Il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretto da idonea e congrua motivazione
di Evangelista Basile Scarica in PDFCassazione Civile, Sezione Lavoro, 3 agosto 2016, n. 16217
Licenziamento individuale – contratto di categoria – sanzione conservativa – condotte contestate – proporzionalità – sanzione espulsiva – legittimità
MASSIMA
Anche nel caso in cui il contratto nazionale di riferimento preveda per una determinata tipologia di condotte tenute dal lavoratore la sanzione conservativa piuttosto che quella espulsiva, può essere legittimo il licenziamento purché lo stesso risulti proporzionato rispetto agli addebiti contestati. Tale principio è valido anche dopo la cd. riforma Fornero (l. n. 92/2012).
COMMENTO
La questione portata all’attenzione della Corte di Cassazione ha a oggetto la valutazione di legittimità di un licenziamento disciplinare. La Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado con la quale era stata rigettata la domanda del dipendente volta a sentir dichiarare l’illegittimità del licenziamento con conseguente condanna della Società alla reintegra e alle relative spese risarcitorie. La Corte d’appello ha ritenuto che dall’ampia attività istruttoria espletata in primo grado era emerso chiaramente che il lavoratore non aveva rispettato le disposizioni di servizio in merito alle modalità e agli intervalli di svolgimento dell’attività di sorveglianza e che da tale inosservanza era derivato un furto presso i locali della Società in cui il servizio di vigilanza veniva svolto. Sulla base di tali circostanze fattuali la Corte d’Appello ha quindi escluso che la sanzione espulsiva fosse sproporzionata rispetto ai fatti addebitati. Per la cassazione della sentenza ha promosso ricorso il lavoratore, cui ha resistito la Società datrice di lavoro con controricorso. Con il primo motivo del ricorso il lavoratore, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 112 c.p.c. e 5 l. n. 604/1966, ha cercato di far pervenire la Suprema Corte a una diversa valutazione nel merito dei fatti di causa. Il motivo è inammissibile e, in ogni caso, sarebbe stato comunque disatteso. È, quindi, per completezza argomentativa che la Suprema Corte ha precisato che i Giudici di merito avevano ritenuto sussistente la giusta causa del licenziamento sulla base delle circostanze fattuali emerse dall’ampia istruttoria compiuta e che peraltro erano state confermate dallo stesso lavoratore sia in sede di giustificazioni sia nell’ambito dell’interrogatorio libero reso nella fase sommaria del giudizio. In definitiva, la Suprema Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata fosse congrua ed equilibrata nel proprio percorso espositivo e argomentativo. Con il secondo motivo il lavoratore ha contestato la valutazione di proporzionalità compiuta dai Giudici di merito poiché la condotta addebitata è ricompresa tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni del contratto collettivo di settore applicato. Anche tale motivo è privo di fondamento. La Corte di Cassazione ha precisato che i comportamenti addebitati al dipendente fossero stati oggetto di una valutazione unitaria e che gli stessi avessero leso alla radice il rapporto fiduciario alla base del rapporto di lavoro. In secondo luogo, la Corte ha ribadito un consolidato principio di diritto secondo cui il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al Giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretto da idonea e congrua motivazione. Sulla base di tali considerazioni la Corte di Cassazione ha pertanto ritenuto che il comportamento del lavoratore avesse irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro e avesse legittimato il licenziamento per giusta causa irrogato dalla Società.
Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO