5 Ottobre 2021

Illecito endo-familiare per mancato riconoscimento del figlio: il risarcimento del danno presuppone la consapevolezza della procreazione

di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., [ord.], Sez. I, 9 agosto 2021, n. 22496 – Pres. Genovese – Rel. Iofrida

[1] Risarcimento del danno – Illecito endo-familiare – Danno non patrimoniale – Mancato riconoscimento del figlio – Consapevolezza della procreazione

(Cod. civ. artt. 269, 2059)

[1] “In tema di danno per mancato riconoscimento di paternità, l’illecito endo-familiare attribuito al padre che abbia generato ma non riconosciuto il figlio, presuppone la consapevolezza della procreazione che, pur non identificandosi con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, presuppone comunque la maturata conoscenza dell’avvenuta procreazione, non evincibile tuttavia in via automatica dal fatto storico della sola consumazione di rapporti sessuali non protetti con la madre ma anche da altri elementi rilevanti, specificatamente allegati e provati da chi agisce in giudizio.” 

CASO

[1] Una donna adiva il Tribunale di Torino ai sensi dell’art. 269 c.c. al fine di ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità del convenuto che, per anni, aveva rifiutato il riconoscimento ed il versamento dei mezzi di sussistenza. L’attrice, in particolare, chiedeva il risarcimento del danno, patrimoniale e non, subito per il mancato riconoscimento della figlia. La domanda veniva accolta e confermata in sede di appello quanto alla dichiarazione giudiziale di paternità, accertata a seguito di CTU immunogenetica, ma veniva rigettata la richiesta risarcitoria del danno morale per difetto della prova della consapevolezza, da parte del convenuto, del fatto che “dall’oggettiva consumazione di rapporti non protetti tra il convenuto e la madre dell’attrice” fosse nata una figlia.

La donna, pertanto, ricorreva in Cassazione chiedendo la censura della sentenza d’appello nella parte in cui non aveva riconosciuto la sussistenza dell’illecito endo-familiare.

SOLUZIONE

[1] La ricorrente, in particolare, con il secondo motivo lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 2043, 2059, 1227 e 2056 c.c., in relazione agli artt. 2 e 30 Cost., e artt. 1175 e 1375 c.c., con riferimento alla statuizione in ordine all’insussistenza dei presupposti dell’illecito endo-familiare dedotto per assenza della prova, anche indiziaria, dell’elemento psicologico della consapevolezza dell’evento nascita, dovendosi invece valorizzare la “consumazione di rapporti non protetti quale autonoma fonte di responsabilità e di risarcimento”.

La Corte di Cassazione, dopo un’attenta ricostruzione dei principi fondamentali in tema di illecito endo-familiare, ha rigettato il ricorso ritenendo infondate le doglianze attoree.

QUESTIONI

[1] La pronuncia in epigrafe affronta il tema della risarcibilità dell’illecito endo-familiare da mancato riconoscimento del figlio.

La Suprema Corte, in prima istanza, ricorda che in ordine alla sussistenza dell’illecito endo-familiare attinente al rapporto filiale, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore, con disinteresse, protratto nel tempo, del genitore nei confronti del figlio, deve osservarsi che la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole può integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, in primis l’art. 30 Cost., così dandosi luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità ed anche per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, sorgendo, sin dalla nascita, il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori (in questi termini si veda anche Cass. civ. 10 aprile 2021, n. 5652 con nota di F. FORTE, Il risarcimento del danno non patrimoniale da colposo ritardo nel riconoscimento della paternità naturale, in Il Corriere giuridico n. 12/2012).

Ciò posto, la Prima Sezione rammenta che il mancato riconoscimento dei figli deve avere i caratteri tipici dell’illecito civile e, pertanto, essere causalmente determinante, colpevole e cagionare un danno ingiusto.

Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità (tra le tante Cass. civ. 22 novembre 2013 n. 26205), infatti, essendo l’obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli, ai sensi degli artt. 147 e 148 c.c., “eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione, indipendentemente dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità”, si determina “un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endo-familiare, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore”. Il presupposto di tale responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, tuttavia, è costituito dalla consapevolezza del concepimento.

In relazione al requisito soggettivo della consapevolezza, poi, la Corte di Cassazione (Cass. civ. 22 novembre 2013 n. 26205) ha precisato che esso non si identifica “con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica ma si compone di una serie d’indizi univoci, generati dall’indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all’epoca del concepimento”.

Orbene nel caso sottoposto all’esame della Corte, il Tribunale aveva accertato che la madre della ricorrente ed il padre naturale non avevano avuto più contatti dal 1967, anno della nascita della bambina, che non vi fosse alcuna circostanza da cui desumere, anche a livello indiziario, che il convenuto potesse essere stato consapevole del fatto che da tale rapporto fosse nata una figlia, che alcuna richiesta era stata inoltrata dalla madre, avendo la stessa costituito una famiglia con altro uomo, il quale aveva provveduto, dopo il decesso della ricorrente, ad adottare la bambina.

La statuizione della Corte d’appello, con la quale si è confermata la decisione di primo grado, pertanto, a detta della Suprema Corte, risulta conforme ai principi di diritto esposti ed alle norme civili in tema di illecito aquiliano, in quanto, nel caso in esame, “difetta un necessario quadro indiziario univoco in ordine alla consapevolezza del fatto della procreazione, sussistendo, al più, un dato ricavabile dal fatto stesso della nascita, vale a dire che i genitori naturali non avessero intrattenuto rapporti sessuali protetti”.

Alla luce delle considerazioni che precedono la Suprema Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha affermato il seguente principio di diritto: «In tema di danno per mancato riconoscimento di paternità, l’illecito endo-familiare attribuito al padre che abbia generato ma non riconosciuto il figlio, presuppone la consapevolezza della procreazione che, pur non identificandosi con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, presuppone comunque la maturata conoscenza dell’avvenuta procreazione, non evincibile tuttavia in via automatica dal fatto storico della sola consumazione di rapporti sessuali non protetti con la madre ma anche da altri elementi rilevanti, specificatamente allegati e provati da chi agisce in giudizio».

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