22 Marzo 2022

Illegittimità di un’opera realizzata da un condomino su un muro appartenente alla “cassa” delle scale oggetto di bene comune ex art. 1117 c.c.

di Francesco Luppino, Dottore in legge e cultore della materia di diritto privato presso l'Università degli Studi di Bologna Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. 6 2, ordinanza 22.11.2021 n. 35955. Presidente L. G. Lombardo – Estensore A. Scarpa

Massima:Deve affermarsi che è illegittima l’apertura di un varco praticata da un condomino nel muro dell’edificio condominiale al fine di mettere in comunicazione l’appartamento di sua proprietà esclusiva con l’andito di una scala destinata a servire un’altra parte del fabbricato, comportando tale utilizzazione l’imposizione sul bene oggetto di condominio parziale di un peso che dà luogo ad una servitù in favore di una unità immobiliare esterna alla limitata contitolarità di esso, con conseguente alterazione della cosa comune.

CASO

La vicenda processuale in commento riguarda una controversia insorta tra un Condominio e un condomino ivi residente in merito ad un’opera realizzata da quest’ultimo all’interno del suo appartamento.

Il Condominio citava in giudizio il singolo condomino innanzi al Tribunale di Palermo.

Il Tribunale respingeva la domanda del Condominio con la quale si chiedeva la condanna del condomino a chiudere l’accesso, da lui realizzato, sul pianerottolo della scala A dell’edificio condominiale, con il quale il suo appartamento condivideva un muro perimetrale. Infatti, il Condominio aveva considerato che il fabbricato fosse composto da due scale distinte, scala A e scala B, le quali servono separatamente due differenti gruppi di appartamenti, rientrando l’appartamento del condomino che aveva eseguito i lavori tra quelli serviti non dalla scala A, bensì dalla scala B.

A fondamento della decisione del giudice di primo grado vi è la qualificazione della domanda come negatoria servitutis e la non configurabilità di una situazione di condominio parziale della scala A. Per tali ragioni, il Tribunale reputò non superata la presunzione di comunione stabilita dall’articolo 1117 c.c., con conseguente legittimità dell’opera realizzata dal condomino.

In seguito all’impugnazione della sentenza del Tribunale, la Corte d’Appello di Palermo ribaltava completamente la prospettiva assunta dal precedente organo giudicante, riformando in toto la sentenza di primo grado e condannando il condomino. Secondo la Corte territoriale, la scala A non svolgerebbe alcuna utilità per il gruppo di appartamenti serviti dalla scala B, dal momento che essa non consentirebbe l’accesso al lastrico solare ed al vano contatori, nonché al vano archivio, i quali sarebbero situati in uno spazio sottostante raggiungibile senza necessità di utilizzare la suddetta scala.

Avverso la pronuncia della Corte d’Appello, il condomino soccombente proponeva ricorso per cassazione caratterizzato, quest’ultimo, da un unico motivo con il quale si deduceva la violazione e falsa applicazione di una nutrita serie di articoli del Codice civile, in particolare dell’articolo 1117 e 1123 c.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

In particolare, la censura promossa dal ricorrente richiama la giurisprudenza in tema di condominio parziale assumendo che la suddetta situazione può riscontrarsi in merito alle scale, solo nel caso in cui il complesso condominiale sia provvisto di ingressi autonomi. Invece, nel caso di specie, la Corte territoriale non avrebbe considerato il fatto che il Condominio è dotato di un unico portone di ingresso dal quale è possibile accedere ad ambo le scale. Inoltre, il ricorrente sostiene che i condomini del gruppo di appartamenti serviti dalla scala B ben potrebbero trarre utilità dalla scala A “anche soltanto, ad esempio, al semplice banale scopo di salire e scendere da quella scala per fare un po’ di movimento. Pertanto, il ricorrente afferma di aver fatto un legittimo uso della cosa comune, in relazione al disposto dell’articolo 1122 c.c., dal momento che il muro nel quale è stato aperto il varco, secondo il punto di vista del condomino, costituirebbe un muro perimetrale dell’appartamento e non dello stabile condominiale e, inoltre, mancherebbe anche la prova circa la distinta ripartizione delle spese relative alla manutenzione della scala A.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 35955 del 22.11.2021, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso in linea con i dettami della nota pronuncia a sezioni Unite della medesima Corte del 2017[1] al fine di consentire «una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”», con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dell’articolo 13 del d.P.R., n. 115, del 2002. Secondo il Supremo Collegio il motivo di ricorso risulta del tutto sprovvisto dei caratteri di specificità e di tassatività imposti dagli articoli 360 e 366, comma 1, n. 4, c.p.c. «riducendosi ad una critica generica della sentenza impugnata». D’altronde, gli Ermellini hanno ritenuto che la decisione della Corte territoriale abbia deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di Legittimità e che al termine dell’esame del motivo del ricorso si è ritenuto che lo stesso non offra elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.

QUESTIONI

Come si è avuto modo di anticipare, la controversia oggetto della sentenza in commento riguarda la realizzazione di un varco su un muro che è stato ritenuto dal condomino esecutore dell’opera come facente parte al solo appartamento di sua proprietà. Tuttavia, nel corso del giudizio di secondo grado, il Giudice ha appurato che, in realtà, il muro in questione risultava essere perimetrale, quindi in comune all’edificio Condominio, impostazione successivamente condivisa anche dalla Suprema Corte di Cassazione. In ogni caso, al di là della realizzazione di lavori che, di fatto, interessano un muro perimetrale, risulta interessante la giustificazione evocata dal condomino in relazione all’utilizzo che i condomini, in generale, potrebbero fare delle due scale dell’edificio, in quanto accessibili da un unico portone di ingresso, poiché le stesse ben potrebbero essere sfruttate anche per finalità di natura sportiva o ludica e ciò sia da parte dei condomini i cui appartamenti sono serviti dalla scala A che da quelli le cui unità immobiliari sono servite dall’altra scala.

Nel ricostruire il ragionamento dei giudici della Cassazione è opportuno, per prima cosa, ricordare come la Corte d’appello di Palermo abbia accertato in fatto che i condomini i cui appartamenti sono serviti dalla scala B del Condominio non traggono nessuna utilità dalla scala A, poiché essa non consente neppure l’accesso al lastrico solare, al vano contatori ed al vano archivio.

Tutto ciò premesso e condiviso dal Supremo Collegio, i giudici della Cassazione hanno dichiarato l’inammissibilità del ricorso con il quale il condomino ha impugnato la sentenza del giudice di secondo grado, reputando, tuttavia, interessante sciogliere ogni dubbio circa la considerazione svolta dal ricorrente in relazione alla possibilità che i condomini della scala B utilizzino l’altra scala anche soltanto “per fare un po’ di movimento”, richiamando giurisprudenza della Cassazione riguardante i fondamentali articoli 1117 e 1123 c.c., la cui falsa applicazione è stata lamentata dal ricorrente nell’unico motivo oggetto del ricorso.

Dunque, preliminarmente gli Ermellini hanno ritenuto necessario svolgere un piccolo excursus in merito al nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione ai sensi dell’articolo 1117 c.c, il quale è ravvisabile in numerose tipologie costruttive, sia che si sviluppino in senso verticale, sia che esse siano costituite da più unità adiacenti orizzontalmente, a patto che le diverse costruzioni siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come, ad esempio, proprio quelle che sono esemplificativamente elencate nell’articolo 1117 c.c., pur sempre con la riserva «se non risulta il contrario dal titolo».

Pertanto, parti comuni nell’ambito dell’edificio condominiale potranno essere il tetto, i muri maestri, le scale «indipendentemente dall’eventuale unicità del portone d’ingresso, in quanto distinta parte comune rispetto alle scale», oppure l’ascensore, o il cortile che risultino destinati al servizio o al godimento di una parte dello stabile. Secondo giurisprudenza pressoché costante della Suprema Corte di Cassazione, è proprio in ipotesi come quelle appena delineate che sarebbe automaticamente configurabile la fattispecie del condominio parziale “ex lege”, ossia tutte le volte in cui una res, in virtù delle sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, risulti destinata al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell’edificio in condominio, essa «rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene»[2]. D’altra parte, mancano i presupposti per l’attribuzione, ai sensi dell’articolo 1117 c.c., della proprietà comune a vantaggio di tutti i condomini nei casi in cui le res, i servizi e gli impianti di uso comune, in virtù dei rispettivi oggettivi caratteri materiali, «appaiano necessari per l’esistenza o per l’uso, ovvero siano destinati all’uso o al servizio non di tutto l’edificio, ma di una sola parte di esso».

Inoltre, anche in una pronuncia a Sezioni Unite, ormai abbastanza risalente, i giudici della Cassazione avevano autorevolmente chiarito che, in tema di condominio negli edifici, «l’individuazione delle parti comuni, risultante dall’articolo 1117 c.c. – il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria – , e che può essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo, non opera affatto con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari»[3].

Il Supremo Collegio ritiene, inoltre, non sussistere o comunque superabile anche l’ulteriore considerazione esposta dal ricorrente circa la possibilità o meno che i condomini le cui unità immobiliari sono servite dalla scala B possano utilizzare la scala A per finalità connesse ad attività ludica o sportiva. Infatti, le parole “servire” ed “utilità” presenti nell’articolo 1123 c.c., 3° comma, sul quale poggia la figura del cosiddetto condominio parziale, si riferiscono all’impiego obbiettivo del bene, dunque, all’utilità prodotta, al di là di qualsiasi attività umana, in favore delle unità immobiliari «dall’unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose, degli impianti, dei servizi».

Infine, secondo gli Ermellini è altrettanto priva di fondamento l’obiezione sollevata dal ricorrente circa il fatto per cui il varco sarebbe stato aperto in “un muro perimetrale dell’appartamento e non dell’edificio”, poiché, in una palazzina in condominio, le scale, oggetto di comproprietà ai sensi dell’articolo 1117 c.c., comprendono l’intera relativa “cassa”, della quale costituiscono «componenti essenziali ed inscindibili le murature che la delimitano, assolvano o meno le stesse, in tutto o in parte, anche la funzione di pareti delle unità immobiliari di proprietà esclusiva cui si accede tramite le scale stesse»[4].

Per le ragioni ut supra e per le considerazioni di fatto e giuridiche svolte nella sentenza in commento, il Supremo Collegio ha inteso affermare il seguente principio di diritto: «è illegittima l’apertura di un varco praticata da un condomino nel muro dell’edificio condominiale al fine di mettere in comunicazione l’appartamento di sua proprietà esclusiva con l’andito di una scala destinata a servire un’altra parte del fabbricato, comportando tale utilizzazione l’imposizione sul bene oggetto di condominio parziale di un peso che dà luogo ad una servitù in favore di una unità immobiliare esterna alla limitata contitolarità di esso, con conseguente alterazione della destinazione della cosa comune».

[1] Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 21.03.2017, n. 7155.

[2] Cassazione civile, sez. II, sentenza 24.11.2010, n. 23851; Cassazione civile, sez. II, sentenza 17.06.2016, n. 12641; Cassazione civile, sez. II, ordinanza 16.01.2020, n. 791.

[3] Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 7.07.1993, n. 7449.

[4] Cassazione civile, sez. II, sentenza 7.05.1997, n. 3968.

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