12 Aprile 2023

È illegittima l’apertura da parte di un comproprietario di un varco nel muro perimetrale comune per mettere in comunicazione due immobili di proprietà esclusiva

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte Suprema di Cassazione, Sez. VI-2, Civile, Ordinanza n. 5060 del 25 febbraio 2020, Presidente Dott. Pasquale D’Ascola, Relatore Dott. Antonio Scarpa.

Massima: “In tema di uso della cosa comune, è illegittima l’apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale da un comproprietario al fine di mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva, ubicato nel medesimo fabbricato, con altro immobile, pure di sua proprietà, ma estraneo al condominio, comportando tale utilizzazione la cessione del godimento di un bene comune in favore di soggetti non partecipanti al condominio, con conseguente alterazione della destinazione, giacché in tal modo viene imposto sul muro perimetrale un peso che dà luogo a una servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini. Né è possibile ipotizzare la costituzione di un vincolo pertinenziale tra il muro perimetrale e l’unità immobiliare di proprietà esclusiva esterna al condominio, per atto proveniente dal solo titolare di quest’ultima, giacché detto vincolo postula che il proprietario della cosa principale abbia la piena disponibilità della cosa accessoria – si da poterla validamente destinare, in modo durevole, al servizio od all’ornamento dell’altra – mentre il muro perimetrale è oggetto di proprietà comune”.

CASO

Il 20 febbraio 2016 il Condominio (OMISSIS), insistente in Castiglione della Pescaia proponeva domanda ex art.702 bis c.p.c. finalizzata ad accertare l’illegittimità dell’apertura di un varco nel muro perimetrale condominiale praticata dalla condomina Tizia allo scopo di porre in comunicazione un vano seminterrato di sua proprietà, compreso nel complesso condominiale, con una corte sempre di proprietà della convenuta ma estranea al Condominio attore.

Il Tribunale di Grosseto accogliendo le domande del condominio ordinò la riduzione in pristino del muro condominiale, il provvedimento venne poi confermato anche da parte della Corte d’Appello di Firenze la quale respinse il gravame presentato da Tizia.

Infatti, secondo i giudici di secondo grado era infondata la deduzione dell’appellante  secondo cui, poiché la medesima condomina aveva costituito un vincolo pertinenziale tra corte esterna ed il Condominio, anche tale corte sarebbe ormai compresa fra i beni condominiali. Contrariamente a quanto rappresentato dall’appellante, i giudici di gravame ritennero che  il collegamento creato tra i due beni di proprietà della condomina, mediante la modificazione del muro comune, aveva costituito un illegittimo peso a carico del Condominio, non rientrante tra i limiti di uso della cosa comune ex art. 1102 c.c..

Tizia propose dunque ricorso per la cassazione della decisione della Corte d’Appello di Firenze, articolandolo in due motivi. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

SOLUZIONE

La Suprema Corte rigettò il ricorso presentato dalla condomina Tizia, condannando la ricorrente a rimborsare al Condominio controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione.

QUESTIONI

Con il primo motivo di ricorso, Tizia denunciò la violazione del principio per cui una corte vincolata a pertinenza di un vano di proprietà esclusiva compreso in un condominio viene essa stessa a far parte del condominio. Attraverso il secondo motivo di censura, invece, sottolineò il difetto di prova del superamento dei limiti di cui all’art. 1102 c.c. per effetto dell’apertura del varco sul muro perimetrale.

Premettendo che i due motivi proposti furono esaminati congiuntamente in quanto connessi, gli Ermellini sottolinearono come la Corte d’Appello, conformemente all’indirizzo della stessa Corte di Cassazione, avesse accertato in fatto che la condomina avesse aperto un passaggio sul muro perimetrale condominiale, per mettere in collegamento una corte esterna ed una unità immobiliare compresa nel Condominio (OMISSIS), entrambe di proprietà della ricorrente, così costituendo un indebito peso a carico del Condominio. Infatti, in tema di uso della cosa comune, è ormai consolidato il principio per cui è da ritenersi illegittima  l’apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale da un comproprietario al fine di mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva, ubicato nel medesimo fabbricato, con altro immobile pure di sua proprietà ma estraneo al condominio. Tale utilizzazione rappresenterebbe pertanto “la cessione del godimento di un bene comune in favore di soggetti non partecipanti al condominio, con conseguente alterazione della destinazione, giacché in tal modo viene imposto sul muro perimetrale un peso che dà luogo a una servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini”[1].

Tanto specificato, non assumerebbe alcun rilievo la considerazione per cui la condominialità del muro perimetrale comune legittima il singolo condomino ad apportare ad esso tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini.

Di fatto, motivarono i giudici di Cassazione, la richiamata presunzione ex art. 1117 c.c. di comunione pro indiviso opererebbe per quelle porzioni del complesso condominiale che, per ubicazione e struttura, siano destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, sulla base di una relazione di accessorieta’ tra parti comuni ed unità immobiliari. Viceversa, le parti elencate o richiamate dall’art.1117 c.c. non offrono alcuna utilità autonoma e compiuta, in quanto la loro utilizzazione oggettiva e il loro godimento soggettivo sono unicamente strumentali all’utilizzazione o al godimento degli appartamenti compresi nel medesimo complesso edilizio. Alla luce di tali considerazioni,  allorquando un condomino decidesse di usufruire di un bene condominiale allo scopo esclusivo di migliorare il grado di godimento di un altro immobile di sua proprietà individuale che non sia compreso nel condominio, è evidente l’alterazione funzionale che viene così impressa al vincolo destinatorio della parte comune.

Volendo operare una ulteriore specificazione in materia, gli Ermellini proseguirono nell’esposizione delle proprie ragioni sostenendo che “la valutazione dei presupposti di operatività della presunzione legale di comunione di talune parti dell’edificio condominiale, stabilita dall’articolo 1117 c.c., va, del resto, operata con riferimento al momento della nascita del condominio, restando escluso che sia determinante il collegamento materiale eseguito successivamente”[2]. E’ dunque da escludere che possa sostenersi che, per effetto dell’apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale, entri a far parte del complesso condominiale, e quindi della contitolarità delle parti comuni di questo, altresì l’area esterna di proprietà esclusiva messa in collegamento con l’unità immobiliare già compresa nel condominio stesso. Inoltre, la stessa ipotizzata costituzione di un vincolo pertinenziale, ex artt.817-818 c.c., postula che il proprietario della cosa principale abbia la piena disponibilità della cosa accessoria, così da poter validamente destinare la stessa, in modo durevole, al servizio o all’ornamento dell’altra. Motivo per cui “il muro perimetrale di un edificio condominiale, che sia oggetto di proprietà comune, non può essere oggetto della instaurazione di una relazione di pertinenza con unità immobiliari di proprietà individuale esterne al condominio per atto proveniente solo dal titolare di dette porzioni”[3].

Venne inoltre aggiunto dai magistrati che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, lamentato dalla ricorrente nel secondo motivo, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5[4].

Alla luce di tali indicazioni il ricorso venne rigettato e le spese del giudizio di cassazione, così come liquidate in dispositivo, vennero regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.

[1] Cfr. Cass. Sez. 2, 05/03/2015, n. 4501; Cass. Sez. 2, 06/02/2009, n. 3035; Cass. Sez. 2, 19/04/2006, n. 9036; Cass. Sez. 2, 18/02/1998, n. 1708.

[2] Cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 25/06/2019, n. 17022.

[3] Così Cass. Sez. 2, 12/12/1977, n. 5386.

[4] Il quale attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio.

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