29 Maggio 2018

Illegittimo il licenziamento intimato per asserita condotta contraria ai principi enucleabili dalla coscienza sociale

di Evangelista Basile Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 05 aprile 2018, n. 8407

Furto di merce – da parte sottoposto – mancato intervento da parte del dipendente sovraordinato – non sussiste

MASSIMA

Non esiste l’obbligo del dipendente in servizio di contestare verbalmente ad un sottoposto la commissione del furto. L’unico obbligo del dipendente in tali casi è quello di avvertire i propri superiori ed informarli sull’accaduto; deve escludersi l’esistenza di qualsiasi altro obbligo nei confronti del datore di lavoro relativo al reato. Un licenziamento intimato su eventuali pretese contrarie è da ritenersi illegittimo.

COMMENTO

Nel caso de quo, la Cassazione ha respinto il ricorso dell’azienda avverso la sentenza della Corte territoriale, la quale aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato ad una dipendente per asserita condotta contraria ai principi enucleabili dalla coscienza sociale, agli obblighi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto e all’obbligo di fedeltà nei confronti del datore. Tale condotta si sarebbe verificata in quanto la dipendente non aveva impedito che una sua collega, a lei gerarchicamente sottoposta, in due occasioni, sottraesse diversi sacchi di pellet dal punto di vendita: la posizione di garanzia rivestita dalla lavoratrice al momento del verificarsi delle condotte illecite della dipendente subordinata, avrebbe dovuto indurla ad intervenire per impedire il compimento del fatto. La Corte d’Appello, al contrario di quanto stabilito dal Giudice di primo grado, escludeva che sulla dipendente gravasse altro obbligo nei confronti del datore di lavoro, oltre quello di avvertire i propri superiori, non potendosi richiedere al dipendente in servizio di contestare verbalmente ad un sottoposto la commissione di un reato. Confermando detta decisione, la Cassazione ha precisato che, in tema di licenziamento individuale per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, la proporzionalità o l’adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso deve essere valutata in rispetto alla gravità dell’inadempimento e l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solo quando vi è un inadempimento notevole degli obblighi contrattuali che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto. Nel caso di specie la lavoratrice ha dapprima provveduto ad avvertire di quanto accaduto il capo settore, senza peraltro che alcuno intervenisse per conto dell’azienda o desse indicazioni sulle iniziative da prendere e, successivamente, ha avvertito l’assistente di filiale. A differenza di quanto affermato dal Tribunale, la Corte d’Appello aveva, invece, correttamente escluso che nel caso di specie vi fosse stato un comportamento accondiscendente della lavoratrice. Oltretutto, ricorda la Corte, si deve tenere in debita considerazione che l’infedeltà della dipendente era già nota alla Società per via di altri episodi analoghi precedenti: anche in tali occasioni, la collega aveva prontamente segnalato l’accaduto al datore di lavoro, il quale, tuttavia, non aveva adottato alcun provvedimento disciplinare nei confronti della medesima. Per tutti i motivi di cui sopra la Cassazione ha respinto il ricorso e confermato la sentenza della Corte d’Appello.

Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO”