Illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi e danno in re ipsa
di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDFCon la recente decisione del 25.1.2017 n. 1931, la Cassazione è tornata ad occuparsi del rapporto tra illegittima segnalazione a sofferenza alla Centrale dei rischi e (presunto) danno in re ipsa.
La Suprema Corte ha in primo luogo ribadito che, pur rientrando l’attività di segnalazione alla Centrale dei rischi nell’ambito delle attività pericolose ex art. 2050 c.c., tale circostanza non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva della banca (Cass. 1931/2017; Cass. 10422/2016; Cass. 18812/2014), essendo all’opposto sempre necessario l’accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra l’attività e il danno patito dal terzo (Cass. 1931/2017; Cass. 5254/2006): è dunque escluso, nell’ipotesi disciplinata dall’art. 2050 c.c., ed in particolare in quella dell’illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, che il danno debba essere considerato in re ipsa, ossia debba essere reputato sussistente per il fatto stesso dello svolgimento dell’attività pericolosa.
La Cassazione ricorda che deve tenersi per fermo il principio – solidamente ancorato al dettato dell’art. 1223 c.c., applicabile nel campo aquiliano per il tramite dell’art. 2056 c.c. – secondo cui il danno è una conseguenza dell’illecito (ovvero dell’inadempimento), ossia della lesione dell’interesse protetto, conseguenza riguardata dall’ordinamento sotto specie di «perdita» ovvero di «mancato guadagno», collegati alla lesione dell’interesse protetto per mezzo del nesso di causalità.
Basterà allo scopo citare Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972 ove si evidenzia che la tesi del danno in re ipsa «snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo».
Può semmai, conclude la Cassazione, ammettersi che non già il danno, ma la sua prova sia per così dire in re ipsa, e cioè goda di facilitazioni agganciate al congegno presuntivo (artt. 2727-2729 c.c.), distinguendo tra conseguenze generalmente determinate, secondo l’id quod plerumque accidit, da una particolare lesione e conseguenze specificamente legate alla situazione del danneggiato: ma il danno, ed in particolare la «perdita», deve essere sempre oggetto di proporzionata ed adeguata deduzione da parte dell’interessato.