30 Maggio 2023

Gli alterni svolgimenti del giudizio d’appello nel caso di esperimento della querela di falso

di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDF

Cass., Sez. III, 16 maggio 2023, n. 13376 Pres. Frasca – Rel. Rossetti

Impugnazioni civili – Appello – Querela di falso proposta in via principale – Sospensione dell’appello – Esclusione (C.p.c. artt. 42, 221, 295, 355)

[1] La proposizione in via autonoma d’una querela di falso mentre pende il giudizio d’appello non consente la sospensione di quest’ultimo, la quale è accordata dall’art. 355 c.p.c. nella sola ipotesi della querela di falso proposta in via incidentale nel giudizio d’appello.

CASO

[1] La vicenda che ha condotto alla presente ordinanza del Supremo Collegio ha preso avvio dall’azione monitoria esercitata con successo da un istituto di credito nei confronti del fideiussore di una società debitrice dell’istituto medesimo. Con l’opposizione proposta a norma dell’art. 645 c.p.c., il debitore ingiunto ha dedotto la falsità della firma apposta in calce all’atto di fideiussione: ma sull’incidente, conseguentemente insorto, di verificazione di scrittura privata, il Tribunale adito si è pronunciato nel senso dell’autenticità della contestata sottoscrizione, così pervenendo al rigetto dell’opposizione de qua.

Avverso questa pronuncia, parte soccombente ha proposto appello, cui, però, si è abbinata la proposizione, innanzi al tribunale competente, di una distinta e autonoma istanza di querela di falso volta a rimettere in discussione la genuinità del documento fideiussorio al centro della vicenda. Debitamente notiziata della pendenza di questa istanza, la Corte d’appello di Roma, investita del giudizio di gravame contro la sentenza di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo, ne ha decretato la sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c., con ordinanza tempestivamente fatta segno di regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c. da parte dell’appellato e della società cessionaria del credito sub iudice, intervenuta in corso di lite.

Alla pronuncia venuta alla luce all’esito del così esperito regolamento sono dedicate le brevissime note che seguono.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte ha riconosciuto la fondatezza del ricorso per regolamento sottoposto alla sua attenzione: e questo, in nome di un’interpretazione rigorosamente restrittiva dell’art. 355 c.p.c., tale per cui, se la norma ammette che il giudice dell’appello sia tenuto a sospendere il giudizio nel caso un documento rilevante per la decisione sia stato oggetto di querela di falso proposta in via incidentale al giudizio medesimo, allora è da ritenersi, in nome del principio inclusio unius, exclusius alterius, che la sospensione non possa essere ordinata nell’opposta eventualità, concretatasi nella fattispecie in esame, di querela di falso esperita in via autonoma o principale.

A dispetto delle apparenze, nessuno spunto di segno contrario, a detta della Corte, sarebbe ricavabile dagli artt. 221, 1° co., e 295 c.p.c. Ed invero, quanto alla prima di tali disposizioni, essa si limiterebbe a sancire la piena libertà di scelta, per la parte interessata ad impugnare di falso un certo documento in pendenza del giudizio d’appello, tra l’interposizione della querela di falso in via incidentale al giudizio pendente e la sua proposizione come azione autonoma, senza che nulla, però, se ne possa inferire quanto alle ripercussioni della scelta concretamente effettuata sulle sorti del giudizio in atto: onde la necessità di far capo, a codesto fine, al predetto art. 355 c.p.c., con tutto quanto ne consegue in termini di sospensione dell’appello pendente nella sola ipotesi di querela esercitata in via incidentale. Laddove, trascorrendo al successivo art. 295, è vero che questo pone come regola generale quella della sospensione necessaria del processo dipendente in attesa della decisione sul processo pregiudiziale; ma, proprio perché si tratta di regola generale, essa sarebbe inesorabilmente destinata a cedere il passo, ove se ne realizzi lo specifico presupposto applicativo, di fronte a una disciplina, come quella del suddetto art. 355 c.p.c., che indiscutibilmente si profila al riguardo come lex specialis.

La Corte non si nasconde, poi, che la lettura da essa accolta della norma da ultima richiamata potrebbe originare un conflitto tra il giudizio di falso e quello di merito pendente (e liberamente proseguito) in fase impugnatoria. Ma si tratterebbe, a suo dire, di conflitto pianamente componibile sulla base delle norme generali e nei termini, testualmente, per cui:

– «a) se si conclude per primo il giudizio di appello (fondato sull’assunto dell’autenticità del documento contestato), e successivamente venga accertata nel separato giudizio di falso l’apocrifia del documento, la sentenza d’appello potrà essere rimossa con lo strumento della revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 2, c.p.c., per avere il giudice provveduto “in base a prove (…) dichiarate false dopo la sentenza”;

–  b) se si conclude per primo il giudizio di falso, ovviamente il giudicato sul falso potrà essere invocato nel giudizio d’appello, ex art. 2909 c.c., senza che vi ostino le preclusioni proprie del giudizio di appello, irrilevanti rispetto ai fatti sopravvenuti».

Nulla, in definitiva, si opporrebbe all’esegesi restrittiva dell’art. 355 c.p.c. condensata nella massima enunciata in epigrafe.

QUESTIONI

[1] Siccome ascrivibile a pieno titolo al corrente filone giurisprudenziale svolgentesi nel segno del ridimensionamento dell’area operativa della sospensione necessaria per pregiudizialità-dipendenza (pensiamo, in particolare, ai noti pronunciamenti delle Sezioni unite 19 giugno 2012, n. 10027, e 29 luglio 2021, n. 21763, che la linea di demarcazione tra i rispettivi àmbiti applicativi di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. e sospensione facoltativa di cui al successivo art. 337, 2° co., hanno sensibilmente spostato, a tutto vantaggio della seconda rispetto alla prima), quale istituto evidenziante un’indiscutibile attitudine lesiva dei valori, costituzionalmente presidiati, dell’effettività del diritto di azione e della ragionevole durata del processo (per ogni altro, Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, 12a ed., II, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Torino, 2019, 284 ss.), la posizione qui assunta dalla Suprema Corte appare in linea di principio condivisibile, ovverosia tale può reputarsi con riferimento all’ipotesi – che sola, verosimilmente, il legislatore ha avuto presente all’atto del concepimento della norma di cui s’è, nell’occasione, discusso – in cui l’autenticità del documento sia stato oggetto di cognizione giudiziale esclusivamente in sede di querela di falso. Nel caso affrontato dalla presente Cass. n. 13376/2023, dove la querela di falso è stata proposta contro una scrittura privata che il querelante aveva già, in precedenza, disconosciuto, provocando in tal modo l’incidente di verificazione, le cose sono però andate diversamente: e qui, ad una qualche perplessità è lecito dare voce, se non con riguardo all’opzione di principio professata dalla Corte, certo a taluno dei suoi svolgimenti.

E’ evidente che, in una siffatta ipotesi, il giudicato di merito, sortito dal giudizio d’appello, che fosse «fondato sull’assunto dell’autenticità del documento contestato» si reggerebbe, in realtà, sul distinto giudicato, formatosi in sede di verificazione della scrittura privata, che l’accertamento di detta autenticità avesse avuto ad oggetto. Per cui supporre, come si legge nell’ordinanza in commento, che quel giudicato di merito potrebbe essere rimosso a mezzo della revocazione straordinaria ex art. 395, n. 2, c.p.c. qualora venisse successivamente accertata, nel separato giudizio di falso, l’apocrifia del documento suddetto, varrebbe a direttamente sconfessare quanto affermato dalla stessa Suprema Corte nel suo ancora recente arresto del 29 gennaio 2021, n. 2152 (segnalato in questo Portale con nota dello scrivente, Querela di falso ammessa (e definita con sentenza passata in giudicato) in pendenza del giudizio di verificazione di scrittura privata), a tenore del quale: a) dove il giudizio di verificazione abbia messo capo all’accertamento con forza di giudicato dell’autenticità di una data scrittura, inammissibile sarebbe la querela di falso che quella autenticità mirasse, invece, a smentire; b) e qualora l’istanza di querela avesse egualmente avuto corso e fosse  esitata nell’accertamento, parimenti assistito dal giudicato, della falsità della sottoscrizione, nel conflitto di giudicati che così si determinerebbe la prevalenza andrebbe accordata a quello, di segno contrario, precedentemente formatosi a suggello dell’incidente di verificazione.

E’ vero che il precedente testé richiamato fa testuale riferimento all’ipotesi di querela di falso esperita quando già figuri presente sulla scena il giudicato sull’istanza di verificazione; laddove, nel caso deciso dall’ordinanza in rassegna, quell’istanza, al momento della proposizione della querela di falso, nel giudicato non era ancora sfociata. Ma ammesso a fatica che, nei rapporti tra verificazione di scrittura privata e querela di falso relative al medesimo documento, l’impedimento della litispendenza ex art. 39, 1° co., c.p.c. non sia opponibile (cfr. Montanari, op. loc. cit.), ipotizzare, al fine di rendere compatibili le due pronunce, che il giudicato scaturito dal primo di quei giudizi possa spiegare i suoi effetti preclusivi nel secondo solamente se questo sia stato avviato successivamente a detto giudicato, ciò appare francamente eccessivo, sì da non potercisi esimere dall’auspicio di un tempestivo intervento delle Sezioni unite che valga a comporre il denunciato contrasto o, almeno, a fare piena chiarezza sul punto.

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