollerabilità oppure non dei relativi effetti in ambito privatistico, può discostarsene.

In altre parole, il giudicante può pervenire ad un giudizio di intollerabilità ex art. 844 c.c. anche qualora le immissioni siano contenute nei suddetti parametri.

Ciò che gli è consentito sulla scorta di un prudente apprezzamento, che tenga conto della particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica.

Nell’eseguire tale accertamento, che non è sindacabile in Cassazione ove adeguatamente motivato, il giudice di merito dovrà, da un lato, considerare la sensibilità dell’uomo medio e l’eventuale preesistenza di rumori di fondo, ma, dall’altro, onde evitare decisioni astratte, dovrà tenere conto della concretezza del caso di specie e, quindi, a titolo esemplificativo, della situazione locale in cui si verificano le immissioni, oltre che lo stato di salute ed il lavoro svolto dai soggetti che patiscono le stesse (Cass. civ., sez. II, 05.11.2018, n. 28201).

Orbene, nel caso di specie la Corte di merito ha proceduto a tale verifica con un accertamento di merito, connotato da logicità e coerenza, e dunque insindacabile in sede di legittimità.

Secondo gli Ermellini, quanto alla pretesa erroneità del criterio di rilevamento delle immissioni sonore, avvenuto durante le ore notturne e, quindi, in assenza di rumori di fondo, la corte di merito correttamente si era attenuta al principio secondo cui “la soglia di normale tollerabilità dell’immissione rumorosa non ha carattere assoluto ma dipende dalla situazione ambientale, dalle caratteristiche della zona e dalle abitudini degli abitanti, tutelando il diritto al riposo, alla serenità ed all’equilibrio della mente, nonché della vivibilità dell’abitazione” che il rumore ed il frastuono, protraentisi in maniera continua, mettono seriamente ed ingiustamente a repentaglio.

Pertanto, il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non può prescindere dalla rumorosità di fondo, cioè dalla fascia rumorosa costante della zona, su cui vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo-differenziale), per cui la valutazione, volta a stabilire se i rumori restino compresi oppure no nei limiti della norma, deve essere riferita alla situazione locale, appropriatamente e globalmente considerata (Cass. civ., 17051/2011; Cass. civ., 3438/2010).

Ciò significa che occorre considerare il complesso di suoni, di origine varia, spesso non identificabile, continui e caratteristici della zona sui quali si innestano, di volta in volta, rumori più intensi (prodotti da voci, veicoli, etc.); elementi che devono essere valutati tutti in modo obiettivo in relazione alla reattività dell’uomo medio, prescindendo da considerazioni attinenti alle singole persone interessate dalle immissioni (condizioni fisiche o psichiche, assuefazione oppure no alla rumorosità, etc.).

L’accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili può, poi, determinare una lesione del diritto al riposo notturno, alla serenità, all’equilibrio mentale ed alla vivibilità nell’abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche in base a presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza.

Con il secondo motivo, i ricorrenti deducevano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2043, 2697, 2727 c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte di merito liquidato il danno, senza che fosse stata fornita la prova, pur trattandosi di danno conseguenza.

Anche il secondo motivo è stato rigettato.

Il Collegio, infatti, ha richiamato il pacifico orientamento giurisprudenziale secondo cui il rumore protratto per ore in certe situazioni di tempo mette seriamente ed ingiustamente a repentaglio valori rilevanti, quali il riposo notturno, la serenità e l’equilibrio psichico nonché determina una lesione del diritto alla vivibilità nella propria abitazione; diritti che, oltre a trovare garanzia nella Carta Costituzionale, trovano espressa tutela anche nell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, intitolato al “diritto al rispetto della vita privata e familiare”, in cui il concetto di “vita privata” è inteso a delineare, in senso ampio, la protezione dello spazio fisico, in cui si svolge la vita privata dell’individuo, da qualsivoglia interferenza materiale ed immateriale, idonea a turbare il godimento in tranquillità di tale spazio, tra cui, per l’appunto, le immissioni.

La lesione di detti diritti, in conseguenza di immissioni intollerabili, è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato. Il danno non patrimoniale, infatti, è risarcibile non solo quando ad esso si associ una lesione del diritto alla salute, e quindi un vero e proprio danno biologico, ma anche tutte le volte in cui si verifichi in conseguenza della lesione di un diritto costituzionalmente garantito.

Le immissioni, pertanto, possono anche non incidere sull’integrità psico-fisica del soggetto che le subisce, ma nondimeno possono compromettere abitudini di vita quotidiana dello stesso.

Tale compromissione, secondo il principio sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 2611/2017 ed avallato dalla sentenza in commento, dà luogo ad un danno non patrimoniale, concretantesi in un disagio o alterazione della personalità del soggetto o del suo modo di essere (che evidentemente deve essere giuridicamente apprezzabile, con esclusione, quindi, di disagi futili o lesioni di diritti inesistenti), il quale è risarcibile indipendentemente da un danno biologico, documentato ed accertato, e si riferisce alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla piena esplicazione delle  proprie abitudini di vita quotidiana, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti e protetti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a cui il giudice interno deve uniformarsi, stante la “comunitarizzazione” della CEDU, conseguente all’approvazione del trattato di Lisbona (Cass. civ., 20927/2015, Cass. civ., 26899/2014, Cass. civ., 1606/2017).

Le conclusioni cui giunge la sentenza in commento, nel solco tracciato dalle Sezioni Unite del 2017, prescindono evidentemente dalla natura reale dell’art. 844 c.c., posto a tutela del diritto di proprietà del fondo, ammettendosi la possibilità che si configuri un pregiudizio non patrimoniale, indipendente dalla lesione del diritto alla salute (art. 32 cost.). Il fondamento di tale danno viene rinvenuto in altri diritti costituzionalmente rilevanti, quali la famiglia (art. 29 cost.) e l’inviolabilità del domicilio (art. 14 cost.) da cui deriva un vero e proprio diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria casa di abitazione ed un conseguente diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane.

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