17 Settembre 2024

Giurisdizione internazionale, consumatore e divieto di nova in appello

di Riccardo Rossi, Avvocato Scarica in PDF

Cass., Sez. Un., sent., 3 giugno 2024, n. 15364 Pres. Travaglino – Rel. Criscuolo

Difetto di giurisdizione – Consumatore – Foro del consumatore – Onere specifica allegazione e prova – Preclusioni processuali – Divieto di nova in appello – Azione del professionista (c.p.c., 115, 116, 167, 345; Reg. UE n. 1215/2012, 17, 18)

[1] Qualora un consumatore, convenuto in giudizio da un professionista, si sia costituito in giudizio ed abbia eccepito tempestivamente la carenza di giurisdizione del giudice adito invocando la sua qualità di consumatore ed il suo domicilio in altro Stato membro, non è necessario che egli deduca espressamente ed immediatamente nelle sue difese l’eccezione relativa al fatto “che le attività del professionista siano dirette, con qualsiasi mezzo, presso lo Stato del suo domicilio” di cui all’art. 17 comma 1 lett. c) Reg. UE 1215/2012, dovendo il giudice esaminare la propria competenza internazionale in base agli elementi di prova risultanti oggettivamente dal fascicolo, ivi incluse le prove costituende, che devono essere ammesse, onde assicurare una verifica circa la ricorrenza degli elementi che fondano la competenza in favore della giurisdizione del luogo di domicilio del consumatore.

CASO

[1] I fatti di causa possono essere brevemente riassunti come segue.

Due avvocati convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Bolzano la propria cliente, cittadina tedesca, chiedendone la condanna al pagamento del compenso professionale per l’attività difensiva da essi svolta in sede civile e penale a seguito di un sinistro verificatosi su una pista sciistica in Italia.

La cliente, convenuta, eccepiva in via preliminare il difetto di giurisdizione del giudice italiano, e ciò in applicazione dell’art. 5, Reg. UE n. 44/2001.

Il Tribunale adìto, respinta l‘eccezione testé menzionata, decideva, nel merito, per l’accogliendo della domanda dei professionisti.

Avverso la sentenza di primo grado, la cliente proponeva gravame, ribadendo l’eccezione già svolta avanti al giudice di prime cure.

Tuttavia, l’appello proposto veniva rigettato e, in particolare, sull’eccezione difetto di giurisdizione del giudice italiano, la Corte altoatesina rilevava che: i) l’argomento della “direzione” delle attività dei legali verso la Germania (che avrebbe reso applicabile l’art. 17, Reg. UE n. 1215/2012 e, quindi, avrebbe radicato la giurisdizione del giudice dello Stato membro di domicilio del consumatore) era stato tardivamente introdotto, essendo stato affrontato solo nella comparsa conclusionale in appello, sicché trovava applicazione la preclusione dell’art. 345 c.p.c., che, osservava sempre la Corte d’Appello, si estendeva anche alle contestazioni nuove, tra le quali rientrava, altresì, l’allegazione circa il fatto che l’attività professionale fosse diretta verso lo stato di appartenenza della ricorrente; ii) che la convenuta non aveva assolto all’onere probatorio posto a suo carico (ovvero la circostanza che l’attività professionale dei due legali era diretta verso la Germania); iii) che la mancata dimostrazione della sussistenza delle condizioni di applicabilità dell’art. 17, Reg. UE n. 1215/2012 rendeva applicabile al caso di specie l’art. 7 del citato Regolamento (sulla devoluzione della causa al giudice del luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio), in linea con la precedente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. S.U., ord., 6001/2021).

La cliente ricorreva, dunque, per Cassazione deducendo, come primo motivo, la violazione dell’art. 17, par. 1, lett. c) Reg. UE n. 1215/2012, per avere la Corte d’Appello ritenuto non dedotta la circostanza – necessaria per l’applicazione dell’art. 18 sulla competenza in materia di contratti conclusi dal consumatore – della direzione dell’attività verso la Germania e, come secondo motivo, la violazione dell’art. 101 c.p.c., per avere la Corte d’Appello omesso di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado che, a sua volta, aveva adottato una decisione a sorpresa, rilevando d’ufficio la questione della necessità che l’attività professionale degli avvocati fosse diretta verso la Germania, Stato membro di domicilio del consumatore, senza concedere il termine previsto dal secondo comma della disposizione, necessario per porre la convenuta in condizioni di integrare la sue difese.

SOLUZIONE

[1] La Cassazione, in composizione riunita, ha accolto il primo motivo proposto dalla ricorrente, ritenendolo fondato, così cassando, con rinvio, la sentenza impugnata.

In particolare, quanto al motivo richiamato, essa ha affermato che, una volta che il consumatore si sia costituito e abbia eccepito tempestivamente la carenza di giurisdizione del giudice adito invocando a sostegno proprio la sua qualità di consumatore e allegando che il suo domicilio si trova in altro Stato membro, non è necessario che egli deduca espressamente ed immediatamente nelle sue difese che le attività del professionista fossero dirette presso lo Stato membro del suo domicilio, in quanto il giudice deve vagliare la propria competenza internazionale sulla scorta delle risultanze probatorie oggettivamente risultanti dal fascicolo, ivi incluse le prove costituende, da ammettere al fine di assicurare la verifica degli elementi che radicano la giurisdizione nel luogo di domicilio del consumatore.

Peraltro, la stessa Corte ha rilevato che, sulle questioni di giurisdizione, la stessa è anche giudice del fatto (richiamando il proprio precedente Cass. S.U. n. 567/2024, nonché, a conferma del consolidato orientamento, Cass. S.U. n. 34851/2023 e Cass. S.U. n. 8074/2015) e, pertanto, può e deve esaminare l’atto negoziale la cui valutazione incida sulla determinazione della giurisdizione, anche quando tale titolo sia già stato apprezzato col provvedimento impugnato, perché la decisione sulla corretta individuazione del giudice munito di competenza giurisdizionale dipende da quella medesima circostanza fattuale.

QUESTIONI

[1] In estrema sintesi, l’esegesi delle Sezioni Unite relativa al caso in commento si concentra su due aspetti particolari, di cui uno involgente la corretta applicazione delle regole unionali in tema di azione giurisdizionale contro soggetti qualificabili come consumatori.

Anzitutto, la Corte, dopo aver premesso che, secondo l’interpretazione consolidata dei rapporti tra avvocato e cliente, quest’ultimo riveste la qualità di consumatore ai sensi dell’art. 3, I co., lett. a), d.lgs. 206/2005, ha ricostruito la struttura normativa della giurisdizione internazionale (rectius, unionale) in caso di rapporti professionista-consumatore, richiamando le disposizioni del Reg. UE n. 1215/2012 (c.d. Regolamento “Bruxelles I bis”).

In particolare, le norme di riferimento sono gli articoli 17 e 18 dello stesso (come noto, direttamente applicabili – art. 288 TFUE –), i quali, in combinato disposto tra loro, prevedono che, nei casi di cui all’art. 17, l’azione in cui il consumatore assume le vesti di convenuto deve essere proposta innanzi al giudice dello Stato membro nel cui territorio quest’ultimo è domiciliato.

Giusta la logica protettiva riservata al consumatore, ritenuto, già a livello unionale, parte debole del rapporto, le disposizioni richiamate, e congiuntamente applicate, impongono il radicamento della causa avanti al predetto giudice e non ammettono alternative, essendo, la scelta riservata all’attore, “a rime obbligate”.

Infatti, sul piano testuale, le (principali) versioni linguistiche dell’art. 18, par. 2, Reg. UE n. 1215/2012 si equivalgono e sono tutte dirette ad escludere, relativamente al foro, ogni alternatività (vers. IT: “L’azione […] contro il consumatore può essere proposta solo davanti alle autorità giurisdizionali dello Stato membro nel cui territorio è domiciliato il consumatore”; vers. EN “Proceedings may be brought against a consumer […] only in the courts of the Member State in which the consumer is domiciled”; vers. FR: “L’action intentée contre le consommateur ne peut être portée que devant les juridictions de l’État membre sur le territoire duquel est domicilié le consommateur”).

In sostanza, l’attore, ove intenda avanzare pretese contro il consumatore, potrà unicamente decidere “se” agire e non, anche, “dove” farlo.

Nel caso di specie, rilevavano, in particolare, l’art. 17, par. 1, lett. c) e l’art. 18, par. 2, Reg. UE n. 1215/2012, il primo quale condizione applicativa del secondo.

Infatti, l’art. 17, par. 1, lett. c) Reg. UE n. 1215/2012 dispone che trova applicazione la Sezione 4 del Regolamento “Competenza in materia di contratti conclusi da consumatori” – in particolare il successivo e già citato art. 18 che regola la relativa competenza giurisdizionale – nel caso in cui “il contratto sia stato concluso con una persona le cui attività commerciali o professionali si svolgono nello Stato membro in cui è domiciliato il consumatore o sono dirette, con qualsiasi mezzo, verso tale Stato membro o verso una pluralità di Stati che comprende tale Stato membro, purché il contratto rientri nell’ambito di dette attività”.

In altri termini, allorquando si tratti di consumatori, ad esclusione dei casi fatti salvi dallo stesso art. 17, par. 1, lett. c) Reg. UE n. 1215/2012 e disciplinati dagli artt. 6 e 7, punto 5) dello stesso Regolamento, ove il consumatore concluda un contratto con un professionista le cui attività professionali sono dirette con qualunque mezzo verso lo Stato membro in cui il primo trovi domicilio, quest’ultimo dovrà esperire la propria azione in tale Stato membro.

La Cassazione, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia (in particolare viene richiamata la decisione della Corte di Giustizia UE grande sezione, 07/12/2010, n. 585, pur riferita al Reg. n. 44/2001 – Regolamento “Bruxelles I” –, ma comunque applicabile anche nella presente circostanza stante l’identità di contenuto normativo), ha ricordato che la nozione di attività “diretta verso” lo Stato membro sul territorio del quale il consumatore è domiciliato, dev’essere interpretata in maniera autonoma, facendo riferimento al sistema e alle finalità del regolamento, al fine di garantirne la piena efficacia.

In particolare, la disposizione di cui all’art. 15, n. 1, lett. c), Reg. n. 44/2001 (si ricorda, di contenuto identico all’art. 17, par. 1, lett. c), Reg. UE n. 1215/2012), con riferimento alla “direzione dell’attività”, ha sostituito le precedenti nozioni di “proposta specifica” e di “pubblicità” di cui all’art. 13 della Convenzione di Bruxelles, con l’espressione ampia “ogni mezzo” e ciò è avvenuto in evidente ottica di rafforzamento della tutela consumeristica, “imposta dallo sviluppo delle comunicazioni Internet, che rende più difficile la determinazione del luogo in cui sono stati compiuti gli atti necessari ai fini della conclusione del contratto, aumentando la vulnerabilità del consumatore rispetto alle offerte dei commercianti” (pag. 10 sentenza in commento).

Sulla base di tali considerazioni, ai fini dell’applicabilità della giurisdizione in favore del foro del consumatore, è necessario che il professionista abbia manifestato la propria volontà di stabilire rapporti con i consumatori di uno o più altri Stati membri, tra cui quello sul territorio del quale il consumatore è domiciliato, volontà che è possibile desumere da alcuni indici rivelatori, da considerarsi non monoliticamente, ma in combinato tra loro, tra cui, in via esemplificativa: l’indicazione del professionista secondo cui questi offre i propri servizi ovvero i propri beni in uno o più Stati membri specificamente indicati; la menzione di recapiti telefonici con indicazione del prefisso internazionale, l’utilizzazione della denominazione di un sito di primo livello diverso da quello dello Stato membro in cui il commerciante è stabilito (“.de”, “.com”, “.eu”); menzione di una clientela internazionale composta da clienti domiciliati in Stati membri diversi; etc. (la sentenza in commento riporta numerosi esempi alle pagine 11-13).

Pertanto, la “direzione dell’attività” del professionista è da intendersi non in concreto quale attività effettivamente prestata, bensì in astratto, ovvero come attività volta verso lo Stato membro straniero per stabilire il rapporto-contratto con il cliente-consumatore.

Nel caso di specie, sebbene, nel concreto, l’attività difensiva dei professionisti per conto della cliente tedesca fosse stata materialmente prestata in Italia, la loro attività professionale era volta (inter alia) verso la Germania e, per questo, in applicazione del combinato regolatorio di cui agli articoli 17, par. 1, lett. c) e 18, Reg. UE 1215/2012), come interpretati dalla Corte di Giustizia, la giurisdizione avrebbe dovuto essere ivi radicata.

L’articolata premessa della Cassazione sopra descritta si pone quale antecedente necessario per lo sviluppo e la risoluzione del secondo punto nodale della questione, ovvero l’analisi della preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., richiamata dalla Corte d’Appello per motivare il rigetto del gravame proposto avanti alla stessa.

Sul punto, le Sezioni Unite chiariscono che, il richiamo a tale norma, se risulta effettivamente incensurabile quanto alla produzione di alcune pagine del sito internet dello studio professionale, avvenuta solo con la comparsa conclusionale in appello, non lo è quanto all’affermazione che sarebbe preclusa anche la possibilità di far rilevare, sempre nel medesimo atto, la presenza di una delle ipotesi che, ai sensi dell’art. 17, par. 1, lett. c), del Reg. n. 1215/2012, radicano la giurisdizione nello Stato del consumatore.

La Corte prosegue nel ragionamento affermando che il giudice avrebbe dovuto verificare la ricorrenza dei requisiti che, in base alla norma citata, avrebbero dovuto portare all’accoglimento dell’eccezione, in quanto quest’ultima era stata sollevata dalla convenuta già in primo grado (seppur richiamando altra norma; nella specie, l’art. 5, Reg. UE n. 44/2001).

Infatti, ancorché il profilo della direzione dell’attività non fosse stato specificamente allegato avanti al giudice di prime cure, in base alle prove precostituite, nonché in base alle prove costituende di cui era stata chiesta l’ammissione al Tribunale, sarebbero emersi quegli indizi che, in forza della giurisprudenza della Corte di Giustizia sopra richiamata, avrebbero portato a ravvisare il carattere estero dell’attività professionale degli avvocati e, dunque, che la loro attività era diretta verso lo Stato membro in cui la cliente era domiciliata.

In sostanza, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, il rilievo in discorso dell’appellante non contrastava con il divieto di nova (art. 345 c.p.c.), avendo egli già avanzato l’eccezione di giurisdizione in sede di comparsa di costituzione e risposta in primo grado e, per questo, il giudice dell’appello avrebbe potuto e dovuto valutare il materiale probatorio, poiché già acquisito in atti, nonché rimeditare la legittimità della sentenza del Tribunale nella parte in cui aveva escluso le prove costituende, che avrebbero portato alla conferma di quanto dimostrato documentalmente.

Infatti, è ormai noto che le eccezioni in senso lato sono rilevabili d’ufficio o proponibili dalla parte interessata anche in appello ove i fatti sui quali si fondano, sebbene non precedentemente allegati dalla stessa parte, emergano dagli atti di causa e che ciò, a fortiori, vale anche nel caso in cui l’eccezione di giurisdizione rimessa all’iniziativa del convenuto sia stata già sollevata nel giudizio di primo grado e, in sede di gravame, si solleciti solo la sua rivalutazione alla luce del materiale probatorio versato in atti nel rispetto delle decadenze istruttorie (cfr. Cass. 9810/2023; Cass. 26118/2021; Cass. 5249/2016).

In definitiva, una volta che sia stato eccepito il difetto di giurisdizione da parte del consumatore, non è necessario che questi sviluppi delle specifiche deduzioni in relazione a tutti i possibili profili di cui all’art. 17, par. 1, Reg. n. 1215/2012, poiché è dato al giudice ricavare ogni elemento utile alla decisione dagli elementi di prova risultanti oggettivamente dal fascicolo e da tutte le informazioni di cui dispone, comprese, eventualmente, le contestazioni del convenuto stesso.

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