29 Dicembre 2015

Il termine utile per la proposizione della riserva di appello avverso sentenza non definitiva nel rito del lavoro

di Virginia Petrella Scarica in PDF

Cass., sez. lav., 7 dicembre 2015, n. 24805 (sent.)

Pres. Amoroso – Rel. Ghinoi

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Impugnazioni civili– Rito del lavoro – Sentenze non definitive – Pronunciaex art. 429, co. 1, prima parte, c.p.c. – Riserva di appello – Nozione di «udienza successiva» ex art. 340 c.p.c. – Identificazione dell’udienza successiva con l’udienza in cui il giudice dispone per la prosecuzione del giudizio – Esclusione

(C.p.c., artt. 429, 281 sexies, 327, 340, comma 1)

[1] Quando il giudice pronuncia la sentenza in udienza dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto ai sensi dell’art. 429, co. 1, prima parte, c.p.c., la fase dell’udienza in cui il giudice provvede per la prosecuzione del giudizio non costituisce udienza successiva ai sensi e per gli effetti dell’art. 340 c.p.c., ma è parte della medesima udienza. Ne consegue che la riserva di appello va formulata entro l’udienza ad essa successiva, se anteriore alla scadenza del termine per impugnare. 

CASO
[1] La pronuncia trae le mosse da un contenzioso in materia di impugnazione di un termine apposto ad un contratto di lavoro subordinato nell’ambito del pubblico impiego.

In primo grado era stata pronunciata, con lettura in udienza del dispositivo e delle concise motivazioni in fatto ed in diritto, una sentenza non definitiva e contestualmente era stata pronunciata ordinanza con la quale si disponeva del prosieguo del giudizio, ivi comprese le attività istruttorie.

Il datore di lavoro, soccombente rispetto alla sentenza non definitiva, aveva fatto riserva di appello con dichiarazione resa non nella medesima udienza in cui erano state pronunciate la sentenza e i provvedimenti opportuni, ma in quella immediatamente successiva, svoltasi anteriormente alla scadenza del termine per impugnare.

Rimasto poi soccombente anche sulla sentenza definitiva, il datore di lavoro proponeva appello contro entrambe le pronunce, risultando parzialmente vincitore nel giudizio di gravame.

Il lavoratore proponeva ricorso per cassazione, articolando, tra gli altri, un motivo relativo alla pretesa violazione dell’art. 340 c.p.c. per non aver la corte di appello adita ritenuto tardiva la proposizione della riserva di appello.

SOLUZIONE
[1] La Corte è stata chiamata astabilire se, pronunciata sentenza non definitiva in udienza mediante lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto ex art. 429 c.p.c., la fase processuale in cui il giudice dispone per la prosecuzione del giudizio possa considerarsi «la prima udienza dinanzi al giudice istruttore successiva alla comunicazione della sentenza stessa» ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 340 c.p.c.

La Corte si esprime negativamente, ritendo tale fase quale parte della «medesima udienza». 

QUESTIONI
[1] La pronuncia in commento risolve anche alcune questioni preliminari, rilevanti di fini della decisione. Va ricordato infatti che l’udienza entro cui va fatta riserva è quella successiva alla «comunicazione» della sentenza (art. 340 c.p.c.).

Assume rilievo, dunque, anche la problematica dell’onere di comunicazione della sentenza pronunciata in udienza.

Al riguardo, la Corte si pone dichiaratamente in linea con l’orientamento maggioritario in materia di esonero dalla comunicazione nelle ipotesi di lettura della sentenza in udienza. Secondo tali pronunce il provvedimento letto in udienza deve ritenersi conosciuto, con presunzione assoluta di legge, dalle parti presenti o che avrebbero dovuto essere presenti all’udienza destinata alla discussione ex art. 281 sexies c.p.c. (Cass., 24 luglio 2007, n. 16304; Cass.,28 febbraio 2006, n. 4401; Cass., 21 settembre 2006, n. 20417; Cass. n. 17665 del 2004; e da ultimo, Cass. n. 22659 del 2010).

I principi consolidati in materia di rito ordinario di cognizione sono estesi anche al rito del lavoro ed al meccanismo di decisione di cui all’art. 429 c.p.c.

La Corte, infatti, sottolinea che l’onere di comunicazione di cui all’art. 430 c.p.c. si riferisce ormai, dopo le modifiche operate dal d.l. 112/2008, esclusivamente alle ipotesi di lettura in udienza del solo dispositivo.

Non essendo indispensabile la comunicazione della sentenza, potrebbe ipotizzarsi che la fase dell’udienza in cui il giudice dispone per la prosecuzione del giudizio sia già essa stessa una nuova e diversa udienza ai sensi dell’art. 340 c.p.c.

Questa tesi, volta a valorizzare la autonomia delle due fasi dell’udienza, pare alla Corte eccessivamente pregiudizievole per la parte onerata, alla quale occorre comunque riservare un congruo spatium deliberandi.

La proposizione della riserva di appello, ad esempio, implica la rinuncia alla impugnazione immediata, fatta salva l’eventuale proposizione di quest’ultima ad opera di altra parte parzialmente soccombente.

La preclusione dopo la riserva di impugnazione differita, del resto, è principio affermato in un indirizzo costante della giurisprudenza di legittimità (già Cass., sez. un., 9 marzo 1982 n. 1498; di recente: Cass., 21 settembre 2015, n. 18498, la quale precisa che nonostante l’impugnazione immediata di una sentenza non definitiva di cui la parte si sia riservata l’impugnazione differita sia inammissibile, essa non preclude, dopo la sentenza definitiva, l’esercizio del potere di impugnare anche quella non definitiva), né può ritenersi superata dalla proposizione dell’appello incidentale da parte della appellata.